Maurizio Donte, collaboratore di Lèucade |
Qui di seguito mando una mia
"invenzione" se si può definire così: una "canzone rondò
incatenata", costituita da sei stanze di quattordici versi (in pratica
sonetti a metro ABAB ABAB CDE EDC) dove l'ultimo verso di ogni stanza rima col
primo della stanza seguente, fino ad arrivare all'ultima stanza che riprende le
rime della prima, come nel rondò, appunto.
Altra particolarità sta nel fatto che la
prima stanza può essere "sganciata" dal resto e letta come un sonetto
autonomo.
Altrove
(canzone rondò incatenata)
Non è un mistero che io sia nel vento
una foglia perduta che si muove,
e si abbandona poi senza un lamento
là dove la trasporta: non so dove.
E passano le nubi e il sole è spento
e l'ansia del non vivere si muove,
mettendomi nel cuore un sentimento
che presto viene meno mentre piove.
Non so dove cercar nell'universo,
non so dove guardare in questa vita,
che brancola nel buio sul sentiero
e si dipana innanzi nel mistero
senza sapere mai se si è smarrita,
o se seguendo vada il giusto verso.
Così io non lo so, se sia diverso
l'andare nostro avanti indifferente
fra le tragedie umane ed il perverso
desiderio del male nella gente.
Così sembra che sia da sempre emerso:
il voler dominare inutilmente,
recando sofferenza a chi è diverso,
secondo il nostro canone presente.
E mi domando perché mai, allora
il disegno di opprimere persone
trovi da sempre un seguito che
cresce,
senza lasciare dubbi, e non rincresce
mai a chi muove la guerra e
l'oppressione,
come se questo non portasse ancora
guai ad un mondo in cui si sa signora
la fame, l'ingiustizia e carestia,
l'iniquità costante che dimora
in mezzo a sofferenza e malattia.
Di fango la coscienza, d'ora in ora
non segue alcun disegno, purché sia
la sete di potere che divora
soddisfatta per lei lungo la via
che passa tra i frangenti scoloriti
di sogni e di speranze a lei non
note,
di cose che non hanno l'importanza
che merita il dominio che si avanza.
Perduta umanità, ti sono ignote
le luci dell'amore, e l'hai traditi
i desideri altrui, e son smarriti
i disegni di chi pensava ancora
aver diritto a beni ormai finiti
nei meandri perversi tuoi, finora.
Hai perduto di vista gli infiniti
bisogni nostri e ti atteggi a signora
su chi possiede il niente. E noi sfiniti
siamo da te, dal soldo che da allora
domina tutti noi, come un mistero
iniquo, cui si deve l'obbedienza,
sebbene sia soltanto un gran dolore
sostituir con ciò, passione e amore
per Chi da tempo assai, facciamo
senza.
Per tal motivo si è perso il sentiero
che porta ad altro, sì, conduce al
Vero.
Tenebre che riportano il presente
ad avere quell'unico pensiero
volto al proprio interesse, agli altri
niente.
Dolore insopportabile: non spero
che cambi mai qualcosa nella mente
di chi comanda e domina nel nero
che ammanta il desiderio di recente.
Guardate cosa siamo: l'universo
in cui si perde ogni cognizione
del tempo e dello spazio, ci misura:
ebbene, siamo niente! Sarà dura
Io so, per noi, una tale sensazione,
ma non potrà mai essere diverso,
il tempo fugge via, seguendo il verso
che tutti porta via senza un lamento:
sia noi, che chi si pensa sia diverso
perché non corrisponde a noi nel lento
venir del fiume in cui ognuno è
perso.
Desiderar dominio, allora è spento,
e il nulla rimarrà del tuo perverso
sogno! Che viva settant'anni, o
cento,
tutto si smarrirà, non saprai dove.
E ti sia di conforto un tal
pensiero,
uomo che dominavi l'altrui vita:
vedi che nella tenebra infinita
l'esistenza si chiude nel mistero
che tutti ci raduna nell'altrove.
Maurizio Donte 22/11/2020
grazie professore
RispondiEliminaMi trovo disorientata di fronte allo scritto che qui precede!
RispondiEliminaPeccato, perché era mia intenzione postare un commento come il Poeta Donte merita..
Ho già espresso un mio giudizio su questa "Canzone" al poeta stesso, in altra sede, qui dirò soltanto dell'impegno che Donte mette in ogni cosa che scrive, impegno che rivela serietà e passione, oltre che bravura e particolare attitudine.
Mi piace aggiungere questo mio personale pensiero: per chi frequenta la Poesia il poeta Maurizio Donte credo che possa rappresentare almeno una curiosità e finanche motivo di riflessione, pertanto meritevole di attenzione.
Ringrazio il Poeta per il suo costante studio e la passione per il genere di poesia che predilige.
Edda Conte.
ti ringrazio tanto, carissima Edda per la gentile attenzione con cui mi segui sempre
EliminaCaro Maurizio, non v'è dubbio che il tuo percorso di studioso della poesia, nel senso pieno del termine, ovvero dell'Arte di esprimere, con parole disposte metricamente in versi, un'immagine, un fatto, un pensiero, un sentimento, una fantasia, che traducono un'esperienza soggettiva o universale, sia encomiabile e inesausto. Sei legato alla grande Letteratura e, dal metro classico, attingi per sperimentare, rinnovare, accrescere, ampliare gli orizzonti poetici. Questo rondò incatenato ne è la dimostrazione. Se non rammento male il rondò fu un'intuizione dello studioso fiorentino Dalmazio Masini, amico mio e di mio padre per lunghi anni. Ovviamente il genere è stato poi coltivato da tanti esperti di metrica e tu sei riuscito a lavorarci fino a questo gioiello di sei stanze incatenate. Ti confesso che trovo incredibile il lavoro di ricerca che sottende un'Opera simile. La prima stanza, ovvero il sonetto, che 'si può sganciare dal resto', rapisce i sensi. Si è trascinati nella tua allegoria, nel tuo sentirti:
RispondiElimina"foglia perduta che si muove,
e si abbandona poi senza un lamento"
Echeggi i grandi della nostra Poesia e smuovi le fronde del cuore. Dipingi il nostro status attuale con versi che stordiscono. Ti ringrazio per quest'ennesima lezione e ti applaudo. Con affetto antico.
Carissima Maria, mi commuovi. Ebbene sì, il Rondò italiano, come la canzone rondò e il sonetto speculare, furono alcune delle meravigliose intuizioni metriche del compianto Dalmazio Masini, fondatore della Accademia Alfieri, a tutti noi ben nota, autentico tempio della tradizione e della innovazione metrica. Ti ringrazio del tuo intervento, che mi consente di dare spiegazione sulle origini di questo lavoro, che nasce, come da te ben intuito, dallo studio e del rondò, e della canzone rondò di Dalmazio, in parte, e in parte è figlia della canzone petrarchesca, in particolare della canzone frottola,(con tutt'altro argomento di quello tipico della frottola, si intende) dove però la rima finale della prima stanza rima al mezzo col primo verso della successiva. Il sonetto, poi, scelto come stanza di canzone, non è altro che il ritorno alle origini del sonetto stesso. Insomma, un tentativo di innovare il metro, nel solco della nostra tradizione classica, proprio come amava fare il nostro caro Dalmazio.
Eliminagrazie ancora del tuo commento
un abbraccio
Maurizio