lunedì 2 novembre 2015

N. PARDINI: LETTURA DI "STORIE FANTASTICHE" DI M. GRAZIA FERRARIS


Maria Grazia Ferraris collaboratrice di Lèucade


Maria Grazia Ferraris: Storie fantastiche. Edizioni ETS. Pisa. 2015. Pg. 40. € 7.00



Quattro racconti (di cui uno Titivillus. “Il tentatore dei copisti” vincitore del Premio il Portone 2015), editati coi caratteri della Casa Editrice ETS, Pisa: Storie fantastiche, il titolo.  Una plaquette elegante, raffinata per veste grafica, copertina, carta; un insieme che fa da prodromico ingresso  a quattro storie diverse fra loro per impatto emotivo e costruzione tematica: quella premiata, più Cassandra; Ulisse e Telemaco; Una storia d’antan. Ma ciò che convince e che resta appiccicato addosso dopo la lettura è il modo di scrivere e descrivere; di raccontare e analizzare; di approfondire e attualizzare della Ferraris. Tutto si dipana con freschezza e armonia; il linguaggio ci prende per mano e ci trascina con potenza iconico-ontologica verso quella che è la sua filosofia; la sua visione della vita, della storia, del mito e della leggenda, riadattata, trasformata, rivissuta; tutto è attualizzato. I personaggi si fanno contenitori di subbugli emotivi, solitudini, amori, e vicissitudini dei nostri giorni. E le descrizioni contribuiscono non poco a mettere in risalto il ruolo e la psicologia dei personaggi. Ulisse non è più l’eroe omerico che al ritorno ad Itaca si vendica dei proci e riabbraccia, finalmente, la sua amata Penelope. Né Telemaco riveste più il ruolo del figlio che cerca il padre e che lo aiuta nell’impresa finale. Ulisse non lo conosce, e attraverso il suo racconto, privo di nostalgie, si fa narratore epistolare di un vecchio solitario e lontano da ogni enfasi gloriosa e glorificante; dimentico perfino “di chi ha vinto questa guerra”. “Evito di dirti di questi  miei vent’anni. Se ne parlerà comunque. Ne approfitto per tacere una volta di più, preferendo velarmi di mistero, di avventura e di presunte incomprensioni (…) Sono vecchio, come tutti i vecchi miei compagni che torneranno a rievocarli e ancora a ripeterli all’infinito quegli anni, fin quando i confini tra la fantasia e la realtà saranno del tutto scomparsi”. “Non so proprio chi abbia vinto questa disumana guerra,  quanto e che cosa, “noi vincitori” abbiamo davvero  vinto (…) Con te forse nascerà e si estenderà sul nostro paese una generazione nuova, che non ha bisogno di padri”. Quante verità in queste confessioni: un vincitore che si ritiene sconfitto in una guerra disumana che non porta ricchezza, come nessuna guerra, ma solo dolori e sottrazioni: beata quella terra che non ha bisogno di eroi. Che cosa di più moderno  che cosa di più generosamente umano? E’ qui la ricchezza narrativo-evocativa della Nostra. Ulisse si spoglia della sua veste epica. Si fa uomo, uomo dei nostri tempi, di ogni tempo, che riflette e con parenetico messaggio analizza una realtà che tanto si avvicina a quella che stiamo vivendo, ogni giorno, da quando l’uomo è uomo.  Un essere stanco della vita; dei suoi imbrogli; un essere che, sì, ha fatto la guerra; ma che riflette e quasi vorrebbe dimenticare di averla fatta, ora, nella sua solitudine, e nel male di vivere; lontano, troppo lontano, dagli affetti da non riconoscere più nemmeno la sua Isola e suo figlio: “Mio caro Telemaco, figlio mio sconosciuto, sono finalmente e fortunosamente arrivato… qui, in quest’isola, che non riconosco, e mi dicono chiamasi ITACA”. E non è  Itaca l’isola del sogno, la terra a cui ognuno vorrebbe approdare? allungare sguardi per sottrarsi alle aporie del quotidiano? Ma forse per l’uomo è troppo lontana, irraggiungibile; nemmeno il ricordo di un viaggio è sufficiente a placare l’inquietudine di esistere o a donare la ricchezza di un ritorno:

Ritorno con nell’anima lo sguardo
di una fanciulla intenta al corredo
che giocava spensierata a palla
sorridendo con le ancelle. Torno a sera
zeppo di vita, arricchito di genti di mari e di città
che colmarono in parte le mie voglie.
E questa è la mia sera:
è un’ora che lascia all’incoscienza del mattino
la ricchezza e i dubbi del ritorno. (Da le simulazioni dell’azzurro).  

Un susseguirsi di trame che ci avvincono per compattezza, competenza, conoscenza, cultura, ma soprattutto per l’impiego che la Ferraris fa di questa giostra ricamata di ore che vincono il tempo; per i significati profondi, densi, e sapientemente distribuiti: da quello del racconto vincitore in cui l’Autrice fa sfoggio di eleganza e accuratezza nel  descrivere le varie pratiche dell’amanuense Adalberto; a quello delle vicende dei personaggi, anima del testo, forse più cari e più vicini all’indole poetica e narrativa della Ferraris: Ulisse, Telemaco, e Cassandra, dove, pescare dal fiume ora impetuoso ed ora tranquillo del mito, è particolarmente congeniale alla  scrittrice volta a simboleggiare emozioni; fino alle varie fasi della produzione della carta in Una storia di d’antan, da cui vien fuori la specificità e la cura nel tratteggiare e rifinire personaggi e ambienti di periodi storici come il Concilio di Trento (I tempi sono questi, quelli severi del Concilio di Trento e dell’irrigidimento dottrinale della Chiesa…). E tutto scorre come l’acqua di un ruscello che fa trasparire solo pietruzze bianche da un letto vibrante di scaglie. E’ là che quel corso si sofferma, ad un’ansa, per inviarci un parenetico messaggio; per farci meditare dopo la metamorfosi di un’anima in un tratto delle sue acque: “Ho vinto la guerra: continua a ripeterlo a tua consolazione, ma non dimenticarne mai il costo”.         


Nazario Pardini

5 commenti:

  1. Mi interessa molto il tema dell'attualità del mito, cui Pardini accenna a proposito del romanzo della Ferraris. Le figure mitiche, come l'Ulisse qui raccontato, sono personaggi dei nostri tempi e "si fanno contenitori di subbugli emotivi, solitudini, amori e vicissitudini dei nostri giorni". Archetipi, pertanto, totalmente attuali, più che "attualizzati". Stanno nel nostro spirito, li ereditiamo di padre in figlio, come il seme nel frutto, senza bisogno di studiare il passato (anche se nessuno può vietarlo, considerata l'ininfluenza dell'indagine sul piano universale). Ritengo particolarmente emblematico, al riguardo, il discorso fatto da Ulisse a Telemaco: "Con te forse nascerà e si estenderà sul nostro paese una generazione nuova, che non ha bisogno di padri". Essere se stessi, dunque: credo sia questo l'unico modo per mantenere davvero vivi i padri. Ma l'Ulisse della Ferraris, stando a questa esegesi, contiene altri valori interessanti. Egli è "un vincitore che si ritiene sconfitto", dice Pardini, ribaltando l'immagine epica e vittoriosa che la tradizione gli ha attribuito. In realtà l'Ulisse omerico - e questa rivisitazione della Ferraris lo conferma - è un eroe che subisce sconfitte, naufragi e batoste in equa misura. In fondo, non conta chi vince e chi perde. Tutti vinciamo e perdiamo, e sta in questo equilibrio la grande e vera ricchezza che l'esperienza della vita può dare.
    Franco Campegiani

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  2. Carissimo Nazario, mi sono commossa quasi alle lacrime. La presentazione del mio piccolo libro di racconti è più che magistrale, è condivisione intellettuale ed affettiva di tematiche, pensieri, emozioni, sentimenti i che assediano la mia anima confusamente e talvolta dolorosamente finchè non trovano lo sbocco nella scrittura.
    Io non so come ringraziarti dal profondo dei miei sempre misurati ( per atavica timidezza) slanci amicali, ma credimi poche volte mi sono sentita così capita.
    La poesia che mi dedichi, tratta da- Le simulazioni dell’azzurro- il tuo Ulisse, la tua Nausicaa- ha un finale che è anche il mio:
    “E questa è la mia sera:
    è un’ora che lascia all’incoscienza del mattino
    la ricchezza e i dubbi del ritorno.”

    Grazie a Franco Campegiani: ha colto nel segno il senso del mio scrivere, condivido con lui le osservazioni che va facendo da tempo sul mito, sulla attualità dei personaggi archetipi.
    Il nostro viaggio autentico è simile al loro, tra dubbi, incertezze, presunzioni, paure. Che lavoro
    per diventare se stessi!.

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  3. Ho avuto già il piacere di leggere il precedente libro della stessa autrice: “Il croconsuelo e altri racconti” e sono stata, a suo tempo, trasportata nello straordinario “modo di scrivere e descrivere; di raccontare e analizzare; di approfondire e attualizzare della Ferraris”.
    Con gioia leggo questa bellissima esposizione, del Prof. Pardini, al nuovo libro di Maria Grazia Ferraris che mi porta a desiderare, ancora di più, di immergermi in quel suo particolare e curato uso della parola. In quel suo, raffinatissimo, linguaggio che “ci prende per mano e ci trascina con potenza iconico-ontologica” in un mondo dove tutto è rivolto all’uomo (in questo caso partendo dal Mito) che, nell’ascolto del suo essere, sa guardare Itaca come fosse il faro del dubbio - tanto caro alla filosofia - che riesce a muovere le cose. Altresì mi affascina, sorprendendomi ogni volta che ci penso, la straordinaria, meravigliosa, illimitata possibilità riservata agli umani di viaggiare nel proprio tempo interiore, così estraneo al tempo ordinario, stabilito dagli orologi o dalla storia. Un tempo fitto di linee che si intersecano in ogni direzione, affollato di mille trampolini, da ciascuno dei quali ci si può immergere, in un punto qualunque, in quell’oceano privo di orizzonti che è la vita, dove ogni approdo è una sorpresa, ogni lembo di terraferma una preziosa conquista, ogni viaggio un “lavoro per diventare se stessi”, finalmente!
    Grazie, quindi, al Prof. Pardini per averci mostrato questa “giostra ricamata di ore che vincono il tempo” e grazie a Maria Grazia per il nuovo viaggio che mi spinge a partire, di nuovo, accanto a lei.

    Sonia Giovannetti

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  4. Ho avuto in dono quest'opera da Maria Grazia Ferraris e il piacere di leggerle quasi d'un fiato, come accade con le letture più affascinanti. Ne ho tratto, più o meno, le stesse impressioni (che condivido in pieno per la lettura che ne dà) -e le stesse emozioni- ricevute da Nazario Pardini che,
    da par suo, le ha commentate e proposte. Nazario ha colto, di ULISSE,che parla al figlio Telemaco, che non conosce, l'attualizzazione e e l'ottima identificazione spirituale di un Ulisse che vive questo nostro tempo. Qui M.G. Ferraris ha mostrato le sue doti di scrittrice e innamorata del mito e della vita, del mito che piace (ri)vivere e (ri)scrivere, come il mito va vissuto e trattato. La figura di Ulisse, guerriero deluso e stanco di una guerra in tutto ricca di ingiustizie di barbarie assurde e di umano dolore, che non trova giustificazione neppure nel ritorno dell'eroe (?) ad Itaca, perché Itaca non è più quella che lui ha lasciato prima della guerra, prima di una vita! in cui le armi portatrici di morte e di lutti, hanno prodotto in tutti distruzione e orrore e atroci sofferenze. E' un po' la stupida gloria del mondo e delle umane generazioni, che hanno perso di vista la vera umanità. Perché (consentitemi di dirlo con un mio verso di anni addietro) "Com'è lontana la mia Itaca, ancora".
    E che dire di CASSANDRA -l'indovina mai creduta e ascoltata- ? Quella Cassandra nelle cui parole vive l'immagine di Clitennestra, con una forza sublime nella narrazione che ne fa la Ferraris? Clitennestra è la Nemesi, la vendetta che sta per abbattersi su Agamennone, perché "Clitennestra non ha dimenticato "e ripensa alla sua storia, all'uccisione del suo primo marito, alle nozze forzate e sacrileghe....al sacrificio ....da vile quale è sempre stato, della più piccola delle sue figlie, la dolce Ifigenia....una ferita insanabile tormentosa...Agamennone arrogante e vile" , com'è ora, dopo il ritorno, tronfio e vittorioso. Una Cassandra senza pace e pentita del suo dono divinatorio, perduta a causa dei suoi rifiuti, delle violenze subite. Quella Cassandra che in quello stesso momento va a concludere la sua vicenda e la sua vita. E' questo il modo di rivivere il mito. Complimenti a Maria Grazia Ferraris per queste sue "Storie fantastiche e a Nazario Pardini che le ha così splendidamente lette e presentate.
    Umberto Cerio

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  5. Ringrazio Sonia Giovannetti per la nota di lettura così acuta dedicata alla mia ultima plaquette cogliendo e condividendo il fascino del “viaggio nel tempo interiore” e il mito di Itaca vissuto come “il faro del dubbio”, e grazie a Umberto Cerio che ha letto i miei racconti, e apprezzato l’Ulisse vecchio e perdente, incapace di essere padre e compagno, ma soprattutto la figura di Cassandra, la donna intelligente e libera che “sa vedere” al di là dell’effimero e della vanità, per cui non può, come ancor oggi del resto, essere perdonata…, ma grazie soprattutto a Leucade e al suo intelligente anfitrione che dà la possibilità ai poeti di leggersi vicendevolmente, e di riconoscersi nell’incontrarsi, per caso, come è avvenuto a me, Sonia e Umberto, in occasione di incontri letterari non programmati. Grazie a Nazario e al suo lavoro generoso.
    M.Grazia Ferraris

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