Maria Rizzi collaboratrice di Lèucade |
Polifemo |
Il mito di Odisseo, del viaggio, del ritorno... la storia, che da sempre celebra il nostro vivere, cantata in una lirica che toglie il respiro e rende nudi e vulnerabili. Leggendola ho vissuto il viaggio, non l'attesa. Da donna, mi sono sentita Ulisse, colui che viaggia "tra sirene e scogli /su mari in bonaccia o gonfi di venti" e ho avvertito la caducità del mio scafo. Il professor Pardini, in questo cammeo, che gioca sul registro di un'unica, pregnante allegoria, mi ha indotto a riflettere sull'importanza del percorso. La vita non è nella partenza, che "vibra d’incoscienza", né nell'approdo... è il coraggio di affrontare "tante storie:
incontri con giganti, con fanciulle
allettanti che tenevano il sapere
e per quello avrei dato anche la vita". Il coraggio di essere forti nella fatica, nell'ignoto, nel dolore e nelle sfide. Il ritorno, nella lirica, come nell'esistenza, è il bagaglio di esperienze accumulate, la forza della memoria, ma anche e soprattutto "un’ora che lascia all’incoscienza del mattino / la ricchezza e i dubbi del ritorno". Se esiste la possibilità di coniugare versi di poderoso impatto emozionale e di lirismo travolgente con le verità più profonde del nostro tempo terreno, il caro Nazario ha saputo realizzare questo miracolo... Lo scafo, pur tarlato, va salvato dai naufragi. Ed è difficile. Come salvare i sogni. Mi sono commossa leggendo: "Torno senza la barca che spesso mi vide/ combattere nembi scompigliati"..., in quanto ho respirato la fatica di affrontare gli urti dei giorni. Ringraziare l'Autore per questo affresco autoptico della vita è davvero povera cosa. Preferisco abbracciarlo.
Maria Rizzi
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