Prefazione a Alda
Magnani: Un pugno di sogni nel cuore. Edizioni
ETS. Pisa. 2015. Pg. 88. € 10.00
Se afferro, per fissarlo sulla carta, il
filo evanescente
di un’idea, provo la sensazione di presenze
annidate nell’intimo, immagini globali, suoni, lettere,
fonemi rettamente segmentati, sillabe compitate
mentalmente, insiemi che cavalcano sull’onda
dei pensieri, come cavalli in corsa, da domare (Immagini
e parole).
Silloge
compatta, armoniosa, duttile e complessa, i cui versi si ampliano con raddoppiamenti
o estensioni per abbracciare le latebre di un’anima in cerca di se stessa. E si
sa che, per cristallizzare l’ebollizione emotivo-intellettiva, urge, prima di
tutto, una parola vasta, un verbo di estrema generosità, che si inanelli in
nessi di urgente creatività, e che tenda ad andare oltre il senso della
canonica sintassi. È quello che fa la Nostra nella sua ricerca puntigliosa di
corpi etimo-fonici che abbraccino con la loro substantia gli slanci cospirativi e le inquietudini del fatto di
esistere: saudade, spleen, melanconia, nostalgia, sottrazioni, e rievocazioni
di giorni e figure che costituiscono il focus della nostra vicenda terrena:
“sillabe compilate/ mentalmente, insiemi che cavalcano sull’onda/ dei pensieri,
come cavalli in corsa, da domare”. Sì, proprio da domare, tanta è la loro
irruenza e il loro gorgogliare; dacché la Nostra sa che l’equilibrio fra dire e
sentire, fra fughe emotive ed argini ben solidi, è il nerbo focale della poesia;
quella fondamentale simbiosi che qui si traduce in prolungamenti continui di
enjambements di cui la Poetessa sente estremo bisogno per scaricare la forza
del suo pathos in una semantica linguistica che non di rado assume forma
prosastica per soddisfare le esigenze di tanto sentire. Quelle di un memoriale che
con tutta la sua vis empatica torna a farsi vivo di immagini da nirvana edenico:
paesaggi e colori, infanzie e suggestioni, gesti ed abitudini che nel loro
insieme significano antiche primavere, e momenti di generosa rievocazione
affettiva:
Lasciate che contempli la mia
terra
negli angoli che furono la culla
dei sogni di un’infanzia spensierata.
(…)
Lasciatemi lanciare sul pelo
di quell’acqua
un sasso piatto che faccia rimbalzello.
Non potrò fare a gara con nessuno,
solo recuperare un po’ d’infanzia (Lasciate…),
ma
anche momenti di solitudini e sensi di vuoto per la scomparsa di figure
insostituibili; di sorrisi e abbracci
che erano cosa normale in un tempo e che
nella rievocazione si tramutano in immagini di grande effetto sottrattivo:
Ridatemi il richiamo di mia
madre
che aveva voce tersa di cristallo,
chiara e squillante
come le mattinate di febbraio
che risplendono ancora
sul ghiaccio screpolato del mio inverno (Attesa).
Sembra
quasi che la poetessa chieda aiuto alla natura, ai suoi palpiti cromatici, alle
sue vicinanze esplorative, per raggiungere stadi espressivi di reale
concretezza. Ed è così che le mattinate di febbraio, o il ghiaccio screpolato
dell’inverno si fanno corpi viventi di input interiori vogliosi di rinascere.
Un epifanico senso di esplosione vitale che proviamo, forse, solo nel
ripercorrere i tanti momenti trangugiati da un tempo che scorre impietoso e
senza stasi, lasciando dietro sé cocci, ma anche pietre preziose che con il
loro splendore sanno vincere il potere dell’oblio:
Nella mia casa antica anche la
luna
ora campeggia grande come il sole,
illumina i ricordi
appesi come quadri alle pareti.
(…)
Ora vorrei partire. È giunto il tempo.
Vivo ormai ai confini dell’oblio (Ai
confini dell’oblio).
Partire;
un tema da Voyage baudelairiano: “Ô Mort, vieux
capitaine, il est temps! Levons l’ancre!/Ce pays nous ennuie, ô Mort!
Appareillons!”, che esprime il desiderio del poeta di lasciare
la vita, tratto breve e doloroso. E nella Nostra c’è intensa l’idea che l’esistenza sia il tempo prestato dalla morte e che lo spazio ristretto di un soggiorno sia destinato a finire proprio nell’oblio; “Tra noi e l’inferno o il cielo c’è di mezzo soltanto la vita, che è la cosa più fragile del mondo” (Blaise Pascal, Pensées); d’altronde la vista terrena non è assai forte da allungare sguardi oltre le ristrettezze del nostro esistere. Ed è proprio per questo, per la sua plurale problematicità, che la silloge raggiunge stadi di tale potenza umana da declinarsi in un lirismo oggettivamente contaminante, e a noi vicino, dacché sono il senso del mistero, e l’incapacità di avvicinarsi al tutto, a creare quelle inquietudini esistenziali che oltre a colpire la nostra essenza ontologica, si fanno anche terriccio fertile per un buon poièin. Per una poesia che si ciba di tristezze e solitudini, di voci e di canti, di tragedie e giovani amanti, di sogni e di storie reinventate:
la vita, tratto breve e doloroso. E nella Nostra c’è intensa l’idea che l’esistenza sia il tempo prestato dalla morte e che lo spazio ristretto di un soggiorno sia destinato a finire proprio nell’oblio; “Tra noi e l’inferno o il cielo c’è di mezzo soltanto la vita, che è la cosa più fragile del mondo” (Blaise Pascal, Pensées); d’altronde la vista terrena non è assai forte da allungare sguardi oltre le ristrettezze del nostro esistere. Ed è proprio per questo, per la sua plurale problematicità, che la silloge raggiunge stadi di tale potenza umana da declinarsi in un lirismo oggettivamente contaminante, e a noi vicino, dacché sono il senso del mistero, e l’incapacità di avvicinarsi al tutto, a creare quelle inquietudini esistenziali che oltre a colpire la nostra essenza ontologica, si fanno anche terriccio fertile per un buon poièin. Per una poesia che si ciba di tristezze e solitudini, di voci e di canti, di tragedie e giovani amanti, di sogni e di storie reinventate:
Sono cresciuta ascoltando le
storie
narrate attorno al fuoco del camino,
storie di miracoli e di santi,
di avventurieri e grandi peccatori,
storie di tragedie e di giovani amanti
partiti per la guerra e mai tornati,
storie di pozzi dove ci si sentiva,
di donne ritenute vere streghe,
di pozioni, di filtri e sortilegi,
di licantropi e di cani fedeli.
(…)
Vorrei tornare ad ascoltare
storie
che mi insegnino il senso della vita.
Dopo che da quel posto son partita,
si spensero i camini ad uno ad uno,
si serrarono gli usci
e l’ombra ha ricoperto già da tempo
le strade di un paese in agonia (Attorno
al fuoco).
Quanta
humanitas in questi versi, quante pulsioni che richiamano alla plurivocità di
una storia, alla polisemica significanza del suo estinguersi, all’ombra che “ha
ricoperto già da tempo/ le strade di un paese in agonia”.
Ma quello che alfine domina in questa plaquette di urgente impatto umano è l’amore per la vita, quella a venire, anche, perché la Magnani è pienamente cosciente della sua sacralità, della sua bellezza; ella la ama, ed è per questo che ne rimpiange i momenti migliori; ed è per questo che la rivive con dolore e con nostalgia, quasi le fosse sufficiente rievocarla per farla di nuovo sua; per trasferirla, tutta intera, in un sorriso che sa tanto di amore:
Ma quello che alfine domina in questa plaquette di urgente impatto umano è l’amore per la vita, quella a venire, anche, perché la Magnani è pienamente cosciente della sua sacralità, della sua bellezza; ella la ama, ed è per questo che ne rimpiange i momenti migliori; ed è per questo che la rivive con dolore e con nostalgia, quasi le fosse sufficiente rievocarla per farla di nuovo sua; per trasferirla, tutta intera, in un sorriso che sa tanto di amore:
Mi appari nel pulviscolo dei sogni
– quelli dell’alba,
ricchi di promesse - .
Guardo sul cassettone la tua foto,
filtra il non detto in lampi di sorriso (Lampi
di sorriso).
Nazario
Pardini
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