Adriana Assini. Rosso di Tiro, blu d’Oltremare. Una storia fiamminga. Scrittura&Scritture. 2020
-Un vento salato muggiva su Bruges. Il
cielo, gessoso, incombeva sui vicoli, lambiva i possenti bastioni e le torri,
incorniciando in una fredda aureola lo scuro castello del Conte-. Così inizia
la nuova opera di Adriana Assini, con uno schizzo iconicamente leggero da vera
pittrice, e lei lo è; lo dimostra nel prosieguo del romanzo, dove le storie si
intrecciano in ambienti rappresentati con acribia intellettivo-emotiva, senza
lasciare niente al caso. Questa è Adriana e questo il suo stile che ti
abbraccia e promette di portarti alla
fine dandoti il piacere di leggere vicende infiocchettate in batuffoli di
ovatta. Un dire che ti sfiora e ti accarezza come lo può fare una piuma sul viso.
Mentre gli uomini sono impegnati in vere guerre, le donne della Compagnia della
Conocchia “si incontrano di nascosto nelle fredde notti tra Natale e la Candelora”, e,
scambiandosi consigli sulla vita e sulla morte, coltivano un grande sogno
comune. Tutto è leggero, fluente, sapido di vita e di storia trecentesca, di
cui la Nostra è oramai una grande specialista. Adriana si prepara, studia, si
forma, e sa immettersi nei panni di quella gente, diventando ella stessa
personaggio indispensabile alla trama. Non solo perché lei è la scrittrice, ma
soprattutto perché è talmente immedesimata che vive le scene come fosse una di
loro. Quando Grand stava bruciando: “… Tra le botteghe a pelo d’acqua. Le
decine di battelli in transito e una folla di mercanti, appresero che Gand
stava brucando”. Lei è in quella mischia di gente e battelli, in quel
formicolio di vita, a respirare il fumo dell’incendio, a tormentarsi per le
sorti delle torri possenti che ancora incutevano terrore. E’ lì, tra quei fatti, tra quegli
accadimenti, veri, usciti da una penna di magistrale intuizione poetica.
Poetica, sì, dacché solo la creatività e l’intuizione di una poetessa si
possono lanciare in un trionfo di rappresentazioni
d’iconica visività. I personaggi vivono dei contorni della scenografia. Gli
ambienti li formano e danno loro quella carica psicologica fattiva: il discorso
si fa indiretto, anche se dialogico, l’autrice parla con l’apporto degli
elementi naturali che li avviluppano: “… tra ciarle e sospiri, le filatrici
fecero incetta dei lampioni e di altri minuti doni del bosco, tenendosi alla
larga tanto dai covi dei lupi quanto dalle capanne dei carbonai. Non
disperavano, invece, d’incontrare qualche creatura del bosco: fauni, fate, e folletti custodi di arcani
silvestri. Finché, affidandosi al solo senso dell’orientamento, non ritrovarono
l’olmo secolare sotto il cui mantello spesso andavano a rifugiarsi per chiedere
consiglio su come dirimere grandi
dilemmi o piccoli fastidi”. Fate, boschi, misteri. Ingredienti tipicamente
medioevali che ci danno la contezza di un’epoca in cui le genti vivevano di
tali contaminazioni. I personaggi sono del tempo, con una psicologia
tipicamente influenzata dal mistero del bosco, e delle sue profondità. Le
descrizioni si susseguono con una forza rappresentativa di grande elasticità:
“… Le foglie ingiallivano appena in quell’inizio d’autunno, ma da nord soffiava
già il temibile Aquilone, portando i suoi gelidi mugugni fin dentro le case
riscaldate a stento dai camini”. O ancora: “… Mare brusco, mare nero. E un
vento furioso che muggiva senza posa su Bruges… Spuntata l’aurora, la città dai
cento canali biancheggiò di una luce irreale, sotto una coltre di neve”. Non è di certo compito del critico scrivere della
trama e degli intrecci che la compongono, quanto piuttosto quello di rilevare
le caratteristiche formali e la simbiotica fusione tra dire e sentire; al
lettore il compito di leggersi le pagine di questo emozionante e ben nutrito
testo, che senz’altro lo lasceranno di stucco e per la forza espositiva, per i
contenuti storico-creativi, ma soprattutto per l’inventiva di una scrittrice
che scrive dando sostanza alle sue creazioni.
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