Franco Campegiani collaboratore di Lèucade |
Gianni Rescigno |
L'anima fuggente
Di Rescigno il racconto infinito
Ho
grande rammarico per non essere riuscito a conoscere di persona Gianni Rescigno.
Mi mise in contatto con lui il comune amico Sandro Angelucci e tutti insieme
progettammo una sua venuta a Roma, per presentarne l'opera in occasione
dell'uscita del saggio di Sandro sulla sua produzione poetica. Purtroppo non
riuscimmo nell'intento, ma io ricordo le lunghe chiacchierate telefoniche con
Gianni, durante le quali venivo investito da una carica straordinaria di umanità
e di poesia. Una poesia legata alla terra, al mare, al cielo, alla vita, che traspirava
da ogni poro e si palesava anche nel parlato di Gianni Rescigno. Con questo
ricordo vivo e sanguigno di lui, della sua persona semplice e verace, mi
accingo a svolgere questa relazione, sulla scorta del saggio di Angelucci, "Di Rescigno il racconto infinito", edito nel 2014.
Numerosi esegeti, e
di prim'ordine, si sono occupati della poesia del poeta cilentano e forse
sarebbe stato meglio lasciare la parola a qualcuno di loro. Se tuttavia io mi
sento autorizzato a parlarne, è in nome di una condivisione poetica e umana che
me lo fa sentire vicino, così come vicino sento l'autore del saggio. Quella di
Rescigno è una poesia carica di valori morali, religiosi, esistenziali, legati
alla natura e al grande archetipo della cultura contadina, alla vita del popolo
e di tutti gli esseri che appaiono e scompaiono, viandanti cosmici da e verso un
fascinoso mistero. C'è la cognizione di un tempo che scorre veloce, ma senza
rimpianti o dispiaceri, nella fiducia che ciò che scompare non fa che sparire
dentro se stesso, riassorbito nel flusso universale dell'Essere e del proprio mistero.
Dicevo che è un
lavoro fortemente ispirato, questo di Angelucci, e ciò la dice lunga sul rapporto
instauratosi con il suo Maestro, un Maestro di umiltà che sarebbe meglio
definire fratello maggiore, o più semplicemente compagno di viaggio. E qui
permettetemi di spezzare una lancia in favore delle affinità elettive, delle
consonanze poetiche, di quella vicinanza di ispirazione che secondo alcuni nuocerebbe
all'oggettività e alla neutralità del lavoro critico. Mi chiedo come si possa
restare freddi di fronte ad una poetica, ad una visione del mondo, ad un Mito. Possiamo
restarne indifferenti, questo si, e in quel caso non ce ne occupiamo. Ma se ne
siamo rapiti, si scatena l'uragano. Un risveglio dello spirito che non ci
chiede di divenire partigiani. Cosa, questa, che fanno i dottrinari pedanti e
pedestri che, guarda caso, accampano sempre pretese oggettivistiche (il che equivale
a dire soggettivistiche, data l'opinabilità di ogni dottrina).
La poesia è universale, non oggettiva o soggettiva. E
la critica che se ne occupa non è che una possibilità ulteriore per la poesia,
che evoca gli archetipi, di risorgere attraverso uno specchio interpretativo.
E' anch'essa un'attività creativa, tesa a ri-creare
in modi originali ed autonomi quei sensi o valori universali che abbiamo
dentro, ma che dimentichiamo a causa dei condizionamenti collettivi. Sta qui l'universalità dei linguaggi creativi, il
cui ruolo non è di parlare astrattamente a tutti in maniera oggettiva, né
tantomeno di raccontare vicende intimistiche che non interessano nessuno, bensì
quello di rivelare verità nascoste, l'essenza più intima del reale, toccando le
corde più segrete di ogni uomo singolo.
L'anima fuggente è il titolo dato al presente convegno: un titolo che è un potente ossimòro.
Esso crea infatti un rapporto paradossale tra identità e diversità, tra
ciò che è eterno ed immutabile (l'anima), e ciò che è fuggevole e perituro (il
tempo). La poetica rescignana è tutta giocata sulla messa a fuoco di tale fascinosa
relazione, e il lavoro critico di Sandro Angelucci non è che un'amplificazione,
ricca di variazioni tematiche, di tale visione. Ciò che è identico a sé è sempre diverso da sé: questo significa Anime fuggenti. Assoluto e relativo si
cercano e si respingono. Sono distinti e diversi, ma complementari. L'anima
incorruttibile, che appartiene all'eterno, prende corpo, si proietta nelle contaminazioni
del tempo, le attraversa per ritrovarsi vergine e illesa al termine
dell'esperienza. Per cui "la
caducità è sostanza, carne dell'eterno", scrive Sandro Angelucci.
Ed è la weltanschauung di Gianni Rescigno. Non a
caso Anime fuggenti è il titolo di
uno dei suoi più recenti testi poetici. Sandro titola il suo saggio "Di Rescigno il racconto infinito",
alludendo appunto al viaggio che l'essere compie da e verso l'infinito. Questo
saggio è a sua volta un volo pindarico nell'universo del poeta cilentano. Sono
novanta pagine in cui l'aliante del critico, poeta egli stesso, si tuffa ad ali
spiegate in un volo altissimo e al tempo stesso radente, preso nelle correnti ascensionali
e plananti della poesia rescignana. Pagine equilibrate, fatte di terra e di
sangue, ma eteree e rarefatte a un tempo, che ci parlano dell'Angelo che ci
affianca, della nostra identità nascosta, che "sarebbe un errore identificare
con un'entità imprecisabile, immune dalle sofferenze, relegata in un iperuranio
vuoto ed indolente; no, l'angelo è molto più reale di quanto si creda, è qui
con noi, ma bisogna avere occhi per vederlo anche dove non penseremmo di
trovarlo".
E' evidente che si
parla di fede. Attenzione però: la fede dei poeti non è la fede dei teologi, dei
dottrinari. Non è la fede nel dogma, ma è la fede nel mistero, in quell'ignota
forza che sostiene e spinge a rinascere dalle sconfitte, dai naufragi, dalle
morti, dalle disperazioni. Una fiducia nella vita, un amore che è lotta, ed è saggezza
atavica, sapienza innata, anteriore alla nascita di ogni cultura, di ogni
filosofia, di ogni intellettualismo. E' la fede di sempre, non costruita sul
piano storico. Una fede nativa, originaria, purissima, che viene dal mistero, dal
sacro primordiale, pur non disdegnando di ricorrere a simbologie convenzionali.
Nel romanzo "Il soldato
Giovanni", la matrona Giuseppa, terza moglie del protagonista, così si
esprime in punto di morte: "Nessun prete... il Padreterno sa tutto di me.
Datemi una brocca di vino... Il vino m'ha aiutato a campare, m'aiuterà a
morire".
Di questa fede è
testimone la poesia di Rescigno. Una fede elementare, assolutamente priva di
elementi feticistici. E non si dica che questo è Romanticismo. I romantici si
affidavano all'irrazionale, alle fantasie oniriche, mentre qui si parla di realtà,
di sofferenza, di un incanto che porta sulle proprie spalle il disincanto, il
dolore. Solo la Croce apre le porte del Paradiso. Questa è concretezza e questo
è Gianni Rescigno: un cristiano autentico, ma io direi anche un pagano autentico,
con un cuore incontaminato che ben conosce le contaminazioni del mondo. Ne Il soldato Giovanni, egli
fa dire a Nicola, commilitone del protagonista, morente sul campo: “Tutti gli
uomini tirano acqua al proprio mulino. T’imbrogliano talmente le carte in
tavola fino a che non sai più che pensare... E non distingui chi ha torto e chi
ha ragione”.
Grandezze e meschinità si
compenetrano in questa visione equilibrata e saggia della vita. "Siamo
quelli che vorrebbero amare. / Siamo quelli che non lo sanno fare. / Noi siamo
e non siamo. / Siamo il respiro e il sospiro. / Vita e morte in ogni istante. /
Ogni istante eternità e fine". Il canto di Gianni Rescigno si innesta nel
grande filone poetico del realismo contadino e con molta intelligenza critica
Angelucci conduce un confronto tra il nostro poeta ed il russo Sergej Esenin.
Identiche le radici popolari, legate al mito della Terra Madre, al sentimento sacrale
per la natura. Due strade differenti, di cui l'una conduce alla disperazione
per la fine della cultura contadina, e l'altra alla certezza dolorosa
dell'immortalità dell'archetipo contadino. Due modi diversi per dire che per
rinascere occorre morire: conoscenza ben nota, da sempre, nelle arcaiche religioni
contadine.
Quello di Rescigno è un terrestrismo edenico, tanto più etereo quanto più profondamente sanguigno e
carnale. Non è visionarietà contemplativa ed ascetica. Si può volare al solo
patto di restare saldamente radicati al suolo, alla forza di gravità. Ed ecco figure di contadini, di pescatori, di
popolani, di emigranti, di vite spezzate che tuttavia non disperano: “Antonio:
mio amico. / Basso tarchiato, il petto mantello / di peli. Ben nato, colpito da
polio / a tre anni”. E’ insuperabile, Rescigno, nella pietas, nella partecipazione fraterna, antiretorica, ai dolori di
tutti i viventi. Derelitti, emarginati, uomini e donne feriti nel corpo e
nell’anima, che tuttavia accettano con forza d’animo e senza battere ciglio il
loro stato. Egli parla di un’umanità sofferente, di
uomini e donne semplici che accettano rudemente il dolore. Residui di una
cultura immarcescibile, dove la coscienza del male (i sogni “che cadono ad uno
ad uno / come colombe uccise nel volo”) possiede una funzione catartica,
rinnovatrice, anziché distruttrice.
Franco Campegiani
Franco, con il suo superbo intervento, ha 'chiuso il cerchio', consentitemi l'espressione non adeguata, di quel pomeriggio magico, che ha rivisto 'vivere' la Grandezza del Poeta Gianni Rescigno... Con la sensibilità che ben conosco, il nostro Poeta - filosofo ha messo in luce quanto il Poeta fosse teso ad arco verso gli emarginati, verso 'gli uomini e le donne semplici, che accettano rudemente il dolore'. Ovviamente ha affrontato tematiche di altissimo spessore, legate alla fede, al mito, 'al flusso dell'essere e del proprio mistero'. Con nerbo incisivo, efficace, coinvolgente e con umanità struggente, Franco ci ha donato il Rescigno Artista in tutte le sue sfaccettature e si é legato, inevitabilmente, al Saggio dell'amico di sempre, Sandro Angelucci, "Di Rescigno. Il racconto infinito". Una relazione che ha offerto numerosi tributi e che ha reso noi tutti infinitamente più ricchi!
RispondiEliminaGrazie, amico carissimo...
Maria Rizzi