Suggestioni da
SI AGGIUNGONO
VOCI
di
Sandro Angelucci
Non ho ancora letto l'ultima opera edita da
Sandro Angelucci, ma è bastato accostarmi ai versi delle due liriche che
iniziano e terminano l'estratto accompagnatorio per individuare la chiave di
lettura celata tra le strofe.
E le poesie che congiungono quegli estremi fanno
da corollario ad una visione lucida e coscienziosa del Mondo che non riesce a
districarsi dalle misere contraddizioni del proprio vivere.
Se Nazario Pardini ci convince senza mezzi
termini che ”per
Angelucci far poesia significa prima di tutto rovesciarsi sul foglio, ricercare
quella verità che si trova fra le pieghe di un mistero che alimenta il poièin”,
io aggiungo che qui siamo di fronte all'esternazione di un pensiero filosofico
dalle fattezze di un arbusto che affonda le proprie radici nelle buie viscere
dell'Umano e protende i rami verso il cielo terso del Divino.
Sul suolo della superbia e dell'invidia le
creature dotate di intelletto riescono con sfacciata disinvoltura a percorrere
il sentiero della vergogna, mentre gli esseri dalle “traiettorie senza nessuna
logica apparente” lanciano nell'etere messaggi d'amore e di speranza, uniche
risorse in grado di riscattare l'umanità dal delirio di prepotenza e di
protervia.
Le brutture che ci incattiviscono riescono
anche ad occultarci quelle
meraviglie del Creato che l'autore passa in
rassegna usando la penna come cilicio e le parole accorate come singhiozzi di
una preghiera recitata sull'altare del pentimento.
Chi non indossa ali candide per volare accanto
allo zeffiro del Grande Respiro trova rifugio precario sulla “terra bruciata” o
nella “sabbia dei deserti”!
Ma è il nutrimento della Poesia ad allentare
la catena dell'alienazione: dal volo libero dell'airone aggraziato anche il
cupo avvoltoio, costretto a percorrere “la linea retta che si perde nella sua
stessa, vuota inesistenza”, può imparare a librarsi in aria lontano dal
putridume che lo sfama quotidianamente e accontentarsi di ”un grumo di bellezza
che si scioglie per rendere più dolce la bevanda”.
Sandro Angelucci, con quest'opera, riesce con
maestria a far indossare la veste della dignità anche al nudo verm e che
striscia sulla terra.
È un tentativo nobile di donare splendore alle
anime degli “abbruttiti”, degli “schizofrenici”, degli “impazienti” mettendo a
nudo le loro debolezze.
Come “l’albero torna con le foglie. Come se
non le avesse mai perdute.
Come se ancora fosse primavera”.
Roberto Mestrone
ESTRATTO
DA:
Sandro Angelucci
SI AGGIUNGONO VOCI
LietoColle
Parte Prima
ICARO
Abiezione
Abbrutiti. Schizofrenici. Impazienti.
Ma l’uccello non finisce di cantare,
il vento
prende a respirare con le foglie
e le montagne
(immobili, sicure)
aspettano l’arrivo della luce.
Era già alto il Sole
e intorno
ancora s’ascoltava la preghiera.
Noi,
soltanto noi
(distratti, inebetiti)
a spargere catrame, a bestemmiare.
Saranno i voli
Sono i nidi delle rondini.
Sono le traiettorie
senza nessuna logica apparente
la speranza.
E non la linea retta
che si perde
nella sua stessa, vuota inesistenza.
Non è la strada comoda e sicura
che percorre
chi non conosce cosa voglia dire
picchiare, risalire
e poi planare.
E poi picchiare ancora,
ancora risalire, fino a sera
finché c’è fede
e amore e forza nelle ali.
Saranno i voli
che portano gli insetti dentro i nidi
a dare l’appetito
a chi, da noi,
si aspetta in dote il dono del futuro.
Icaro
Proprio tue erano le ali
che mai permetteranno di volare.
Sulle spalle, invece,
deve gravare il peso di una croce
che non è zavorra
ma polvere di cielo che si sfalda
ed incessante, da secoli,
cade sulla terra.
Proprio quello l’errore: la superbia.
Mentre pioveva amore
non accorgersi
che stavi camminando sulla stella
che più desideravi,
e tu, in volo, a cercarla chissà dove,
in quali mondi,
in quali paradisi inesistenti.
No, io non ti condanno.
Come potrei? A cosa servirebbe?
Ripetere l’errore
per consumare ancora altro sangue
per giungere ad odiarmi.
Meglio ammettere,
una volta per tutte,
che ho le ali, che sono un demone:
solo così posso sentirmi un angelo.
Merlo infinito
Le bacche che pilucchi
merlo infinito
sono le parole che non so ridire,
piccolissimi grani di un rosario
che solo tu conosci.
Mentre ti guardo, mangi.
Mentre tu preghi, ascolto
becco giallo.
Ma dove voli, dove ti rifugi
quante ali possiedi
quanto sei grande?
È questo che mi sfugge.
E non perché non parli.
La vita che tu vivi non inganna.
Quella che vivo io m’insospettisce.
E non perché non taccia.
Se fossero di piombo le tue bacche,
se al posto del becco
avessi una mitraglia
t’inviterei a spararmi addosso
perché nella mia carne
con il tuo cibo
penetri il volo, la libertà,
l’immensità di un merlo.
Da terra verso i rami
In volo.
Tutti insieme.
Da terra verso i rami.
E l’albero
torna con le foglie.
Come se non le avesse
mai perdute.
Come se ancora fosse
primavera.
Parte Seconda
IL GRANDE
RESPIRO
Il grande respiro
L’inchino dell’erba piegata dal vento:
preghiera e bestemmia.
Parola che sento diversa,
più vera del suo stesso silenzio.
Rimango.
Mi stringo al suo soffio
ma nulla trattiene l’abbraccio.
Non posso legarmi alla fuga
del Grande Respiro,
non posso.
Mi è dato soltanto (soltanto ma è tutto)
d’unirmi al peccato e alla gloria,
genuflesso
di fronte al mistero
e in piedi
di spalle all’altare del vento
per non rinnegarlo
mentre bestemmio.
Salto d’acqua
Solo ieri
erano gialle, erano alte
le corolle delle dalie.
Oggi però
somigliano alla sabbia dei deserti,
sono terra bruciata
sono spente. Effimero,
e tu lo chiami effimero
questo rapido succedersi del tempo.
Eppure
così lento non è stato mai
se nel volgere di un giorno
sento
tutta insieme l’eternità
uscire da se stessa
e riversarsi
come fiume in piena
nella cascata delle perplessità,
nel salto d’acqua
di cui mi bagno e non conosco altezza.
Sul fondo del bicchiere
Una goccia di miele
che cade nel latte bollente,
precipita sul fondo del bicchiere
e si dissolve.
È questo
la parola di un poeta.
Un grumo di bellezza che si scioglie
per rendere più dolce
la bevanda.
Ma la sua forza,
ciò che la distingue
più dello zucchero è quel dissolvimento
quello sparire
per regalare ancora una speranza,
quel velocissimo
battere le ali
che tiene l’ape in stallo
e il cielo in equilibrio sul creato.
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