venerdì 27 novembre 2020

MARIA RIZZI LEGGE: "ANIMA MIA" DI GIANNICOLA CECCAROSSI

 

Maria Rizzi,
collaboratrice di Lèucade


ANIMA MIA

 

Ho ricevuto l’ultima Silloge dell’amico e illustre Poeta Giannicola Ceccarossi, “Anima Mia” edita dalla Ibiskos Ulivieri, e posso affermare, senza alcuna piaggeria, che è stato un dono più prezioso di un diamante.

L’Autore introduce il testo con due versi della lirica ‘Disposiciones’ di Pablo Neruda, tratta dal volume Canto General, nel quale i quadri sono figurativi, ovvero non soggetti a rilevanti deformazioni rappresentative, versi nei quali la morte è sentita come un ritorno al ventre materno. Si tratta di una reimmersione nel ciclo perenne di morte e rinascita, una discesa negli alvei oscuri percorsi da linfe sorgive. L’intera Raccolta di poesie di Ceccarossi si identifica con il significato della lirica del Poeta cileno. Il libro, infatti, è un lungo canto d’amore dedicato alla moglie Patrizia, un calarsi nella storia che condividono per riviverla fino all’eternità che li attende e che rappresenterà un ritorno al ciclo del loro amore terreno. La Silloge è concentrata sulla donna che dà senso e scopo alla sua esistenza: non esiste prefazione, solo una Nota Critica del Poeta che, con pudore, esprime la propria scelta. L’Autore evita i fronzoli, si presenta nudo, autentico e ispiratissimo. Il titolo stesso dell’Opera è di commovente tenerezza: un sussurro, un richiamo, un modo di saldare due anime in una sola. L’amore viene considerato un  sentimento inflazionato, ma al tempo stesso è il motore dell’esistenza e, in questo caso, la padronanza dell’ars poetica di Ceccarossi lo rende la scalata del proprio Everest personale: ogni giorno, ogni passo simbolizza un frammento d’immenso. Il tempo

per il Poeta è solo un’idea, nel concetto dell’amore per Patrizia tutto è fermo:

“E’ sempre la stessa

  La tua voce

  Stesso il tuo respiro

  Stesso il tuo sguardo

  E il mio amore?

  Sempre lo stesso” – tratti da “E’ sempre la stessa”

Questi versi che aprono la Silloge lo dimostrano. Sembra che le stagioni dell’esistenza siano iniziate con il primo incontro, che viene suggellato nella seconda lirica e definito ‘incantesimo’- termine derivante dal latino, composto da ‘in’ – intensivo e ‘cantare’, ovvero recitare formule magiche -. L’incantesimo simbolizza la genesi dell’impossibile, la consapevolezza del potere che travalica le frontiere del fantastico invadendo la realtà. Il testo, a tratti, è elegia, ode. Celebra la meraviglia dello stare insieme e affresca con pennellate di raso la presenza di Patrizia:

“Aleggiano farfalle

  sul tuo viso

  e canti

  inebriano l’aria.

  La tua presenza

- di passi delicati -

  avvolge le mie mani”  – Tratti da “Aleggiano farfalle”

La cifra stilistica dell’Autore è caratterizzata da sorprendente fuoco creativo e dall’adozione di figure retoriche che consentono al lettore di seguire il vincolo magico dell’incantesimo, di esserne rapiti. I versi evocano, nel potere immaginifico, le Odi di Pablo Neruda, anche se quest’ultimo era sovrabbondante nella materia, mentre il Nostro tende all’essenza e in poche sublimi metafore racchiude il senso dei momenti d’amore:

“Ti osserverò

  mentre intrecci

  coralli e fili d’argento.

  E sognerò

  di scorgerti all’alba

  con fiori di sambuco

  a coronare i tuoi capelli” – tratti da “Ti osserverò”

A mio umile avviso l’arte della sottrazione rappresenta un valore aggiunto a questo Cantico delle stagioni attraversate insieme.

Talvolta i versi si posano sui dettali: la fragranza / che si confonde con i gerani; gli occhi / che ancora cercano le nostre dita; i palmi / che ancora gli sfiorano il volto: elementi preziosi del paesaggio della storia d’amore, serbati con cura, mai dati per scontati. Ceccarossi mette in luce quanto un sentimento grande muti la topografia dell’esistenza. Tutto cresce intorno a esso, come un rampicante, e l’unica cosa che conta è la radice, il tronco vitale, il resto sono soltanto foglie che crescono, poi cadono e vengono rastrellate via lasciando il posto alle altre.
La penultima lirica “Quando uscirò” che visita con splendidi fermo - immagini il paese dei ricordi, contiene due versi, che si potrebbero definire un forcipe per le emozioni:

“Rammenteremo i giorni lieti

  e quel figlio tanto sofferto”

Nulla è spiegato, d’altronde non è compito della Poesia spiegare, ma si è indotti a pensare all’ambiguità del termine ‘dolo’: in amore non è possibile distinguere la felicità dalla sofferenza, in quanto l’una è la ragione dell’altra. La composizione che chiude

la Raccolta è un urlo muto di amore totalizzante, una scossa elettrica che attraversa le fibre e si ferma nel petto:

“Quale sarà

  il mio ultimo pensiero?

  Il mio ultimo pensiero

  sarà per te

  Anima mia” – tratti da “Quale sarà”

Terminata la lettura ho realizzato ancora meglio che il senso di un vero amore si compie se si nasce e si muore ogni giorno nell’inizio e nella fine dell’altro… E, nella commozione, ho pensato che ogni donna, anzi ogni persona, per entrare nel cerchio dell’incantesimo, deve sognare un romanzo in versi come quello concepito da Giannicola Ceccarossi.

Maria Rizzi

 

1 commento:

  1. Ringrazio di cuore il nostro Immenso Nume Tutelare per aver pubblicato subito questo umile Dono all'Amico e prestigioso Artista Giannicola Ceccarossi. La mia ammirazione per entrambi è infinita. Li abbraccio con tutto l'affetto che posso.
    P.S. Errata corrige: all'inizio ho scritto EDITO E NON EDITA: Chiedo venia all'Autore...

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