Sando Angelucci collaboratore di Lèucade |
Gianni Rescigno |
Dalla terra al Cielo con l’amore nell'anima e
gli occhi al mare
Gianni Rescigno nasce a Roccapiemonte, in
provincia di Salerno, nel 1937, dalla tipica famiglia del Sud: numerosa ma
unita, consolidata dai valori ancestrali della civiltà contadina.
Legato, dunque, fin da bambino, alla
terra, alla sua spiritualità, il Nostro aveva dapprima seguito le orme paterne
e materne nella produzione e vendita di derrate alimentari e non, per poi
intraprendere un cammino che, attraverso varie fasi di studio, lo avrebbe portato
ad insegnare nella scuola elementare.
Proprio così: Gianni è stato un maestro
(come si diceva una volta), di quelli che andavano in giro, anno dopo anno,
trasferendosi da un paese all’altro e venendo a contatto con realtà che, oggi,
non esistono più: scolaresche formate da bambini di diverse età (le vecchie
pluriclassi); scuole ricavate in antichi casali, se non nelle stalle, dove
persino riscaldarsi costituiva un problema da affrontare.
Ed è da lì che ha cominciato a fare
poesia. Scrivere, sicuramente, aveva già scritto, ma, facendo il maestro, ha
potuto mettere in pratica, sul campo, il suo bisogno di raggiungere il cuore
dell’uomo. Più volte mi parlava delle sue esperienze, dei suoi alunni, di quei
bambini che in seguito avrebbe ritrovato adulti lungo le vie di Santa Maria di
Castellabate, dove risiedeva con la moglie Lucia, anche lei maestra e compagna
inseparabile.
Alcuni di quegli scolari sono stati
ospitati tra le pagine dei suoi numerosissimi libri di poesia; questo per dire
con quale passione egli svolgeva il suo lavoro; un lavoro diverso dagli altri,
preso per ciò che realmente dovrebbe essere: una missione. Una professione che
gli ha dato tante soddisfazioni, fino al riconoscimento dell’allora Presidente
della Repubblica, Giuseppe Saragat, per meriti scolastici, con l’assegnazione
della medaglia di bronzo del Capo dello Stato.
Se mi sono soffermato sugli aspetti – per
così dire – biografici, non è stato soltanto per tratteggiare, in modo il più
possibile conciso , la figura di Gianni Rescigno; più ancora l’ho fatto per
metterne in evidenza la profondità d’animo, quell’attaccamento alla sacralità
della vita che tanto ha caratterizzato l’uomo, lo scrittore ed il suo impegno
in campo letterario.
E, qui, è alla parola del Poeta che si
vuole dare spazio, ai versi che sopravvivranno nonostante la fine del suo
transito terreno.
Nel saggio che, un anno prima della sua
dipartita, gli dedicai (Di Rescigno il
racconto infinito – Blu di Prussia, 2014), incentrai le mie riflessioni
proprio sul concetto di tempo ritenendolo il fulcro di quella poetica e di una
visione del mondo sorprendente per vigore realistico-spirituale. Misi a
confronto, in proposito, la sua poesia con quella di un poeta a lui
profondamente caro, Sergej Esenin: “C’erano già i fiori sui pendii / quando
giunse l’ora di andartene / ma non riuscisti a dirmi tutto. // Ora i vuoti. . .
/ li colmo io pensandoti. / Offrendoti. . . / doni di parole con aspro profumo
di ginestre secche / non ti faccio morire.” – così scriveva in Cielo alla finestra, Genesi Editrice
2011 – ; ed alla sua rispondeva l’eco della voce del poeta russo: “Tutti in
questo mondo siamo votati alla fine / Dolcemente intristisce il rame degli
aceri. . . / Ma chiamiamoci dunque felici, benedetti per sempre, / d’essere
nati per fiorire e morire.”.
Il dono che profuma di “ginestre secche”
sconfigge la morte e prepara la resurrezione non per opposizione, al contrario,
per amore del miracolo di cui fa parte insieme a sua sorella: la vita. La
garanzia del “non ti faccio morire” rescignano e del “chiamiamoci. . . felici,
benedetti per sempre” eseniano è una chiara dichiarazione di fede
nell’indissolubilità del binomio vita-morte come legge suprema ed universale.
Siamo contemporaneamente nel e fuori dal
tempo: un tempo che ci consuma mentre ci conserva, che ci spinge verso la fine
e verso il principio.
Ho insistito su questi temi perché vorrei
che coloro che hanno avuto il desiderio di partecipare al Convegno non pensino
alla consueta commemorazione (che, pure, è doverosa ed importante) ma ad un
genere diverso di onorare il Poeta salernitano.
Siamo stati legati da intensa ed
autentica amicizia con Gianni ma non voglio che la retorica tocchi neppure
minimamente il ricordo; anzi, non voglio nemmeno parlare di ricordo. E –
credetemi – è con assoluta misura che dico di sentirlo vivo perché immortale è
ciò che mi (e ci) ha lasciato.
Nella già citata monografia scrissi, in
relazione ad un altro dei suoi più recenti libri (Anime fuggenti): “Il ricordo di coloro che non ci sono più [. . .]
non è fonte d’inconsolabile dolore ché l’afflizione che genera la perdita è
confortata, immensamente incoraggiata dalle lacrime di quella stessa pena:
soltanto così [. . .] alle anime di sempre diventa possibile guardare avanti:
[. . .]”. Lo cito ancora: “quando s’attarda l’ora / . . . . / vedono il tempo
rinascere / dal buio.”.
È un ininterrotto, ciclico passaggio sia dei
vivi che dei morti; ora, qui, sulla Terra. È sintomo d’eterno, ben oltre le
ingannevoli e futili costruzioni sentimentalistiche della mente.
Gianni Rescigno ha raggiunto la
frontiera, il confine dove tutti dovremo arrivare, dove un braccio di mare
segna “il limite che divide / l’umano dall’eterno. . .”.
Lo immagino mentre, ad ampie bracciate,
nuota verso l’altra sponda – che è poi la stessa dalla quale si è tuffato –.
Sta facendo il giro del mondo (dell’universo) per tornare di nuovo tra noi; e
ci riuscirà, perché in vita ha allenato tutti i giorni i muscoli dell’anima ed
ha creduto al sogno, declinando tanto il senso d’illusorietà quanto quello
della speranza allo stesso comunemente legati.
Egli
ha preferito una terza opzione, molto più verosimile però: “il sogno è reale –
e non sembri un paradosso – perché non nasce e non muore con l’inizio e la fine
della materia, perché non siamo noi a crearlo in quanto succede l’esatto
contrario; è per questo che ci spalanca la porta dell’eternità se ci disponiamo
a non rinnegarlo.”.
Così scrivevo nel mio saggio, ed oggi –
che mi manca la sua voce, che quasi quotidianamente correva lungo i fili del
telefono – oggi, capisco ancora meglio cosa volesse dire con : “appena uno cade
/ un altro inizia / a passare e a cantare”; adesso so bene che l’altro può
essere chiunque, qualunque anima che urla a squarciagola nel deserto: “Siamo
qui. Siamo qui. Stiamo gridando / l’uno verso l’altro nude le braccia / tese al
mattino che splende e frizza / e in meraviglia ci concede ancora vita.”.
E, soprattutto, rimango rapito dalla
profetica verità contenuta nei versi appena riportati: la vita è un dono
elargito una volta e per sempre; non conosce fine perché non c’è un vero inizio
ma una continua, inesauribile rinascita dello spirito, perché quelle grida, che
vengono dal deserto, appartengono alla presenza ed all’assenza di ognuno di
noi.
L’ultimo lavoro che il Poeta ha dato alle
stampe è del marzo del 2014: Un sogno che
sosta rappresenta l’apice della sua ricerca poetica e del suo percorso di
fede.
Un cammino iniziato nell’ormai lontano
1969 con Credere , che si apriva con
la poesia eponima, già dichiarativa di quella che sarebbe stata una coerente
predisposizione, una risposta ferma al forte richiamo spirituale che lo avrebbe
accompagnato lungo tutto l’arco esistenziale.
“Io posseggo / non oltre gli
orizzonti. / La luce chiarificatrice / m’arresta al sole. / Dissolvimento / il
mio limite, / credere / la mia misura.” – scriveva allora – .
Straordinariamente precursore – il
dettato – di quello che, da quel momento in poi, corrisponderà con un processo
di decantazione della parola, di estrema sua scarnificazione per coglierne
l’essenza più intima e profonda.
Tanto avvertita questa necessità da
indurre Rescigno – intuitivamente consapevole dell’approssimarsi del confine da
valicare – a lasciarci, nella prova finale, dei veri e propri epigrammi, che
non posso esimermi dal riferire perché sia la sua stessa voce ad esprimere ciò
che nessuno, meglio di lui, riuscirebbe a dire.
“Quando non ci sarò / chissà quale vento
/ muoverà le mie foglie.”; e ancora: “Non fanno notizia i poeti / quando se ne
vanno. / Già da vivi se guardi la notte / li vedi camminare tra le stelle.”; e
di nuovo: “Da dove venimmo / là torneremo questa / vita un sogno che sosta /
tra acqua e vento / caduta di foglie / e festa di fiori.”.
Sono giunto al termine della mia – voglio
augurarmi – non tediosa esposizione: sicuramente non esauriente se si considera
la vastità di una scrittura ultra quarantennale, confortata dai più alti
riconoscimenti e dall’attenzione costante della critica più attenta ed
accreditata. Ciò nonostante, spero che, di Gianni, sia trapelato il valore più
importante: l’umile grandezza dell’uomo che sapeva amare i suoi simili e
l’intero creato.
Sandro
Angelucci
Leggendo la relazione del carissimo Sandro rivivo l'atmosfera magica che si é creata nella Sala dei Dioscuri del Quirinale quella sera... Da autentico Amico del Poeta Gianni Rescigno, per sempre vivo, grazie alla Sua Arte autentica, Il nostro Amico, lo ha descritto innanzitutto come uomo, come persona umile, legata ai valori che ci innalzano dal degrado umano e culturale, che spesso inficia la letteratura... E si é poi ispirato al suo Saggio "Di Rescigno. Il racconto infinito" per dare un'idea a trecentosessantagradi di questo Poeta, che aveva indubbie affinità elettive con il nostro Sandro, riscontrate anche dai Suoi familiari e che cantava la vita, il quotidiano, la morte, legando con lo spago del lirismo altissimo terra e cielo e ispirandosi alla natura e ai sentimenti che ci accomunano. Sandro asserisce nella sua titanica relazione, che Rescigno "spalanca le porte all'eternità" e l'ascolto delle sue poesie ne é stata una continua,. concreta testimonianza. Sono rimasta, come tutti, incollata all'ascolto e lo ringrazio. I Poeti vivono se racconti così....
RispondiEliminaUn forte grato abbraccio.
Maria Rizzi
Gianni Rescigno è stato un grande poeta di fine millennio, il suo lirismo possiede le affinità elettive con quanti lo hanno amato e apprezzato, la sua parola va fuori dal tempo/spazio, si proietta come una luce nell'oscura propaggine di un tragico destino di precarietà. Apprezzato da critici autorevoli, come Giorgio Bàrberi Squarotti che gli ha prefato molte raccolte poetiche, Rescigno ha saputo conquistarsi l'apprezzamento di altri meno autorevoli, come la sottoscritta, che in varie circostanza ha stilato per lui, recensioni e note critiche. Lo ricordo come un amico e una persona degna della massima considerazione. Ci legava una grande stima reciproca. La luce dell'Infinito risplenda sempre nei tuoi occhi e nella tua eternità, Gianni. Un abbraccio.
RispondiEliminaNinnj Di Stefano Busà
Sig. Angelucci,
RispondiEliminala relazione da lei magistralmente svolta sul palco mette in luce la grande amicizia che la legava a Gianni Rescigno. Ed ha perfettamente ragione quando asserisce: “ … ma non voglio che la retorica tocchi neppure minimamente il ricordo; anzi, non voglio nemmeno parlare di ricordo... ( …. ) … dico di sentirlo vivo perché immortale è ciò che mi (e ci) ha lasciato.”
Gli immortali versi di un poeta sono un'eredità da custodire con cura!
Grazie per l'appassionato discorso.
Annetta Anselmi