lunedì 16 novembre 2020

SONIA GIOVANNETTI LEGGE: "OPERA INCERTA" DI ANNA MARIA CURCI

Anna Maria Curci

Sonia Giovannetti legge "Opera incerta” di Anna Maria Curci (L’arcolaio 2020)


Ha visto la luce, nel mese di novembre, l’ultima raccolta di poesie di Anna Maria Curci con la casa editrice L’arcolaio, non nuova alle pubblicazioni della poetessa.
Avevo già avuto il piacere di leggere gli inediti di questo libro e mi avevano avvolto in un clima poetico alto, autentico e onesto. Non avevo, allora, avuto la piacevolezza di leggere l’acuta postfazione di Francesca Del Moro che lo accompagna e che diventa congiunzione di pensiero e dignità della parola.
Voglio riproporre, in questa sede, la mia riflessione per l’allora inedita raccolta e che sento condensata in me ancora oggi.

L’“opera incerta” di Anna Maria Curci lascia trasparire già dal titolo un’ispirazione intensamente poetica, poiché proprio in quell’aggettivo – “incerta” – si palesa un tratto decisivo della poesia medesima come attività creativa: “L’incertezza di significato è poesia incipiente”, scrive infatti George Steiner. E se poi l’autrice concepisce l’incertezza generatrice e connotativa dei suoi versi come un “mettere insieme elementi diseguali”, non possiamo, come lettori, non essere indotti a chiederci – e a chiederle – quale sia il collante con cui la poesia procede ad assemblare materiali ideativi affatto eterogenei. Ma forse lo chiederemmo invano – e, va detto, inevitabilmente invano –  se è vero che “la poesia è qualcosa di oscuro che fa luminosa la vita (Pasolini)”, è “un viaggio nell’ignoto (Majakovskij)” e “non è poesia se non racchiude un segreto (Ungaretti)”.

Se, inoltre, coniugare tra loro le diversità appare all’autrice una sfida ai tempi che corrono e, insieme e perciò stesso, la prefigurazione di un destino “inattuale” per siffatta poesia, quale altro e più decisivo indizio potrebbe definitivamente convincerci della fibra veracemente poetica di questa silloge, atteso che la poesia è, al tempo stesso, “cosa del tempo” e fuori dal tempo, figlia e madre di Crono, presenza immanente e vitale, ancorché discreta ed eterea, della vicenda umana.

Colpisce, nella silloge, un elemento ricorrente che fa da trama unificante alla pur manifesta diversità dei suoi temi: la presenza ammaliante del mistero, come in “Avvistamenti” (“Della sciarada resta l’anelito, l’attesa”), in “Iris Indaco” (Tu rannicchiati dentro l’anagramma, cerca lo schermo, cerca il nascondiglio”) e, accanto e frammista ad esso, una fascinazione utopica per il futuro, per il tempo invisibile – dunque mistero anch’esso –  variamente declinata come attesa, anelito, speranza (v. “Barcaiola” e, ancora,  “Avvistamenti”).

Ma non solo: se la realtà appare, secondo certa tradizione filosofica, come l’opera di uno scultore vagabondo che raccoglie, “un filo qui, una latta là, un pezzo di legno più in là” (Leibniz), unendoli tra loro come in una deriva naturale che si dipana tra caso e necessità, ma in realtà assecondando inconsapevolmente un’imperscrutabile finalità divina, nella poesia di Anna Maria Curci c’è l’intuizione di un “che” oltre il visibile il cui disvelamento, ancorché problematico e incerto nell’esito, è tuttavia una sfida a cui la poesia non può sottrarsi. 

Sembra infatti che l’autrice si affidi al proprio poetare come ad una sonda, deputata a scandagliare la realtà visibile per ricercarne il senso – “il prodigio” – nelle sue “fenditure”, oltre “i sipari i tuoni le tribune”. Ma non è forse, giustappunto, compito dell’arte incaricarsi di portare alla luce “ciò che non si vede”? Senonché, questa poetessa pare davvero proporsi ai lettori come un moderno Odisseo, intenzionata anch’essa a varcare le Colonne d’Ercole, a sfidare l’ignoto (come nella migliore poesia) e tuttavia ella si dispone all’avventura del viaggio – e alle sue…“incertezze” – indotta non solo dalla curiosità, metafora dell’essenza umana e chiave di ogni progresso, ma anche da una segreta fiducia in quell’”oltre” in cui si racchiude il destino dell’uomo e verso cui la sua Barcaiola”  traghetta se stessa con l’animo aperto alla speranza.

Infine: l’“attesa”, la stessa “speranza”, insieme ai ricordi (“8 settembre 1943”) sono non solo soggetti potentemente operanti nei versi della silloge: sono anche modi di coniugare il tempo al futuro e al passato. Il tempo, dunque, come “motore” della macchina poetica in questa come in ogni poesia degna di tal nome. Dove, infatti, se non nel tempo, trovano il loro posto – e la loro plausibilità – il sogno, la speranza, l’utopia? E dove altrimenti acquista senso l’impegno civile, il ricordo fecondo e vitale, la fiducia in un “noi” possibile, ancorché oggi inattuale?

Il tempo appare così il sottofondo implicito e necessario di questo verseggiare assai suggestivo, un’intuizione felice. Fu proprio Benedetto Croce, del resto, a definire la poesia “un’intuizione cosmica”; e si parva licet…

Si deve esser grati, dunque, ad Anna Maria Curci per averci messo di nuovo in contatto, grazie alla sua silloge meravigliosamente “incerta”, con il senso più genuino e profondo della poesia.

Sonia Giovannetti

 

 

Anna Maria Curci poetessa, giornalista e critico letterario. Docente di tedesco.

 

 

 

 

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