Maria Grazia Ferraris, collaboratrice di Lèucade |
La
poesia di Flavio Vacchetta
Che è
mai la bellezza? e perché, pur “con la bocca cucita”, danza? Domande che
richiedono risposte complesse, difficili, quelle che l’Autore si pone.
L’interrogativo cerca la sostanza sottesa all’infinito apparire delle molteplici
variazioni del bello, necessarie e nello stesso tempo labili, effimere, e
luminose, ricercate come consolante,
materno calore e colore, con tono austero e affettuoso, eppur condiscendente, tra
ignoranza e consapevolezza silenziosa eppur onnipresente. Ha aspetti di confidente e quotidiano, trepidante ed ironico mostrarsi e nascondersi, la bellezza.
L’architettura
versificatoria disegna un sentire di grande intensità emotivo-esistenziale, ed
arriva con facilità a farsi plurale nel suo messaggio umano. Tocca
tutti gli ambiti del vivere e dell’esserci (“piaci a tutti,…se nevica, ami il
colore, …generi vita, sorvoli il cielo, …profumi di mistero, non vieni mai a
mani vuote,… generi commenti roboanti…”)
con figure stilistiche che creano immagini di personalissima scelta
simbolica e realistica: un viaggio poetico che non pone limiti e confini.
È
somma di contraddizioni che si disfano e si riannodano: spiegazioni che non
spiegano, vivono di vita propria, esistono.
Il
ritmo, musicale, con un felice senso della pausa, si fa via via più incalzante
e accompagna fluente gli interrogativi, che rimangono tali. Nessun intento
narrativo accompagna questa poesia, sovrabbondante, eppure essenziale,
minimalista, dai ritmi scanditi, in versi brevi a sottolineare momenti,
visioni, sensazioni. Accompagnati da abili assonanze e consonanze e rime
interne l’Autore ci invita a seguirlo
nella ricerca di senso, nelle emozioni che si sfaldano, nelle delusioni inevitabili, nel dolore delle cose: “lo
stesso reale assurdo/ in là verso le sponde del mare amore
soltanto cemento/ chiare già chiare illusioni”
Versi
lirici che sottintendono un’adesione alla realtà fortemente impoetica, allo
stesso tempo epici, volti a narrare un
passato che s’intreccia continuamente con il presente, amaro senza sembrare
tale.
( sul
tavolo/ calze a rete/ vestiti succinti…), apparentemente dissacrante, anche quando si
parla di grandi personaggi della storia e della scienza, come il suo Galileo: “la
tua figura/ la tua sedia di lavoro/si sbrina ciondolante dio oh
dio/ quando infuria/nel fango/la tua furia..”. L’intuizione,
la ricerca intellettuale e l’amore per
la scienza lo portano a cogliere la grandezza disperata del grande scienziato
che (“siamo miopi/ a non averti capito”) sospira le proprie passioni e la
propria volontà in una consonanza di
passioni e di scelte calate in un’armonia in cui nulla stona, ma tutto si
equilibra: “la tua vera vena/ soffiata di limpido cielo/ nell'anfratto
cosmico/ del tuo cannocchiale/ il tuo
sogno/ nel segno di giovani scienziati
è la
tua canzone”. Il
linguaggio resta spesso come sospeso, differito, e questa “sospensione”
presente e sospesa si trasforma in versi lirici
in cui vengono evocati gli stati d’animo, i più complessi, modulati sul
lento malinconico universale svanire dei sogni o l’ improvviso riapparire della
realtà: (“fotogramma
tassello/ di cose belle/la tua scienza/la tua
graziosa vecchiaia/ la bellezza tua nostra vecchia/ fredda ombra sognatrice”). Sono cedimenti
emotivi e coinvolgenti che immediatamente si
riallacciano anche provocatoriamente alla cruda realtà: “mi
duole la vescica/ se penso ai tuoi numeri…. elaboro ecografia/ del tuo estremo
sapere…”) Eppure grandi slanci intellettuali ed emotivi danno nuova linfa,
rianimano anche la stanca ricerca personale: “…febbre senza temperatura: oso
dove posso/ ti stringo a me/ come moneta d'oro/ e fingo e spingo/ verso macchie solari la tua
moschea/ di spine ed intelligenza” per
concludere in un auspicio, una speranza che animi il nostro nebuloso futuro: “mi
rovescio/ nel tuo finalmente/ “ i cieli sopra di noi”/ tuo messaggio linguaggio/ ci rovesciamo tutti/
sulla tua pazzia…
e ti
vogliamo bene.
Maria Grazia Ferraris
BELLEZZA
sei di
cuore
fai
sparire
ogni
inciucio
piaci
a tutti
sei
necessaria
se
nevica
sei
confidente
non
temi
il
dolore
ami il
colore
luminoso
di una
madre
sei
perla
priva
di sassi
cancelli
ombra
e
solitudine
possiedi
comunque
svariate
possibilità
non
provochi incubi
bensì
generi vita
ti ci
s'annusa
volentieri
cammini,
austera
tra
ignoranza e
sensazioni
calde
ti
occupi della
sofferenza
altrui
stai
accanto al
tuo
Signore
effondi
estasi
in
silenzio
ed in
silenzio
ringrazi
sorvoli
il cielo
evitando
che le rondini
si
sbattano contro
fremi
e profumi
di
mistero
sui
giornali
riportano
che
sei speciale
insegnando
che i panni sporchi
si
lavano in casa
sei
ornata di
biancheria
reale
hai
sangue blu
e fai
le fusa
eviti
di fare
ombra
al mondo
usi bene
il cervello
non
vieni mai a mani vuote
di
notte mostri
la tua
istintiva arte
nascondi
i rumori
alle
spalle
generi
commenti
roboanti
hai la
bocca cucita
e
danzi senza sapere il perché
già
perché
danzi?
IL
CAFFE' E IL SILENZIO
sul
tavolo
le
calze a rete
i
vestiti succinti
in
taverna il cuore
le
scarpe piu i desideri
la
bianca moneta
è
salvadanaio di piacere
pure i
chiodi
conficcati
in mano
ed
asciutti
lo
stesso reale assurdo
in là
verso le sponte del mare
amore
soltanto cemento
chiare
già chiare illusioni
GALILEO
GALILEI
ottenebrante
lancinante
la tua
somma idea cosmica
ci
esorta
da
facili appendici
di
almanacchi e riviste
la
voce dei tuoi pasti
di
cioccolata e arazzi
la tua
figura
la tua
sedia di lavoro
si
sbrina ciondolante
dio oh
dio
quando
infuria
nel fango
la tua
furia..
la tua
vera vena
soffiata
di limpido cielo
nell'anfratto
cosmico
del
tuo cannocchiale
il tuo
sogno
nel
segno di giovani scienziati
è la
tua canzone
letta
male
la
scomunica papale
sono
miope
molto
miope
siamo
miopi
a non
averti capito
ora
scelto
ti
intravedo nello specchio
riflesso
dal tempo
e mi
rovescio nel
tuo
niente
finalmente
il tuo inchiostro
come
sabbia sull'addome
che
sbava in bolla
il
mare non basta
non
guasta
la
trave assassina
spergiura
l'estremo
sangue
che cola
in
biasimo brutale
il tuo
mosaico ascolto
o
maestro
la
natura un furto
d'istante
distante
il suono
osato
è musica
punto
contro punto
punto
sceneggiatura
fotogramma
tassello
di
cose belle
la tua
scienza
la tua
graziosa vecchiaia
la
bellezza tua nostra vecchia
fredda
ombra sognatrice
mi
duole la vescica
se
penso ai tuoi numeri
incroci
equivoci
d'immagini
obsolete
allora
escogito
per te
parola estrema
ed
elaboro ecografia
del
tuo estremo sapere
coniugo
i tuoi occhi
sui
miei pianeti
smussando
scena morta
accendo
i miei occhi
il mio
esempio per te
come
febbre senza temperatura:
oso
dove posso
ti
stringo a me
come
moneta d'oro
e
fingo e spingo
verso
macchie solari
la tua
moschea
di
spine ed intelligenza
hai
spillato la pelle umana
per la
tua idea
ora si
dice che anche qui
c’è la
tua parte
anche
l'altra
quasi
identica
alla
faccia della luna
ovvero
esistente
mi
rovescio
nel
tuo finalmente
“ i
cieli sopra di noi”
tuo
messaggio linguaggio
ci
rovesciamo tutti
sulla
tua pazzia
e ti
vogliamo bene
La nota di Maria Grazia Ferraris su Flavio Vacchetta traghetta sapientemente nel poiein tipico dell'autore, del suo registro espressivo che si snoda su punti nevralgici a "riscattare" l'uomo da una finitudine che, pur rimanendone la cifra essenziale, la travalica fuor d'ogni dubbio. Il rapporto di Flavio con la parola è frutto di un amore fisico e intellettuale ad un tempo, in cui queste due voci si ossigenano a vicenda ristabilendo di volta in volta, verso dopo verso, la pace interiore nonché quella del cosmo illuminato di cui Vacchetta è un devoto appassionato.
RispondiEliminaMaria Grazia Ferraris coglie l'essenza poetica dell'autore che sosta in maniera perfetta dentro le imperfezioni della vita e a questa dà respiro nell'incedere ricco di allitterazioni, aforismi, versi scheggiati: balbettio lirico autentico. Balbettio perché per Flavio la poesia è tentativo, autentico perché consegnato alle vibrazioni umanissime come a dire che il miglior modo di essere per l'uomo resta Essere e semmai si intraveda un compito o una missione del poeta, questa non è tanto quella di rendere docile il Senso, piuttosto di transitargli accanto "gridandone" nell'intreccio lirico, gli infiniti "alleluia" piuttosto che le inesauribili esecrazioni della vita.
Cristina Raddavero