mercoledì 25 novembre 2015

CLAUDIO FIORENTINI: "LO SCULTORE PABLO ATCHUGARRY"


Claudio Fiorentini, collaboratore di Lèucade


Pablo Atchugarry ai Mercati di Trajano (fino al 9 febbraio)

Ho avuto la fortuna di incontrare Pablo Atchugarry, tra i più importanti scultori contemporanei, e di ammirare le sue opere, esposte al museo dei Mercati di Trajano a Roma.
Pablo è un omone affabile e semplice che ti mette subito a tuo agio, e in mezz’ora di libera conversazione ha espresso, con estrema semplicità, alcuni concetti, che poi sono pilastri della sua vita. La semplicità, si sa, solo i Maestri possono permettersela. Questi concetti sono diventati per me i temi conduttori della mostra. Pablo li ha riassunti più o meno così: esporre qui esprime continuità tra la storia e l’oggi; vivere come su di un ponte, un po’ qui e un po’ lì (mi ricorda i versi di Facundo Cabral “no soy de aquì ni soy de allà”); nella vita bisogna avere un sogno.
Lo incontrerò di nuovo a febbraio per una intervista, forse anche per un brindisi, e avrò modo di parlare con lui più a lungo, ma già da ora mi sento di delineare alcune caratteristiche della poetica della sua opera.



Bene, iniziamo e… come potrei esprimermi se non per metafore? Sarò chiaro, non mi interessa cercare spiegazioni per le forme di queste sculture, non mi interessa esprimere giudizi estetici citando filosofi e saggisti, questo lavoro lo lascio ai critici. Per me l’arte non chiede spiegazioni e non può essere razionale, perché se ne limiterebbe il senso. Quindi affronto una sfida: descrivere la sensazione trasmessa da queste splendide sculture.
Immaginate un libro antico e prezioso che si apre appena, le pagine esterne saranno più aperte delle altre che, invece, pudiche, rimarranno vicine, come a proteggersi dall’indiscrezione del lettore che, intimidito dal linguaggio della carta (in questo caso del marmo), fissa l’istante e riconosce al libro, o alla parola, la sua dignità: se chiuso non rivela alcun segreto, se aperto a metà si dà alla luce, ma è solo quando lo si inizia ad aprire dalla copertina, solo quando si lasciano le pagine libere dal loro peso che la luce può illuminarle tutte. Ecco il punto: il segreto rimane segreto, non può essere svelato a chi non è pronto a leggere la verità che nasconde. La luce può illuminare quel segreto per intero se si lascia libero il libro, ma l’uomo non riuscirà a capirne il senso se non diventerà luce egli stesso.




Le forme slanciate, che tendono verso l’alto, richiamano il grido della roccia che si ribella alla violenza del martello. Eppure si lascia addomesticare, e da quella roccia, prima riassunta in un blocco insignificante, sorge la parola in essa racchiusa, sorge in un grido che si apre a ventaglio, o si chiude in una cuspide. Dal basso verso l’alto, sembra dire, o anche da dentro verso fuori. Il dentro però rimane tale, senza raggiungere forme razionali, perché se sogno era prima, sogno deve rimanere sempre, in quanto la natura di ciò che ci anima non sarà mai contaminata da ciò che ci muove.



Il gioco della luce e dell’ombra sulle superfici marmoree si traduce in poesia. La luce viaggia spedita nel suo percorrere il cielo, e non c’è alleato migliore per queste sculture che il sole novembrino di metà mattinata. Lui sì, il sole, sa dove posarsi per rendere servizio all’arte. La bellezza della pietra, che in certi punti appare trasparente, dialoga con il sole, si lascia accarezzare e il gesto delicato del raggio luminoso trova il suo trampolino di lancio nel gesto dell’artista che si è interposto tra i due con saggia precisione.



La continuità tra storia e presente, tra arte antica e arte contemporanea, è uno degli elementi fondanti di questa mostra, e i mercati di Trajano ben si prestano ad accogliere queste sculture, ma in realtà la continuità non la dà la mostra, ma la coscienza dell’artista di appartenere a questo flusso continuo di tempo e di eventi che, come lava incandescente che si raffredda all’aria, da liquido denso si solidifica per diventare storia. Pablo è parte della storia. La storia non si è mai interrotta e continua a porci il suo messaggio di insistente attualità grazie a chi cattura le mutazioni del suo linguaggio, e le esprime. Così il presente accoglie il passato e si tramuta in un fiore che si apre a ventaglio, unendo gli estremi di una vita e urlando, dolcemente, il suo canto di materia e terra.



Pablo Atchugarry vive da 35 anni in Italia, a Lecco, ma è nato a Montevideo (Uruguay). Di proposito non ho scritto “è di Montevideo”, perché lui vive su di un ponte, tra due culture. Infatti non ha mai abbandonato il suo Paese natale, dove ha una fondazione che dà spazio ad artisti emergenti, ma non abbandona mai neanche l’Italia. Ciò che mi ha colpito di questo breve incontro, è stata la serenità che emana dai suoi movimenti e dal suo parlare quieto, la grazia del suo respiro. Uomo di grande spessore, artista che si esprime in un linguaggio attuale, e instancabile, inguaribile sognatore. Senza il sogno non si va da nessuna parte, dice Pablo, e mi unisco a questo proclama ringraziandolo per questo bellissimo momento, una pausa tra il suo vivere “un po’ qui e un po’ lì”.








1 commento:

  1. "Dal basso verso l'alto... o anche da dentro verso fuori". Bella e centrata questa definizione che Fiorentini offre di Pablo Atchugarry, scultore uruguayano trapiantato in Italia. Sorprendente questa visione cosmica, per il suo farsi "ponte" tra tempi e luoghi diversi, tra l'interno e l'esterno, tra le altezze e le profondità. Affascina questo enorme fiore marmoreo, che rappresenta la totalità del creato, pronto ad aprirsi alla vita, esplodendo verso l'alto, verso il sole e la luce, verso l'immensità.
    Franco Campegiani

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