UMBERTO CERIO,
COLLABORATIORE DI LEUCADE
RICORDO DI UMBERTO CERIO
di Pasquale Balestriere
Pasquale Balestriere, collaboratotre di Lèucade |
L’uomo e lo scrittore
La sera del 10 febbraio di
quest’ anno, che s’avvia al suo epilogo, partiva per il suo ultimo viaggio il
carissimo, fraterno Amico Umberto Cerio.
Scrivere di lui genera in me una intensa
emozione, una commozione straordinaria; perché Umberto è stato uomo di profonda,
cólta e gentile umanità che ha permeato, in varie forme, ogni aspetto della sua
personalità e della sua vita; e perché io e lui abbiamo parlato tanto e ci siamo confrontati così a lungo - in un
lasso di tempo relativamente breve - che
adesso mi risulta difficile e doloroso disabituarmi a quelle chiacchierate
telefoniche che spesso scavalcavano l’ora.
L’avevo conosciuto al premio di poesia “Città
di Quarrata”, in occasione della cerimonia conclusiva. Non tanto tempo fa, se era
il 20 ottobre 2013. Sulla terza di copertina del libretto che contiene le
poesie premiate e segnalate in quel
Concorso e che conservo con cura è ancora annotata la sua mail, seguita dai
recapiti telefonici. E ricordo che quella giornata riservò al Nostro un’amara
sorpresa, quando gli capitò di leggere, tra le poesie segnalate, una lirica di
una nota plagiatrice che aveva attinto molti versi, oltre al titolo, da un suo
poemetto. Rimase molto turbato il buon Umberto; e mi confidò di sentirsi come
chi si era appena accorto che qualcuno gli aveva sfilato il portafogli dalla
tasca. Ma ben presto si riprese e tornò gioviale come sempre capitava - a lui
che era tendenzialmente un timido-
quando si trovava nel contesto giusto.
Neppure sette anni è durata la
nostra amicizia. Ma è stato un gran tempo di scambi affettivi, culturali,
poetici; di discussioni e di approfondimenti sui più svariati argomenti, dai
quali mi appariva tutta intera la dimensione del professore e del poeta, dello
studioso e del politico che per lungo tempo aveva servito il suo paese,
mettendo in quest’attività onestà, passione e competenza.
Umberto era nato a Larino, in
Molise, il 2 giugno 1938. Laureatosi in Filosofia all’Università di Urbino,
aveva insegnato Materie letterarie e Latino nei Licei. Vincitore di numerosi premi e riconoscimenti
in concorsi letterari, inserito in parecchie antologie e storie letterarie del
Novecento, è stato autore delle seguenti opere di poesia:”Metamorfosi” (1971),”
Arcipelago” (2002), “Dialogoi” (2004), “Oltre
il mare” (2005), “Il gabbiano bianco” (2006), “Il mio exodus” (2006), “Solitudini”
(2009), “Diario del prima” (2011), “La luce o del gioco delle memorie” (2016),
oltre che di saggi e di una curatela, in edizione scolastica, di “Epistolario
collettivo” di Gian Luigi Piccioli (2003). Attualmente è in corso di
pubblicazione l’ultima silloge approntata per la stampa dall’Amico Umberto, il
cui titolo “Il poeta non muore” sembra assumere funzione di presagio e di
profezia.
Un uomo buono, Umberto, con
tanti pregi; in primis, nobiltà d’animo, onestà, gentilezza e discrezione. E
con una cultura di grande spessore. E un cuore da Poeta.
*********
Il Poeta
Ma è il momento di trattare
del Poeta. A questo scopo ho chiesto ad alcuni amici poeti che l’hanno
conosciuto di portare la loro testimonianza.
Ecco la testimonianza di Nazario Pardini, il “padrone di casa”, che si esprime su “Il
gabbiano Bianco” (le liriche a cui Pardini rimanda con le sue citazioni si
possono leggere in fondo al post).
Per
Umberto Cerio e il suo “gabbiano bianco”
Poesie
di una tale intensità umana che si fanno tue; che vorresti averle scritte tu
perché c’è il gabbiano bianco, c’è il mare, la lontananza, il brivido che ti
lascia addosso il verso pulito, armonioso, fluente, denso, zeppo di simbologie
che tornano a dirti della precarietà dell’uomo, della fugacità del tempo, di
quella temperata e mai eccessiva nota di saudade che ingentilisce il tutto.
Insomma perché ci sei tu, ci siamo tutti. Sì, qui si vola; si vola come i
gabbiani baudelairiani, perché non siamo
fatti per stare a terra; a terra si brancola, si dimena ridicolamente: il poeta
vuole il cielo, la luce, l’amore, la vita; vuole la libertà; l’attuazione
del sogno di una storia: “… Ora tace deserta la marina./ L’ombra si
allunga e vibra/ piena di una dolcezza atroce,/ acre adduce le tracce di
silenzi/che avevano parole/ di remote memorie e di futuro.”. Tace la marina ora
che il gabbiano bianco ha spiegato le ali vero orizzonti nebbiosi. Ma Cerio non vive di semplice nostalgia; può
seguire con la fantasia il suo gabbiano, anche se l’immagine si confonde con la
bruma: “…Nel vento continuo ad
inseguire/il mio gabbiano bianco/ che vola nella luce della vita.”. Una poesia
farcita di metaforici allunghi allusivi, di scaglie lucenti di mare, di ombre
vaganti di sera, come lo è il percorso di un’intera esistenza; e si sa che
quanto più una storia prolunga la sua traccia, tanto più cospicue sono le
memorie che si lascia dietro; forse sono proprio quelle ad allungarne il
tragitto. Basta ricuperarle, fattesi nuove, vestite di soffice gentilezza, di
amorosi sensi, di brividi memoriali.
Basta che il gabbiano bianco non ci abbandoni e che ci permetta di
seguirlo nei suoi volteggi, anche se la vita ci vuole a terra senza ali: “… E’
il mio gabbiano bianco/ che prende il mio posto/ e scambia il mio cuore col
suo./ E la notte non è più buia./ / Mi sei entrato nell’anima/ e mi hai placato
inquietudini,/ oscuri abissi scavati nel cuore.”, basta che scambi il suo cuore
col nostro, che ci entri nell’anima, perché la notte non sia più buia. Basta
che la voglia di vivere sia lucente come il dorso di quel gabbiano trafitto dai
raggi del sole: amore, memoria, maturazione, riflessioni, cotidie morimur,
sogni, volo, e quesiti che si mangiano risposte. E spero che Umberto voli alto
come il suo gabbiano.
Nazario Pardini
Ecco
ora la testimonianza di Giuseppe Napolitano,
poeta e scrittore formiano.
“Si è fatta nostalgia la sua mancanza, e nobile vive il suo ricordo”
Un “signore” della parola: così voglio ricordare
Umberto Cerio. Per la sua eleganza e la padronanza nell’uso dell’espressione
poetica (ma pure per il suo misurato eloquio, l’acume nel pensare e l’arguzia
nel dire), per il garbo consapevole delle abilità e delle possibilità della sua
cifra letteraria, sempre al servizio di un “modus” diventato abitudine di vita.
L’ho conosciuto (nel 2010) in occasione di un
incontro poetico alle Isole Tremiti, “La nave dei poeti”, e l’ho poi
frequentato per diversi anni – fino all’anno prima della morte, quando era già
segnato e provato dal male, ma forte nel sopportarne le conseguenze – avendo
modo di ascoltarlo e di leggerlo, insieme al gruppo dei “poeti extravaganti”
(così ci volemmo chiamare, poiché provenienti da varie contrade, ma vagabondi
senza confini, in cerca di compagnia, condivisione, comunione). E la sua
compagnia è di quelle che arricchiscono, che danno un senso a quel che si fa,
per la sua profonda umanità, la cultura che faceva trasparire senza arroganza
ma non senza una giusta dose di presunzione, quando serviva a smorzare o
tacitare la ingiustificata presunzione degli altri.
Signore delle parole, ho detto, poiché di lui ho
colto subito e apprezzato nel tempo la continua tensione verbale dei suoi testi
poetici, intrisi di ben possedute reminiscenze storico-mitologiche – mediate
però dall’accorta dinamica dei suoi sentimenti – e al tempo stesso attenti al
reale, al sociale, al quotidiano. Un esempio può bastare: la rilettura,
attualizzata, della figura di Antigone, un canto all’etica della persona, alla
libertà di scelte a prezzo della propria vita, uno squarcio doloroso nel velo
delle circostanze e della convenienza.
La poesia di Umberto Cerio è una trama densa e
leggera: nella tessitura dei temi e nella loro cantabile liricità. Ho avuto il
piacere di presentare (e pubblicare in una collana da me diretta) uno dei suoi
rari libri: Diario del prima, sintesi di quello che si può dire della sua
poetica – la formazione classica e la natura di meridionale illuminato, la
missione docente e l’attenzione alla “polis”. Signore, Umberto, è stato anche
nel moderarsi, nel non voler mostrarsi troppo, pur avendo materiali poetici in
abbondanza per comporre sillogi e proporle alla stampa. Ha voluto invece darsi
soltanto quando è stato davvero convinto dell’opportunità – o magari di una
interiore necessità – di manifestare il suo pensiero.
Ecco infine perché il ritratto che mi rimane di
lui, dell’amico purtroppo così poco frequentato, è quello della bontà d’animo,
della sintonia e della complicità intellettuale, del reciproco rispetto e
dell’affetto che ci ha legati. A distanza, ma collaboratori – quando è capitato
– convinti di operare insieme per quella che abbiamo entrambi ritenuto non solo
uno svago dei sentimenti, non solo un esercizio di stile, ma la nostra discreta
e inalienabile signora: la poesia.
Giuseppe
Napolitano
Ed ora il pensiero critico di Umberto Vicaretti, autore ben noto a questo blog, che
riguarda due poemetti di Umberto Cerio.
Su “Arianna”
In
questa sua preziosa rivisitazione del mito, l’io poetico di Umberto Cerio,
impaziente e ansioso, dubbioso e implorante, supplice e disperante, reclama una
promessa d’amore che, se accordata, potrà finalmente liberare la vitale energia
di un’anima. È quell’io in cerca, a un tempo, anche di una redenzione e di un
riscatto dal dolore e dal buio. Ma attenzione: qui Cerio non cerca una
soluzione individuale o personale alla disillusione e alla mancanza d’amore, in
quanto il dramma della precarietà e dell'abbandono, del tradimento e dell'inganno,
non riguarda solo Arianna o, come in questo caso, un suo alter ego, catapultato
come per metempsicosi nel nostro millennio; qui il dramma riguarda, per
estensione, l’umanità intera. Ed è
questa la chiave di lettura dell'Arianna di Umberto Cerio, il focus della sua
riscoperta del mito: solo la promessa d’amore può garantire, ad ogni umano
tradito e abbandonato, una via di fuga dal labirinto della solitudine per
nuovamente riassaporare la pienezza della vita. È questo il dono inestimabile
che il mito, stavolta attraverso le rotte della luce del “filo di Arianna”, ha
consegnato per sempre al sentimento e alla poesia. Ancora una volta Umberto
Cerio, magistralmente rielaborando e reinventando quella classicità a lui così
cara, ci regala versi e immagini di indiscutibile bellezza e profondità, come
peraltro puntualmente hanno evidenziato, con la consueta, inarrivabile bravura,
Pasquale Balestriere e Nazario Pardini.
Su “Terra”
È un canto davvero appassionato quello che Umberto Cerio innalza
alla sua terra, un omaggio che reca anche un’accorata richiesta “Tu portami
l’erba nuova della tua sacra fonte, / i profumi della tua notte, / il respiro
del tuo geranio rosso”. Un canto/preghiera che ripercorre trepidante le vie
della memoria, fino a risalire a quel luogo indimenticato degli affetti che per
primo vide e ascoltò “i flebili lamenti del bambino / ancora mezzo addormentato
/ nella sua culla di abete”. Era quella la terra primigenia delle “marine
azzurre”, dei “nidi di allodole sui platani” e di “sinfonie di cetre e flauti”.
Era la terra promessa, vagheggiato edenico giardino di “alberi / di limoni
d’acanto e di salici”.
Ma ben presto l’elegia si dissolve, oltrepassa i confini di
quello splendente ‘topos’ dell’anima e si fa canto universale per abbracciare i
più vasti confini di un’altra Terra, quella che tutti ci accoglie, il luogo
dilatato dove “i lampi delle tempeste” e “i silenziosi giri delle lune /
l’astronave della solitudine” rompono l’incantesimo, tracciando un solco
profondo tra desiderio e realtà. Il poeta si mette così in ascolto e può
distintamente sentire “l’urlo dell’uomo ferito”, registrare l’inquietante
“fascino degli abissi marini / dove è bandita ogni pietà”. Il suo canto, perciò,
ora diventa grido e denuncia per “il sacro sangue / sparso su pietre della
Palestina / … / nelle moschee d’Israele, / negli arsi deserti iracheni”; ora si
eleva a meditare sul mistero del vivere e dell’umana avventura: “Segnami i tuoi
confini, e i miei, / il dramma e il canto dell’Occidente, / nel greve andare
del mio tempo / in questo regredire della storia, / assurda incognita
dell’esistenza”; si fa infine rassegnato specchio del vero: “Ora non c’è altra
elegia /che l’atra somma dei dolori /accumulati nelle guerre / dove ci sono
fiumi da riempire /del sangue, ancora, dei diseredati. / Ora non c’è più inno /
che per l’avventura della speranza”. Preso atto della planetaria diffusione del
male, sembrerebbe preclusa ogni via di scampo. Unica ancora di salvezza è
allora, per il poeta, tornare alla sua terra e a lei, benché “musa infedele”,
levare nuovamente il suo canto; a lei chiedere (sorta di risarcimento morale
per le promesse non mantenute) “il delirio del paesaggio stellare” e “la chioma
di Berenice”, il “girasole” e “la festa della luce”; e poi ancora “del mirto un
ramoscello” e “le parole dei poeti”. Sì, le parole dei poeti. Perché solo le
parole dei poeti possono vincere la solitudine, esorcizzare il male,
riaccendere il sogno. E le parole di un poeta come Umberto Cerio hanno davvero
questo potere, perché esse possiedono il raro dono della luce, la forza
straordinaria e redentrice del ‘logos’.
Umberto Vicaretti
Ora spazio al ricordo di Umberto Cerio stilato da Franco
Campegiani, anche lui
collaboratore assiduo di questo blog
Conobbi Umberto Cerio nel 2015 presso l’Università
Pontificia Salesiana di Roma, in occasione dell'assegnazione della Laurea Apollinaris Poetica
a Pasquale Balestriere. Avevo letto, nel blog Alla volta di Leucade, alcuni suoi scritti, sia di ordine poetico
che critico, ma in quella circostanza ebbi l'opportunità di conoscerlo dal
vivo, anche sotto il profilo umano. Un nobiluomo d'oggi giunto dal passato:
definizione che si attagliava splendidamente al caso. Avevo pensato molto
spesso che i tempi cambiano senza cambiare mai, e che, sebbene mutino le
condizioni storiche, la contemporaneità (qualsiasi contemporaneità) non è poi
mai molto diversa dal passato.
Mi accorsi che era proprio questa la sua convinzione.
Così, frequentandolo, mi capitò di fargli osservare che, in virtù di ciò, noi
non dovremmo più di tanto pensare al passato. L'humanitas
è sempre humanitas, mai identificabile,
ma sempre identificabile (paradossalmente) con un tempo ed un luogo
particolari. E compresi che, se la sua
formazione classica lo spingeva a fissare lo sguardo su personaggi e fatti
canonizzati, ciò non significava che quelli fossero "superati". La
vera tradizione è viva, non mummificata. Il mito non risiede nella
storia, ma nella nostra patria interiore più profonda, dove l'individuale si
fonde con l'universale.
Ha scritto Cerio: "I miti sono la nostra personale verità,
intoccabile, i nostri riferimenti mentali e spirituali, in altre parole i
nostri archetipi, che vivono dentro
di noi e ci nutrono, che fanno la storia della nostra anima e della nostra
cultura". L'illo tempore del mito non è un tempo storico, ma un attimo eterno,
perennemente attuale. Sta qui la contemporaneità del mito da lui
superbamente cantata in poemetti esemplari. E riusciva anche ad innovare,
suggerendo spesso qualche inedita versione. Come ad esempio in "Io Orfeo" (2017), una
fascinosa e poetica rivisitazione del mito orfico, creata sotto lo stimolo di
una dolorosissima vicenda personale: un rischioso e delicato intervento
chirurgico al cuore.
Quale innovazione? questa: dove Orfeo perde Euridice, tornando dagli
Inferi, il Nostro, al contrario, la ritrova. Dove il primo torna sconfitto
dall'Ade, sapendo di avere lasciato là la sua vera vita, il Nostro, nel tornare
dalle tenebre, trova invece Euridice ad attenderlo, con tutto quello che
metaforicamente ciò può comportare. Non credo sia una differenza di poco conto.
Il canto di Cerio è catartico, quello di Orfeo è disperato. Dove il mitico
cantore non riesce a guarire dalle malattie del cuore, Umberto invece, liberato
da quelle pastoie, restituisce al cuore la rigenerazione di battiti
incorruttibili e la bellezza di emozioni purificate.
Un poeta parla sempre e comunque di miti. Il fatto che prenda spunto dai
miti classici, non significa che ne parli da antropologo, da studioso e
classificatore di miti. E ha ragione Balestriere nel dire che il poeta
molisano, pur "prevalentemente attratto" dal mito classico",
risulta "affascinato soprattutto da un mito che ingloba tutti i miti,
antichi e moderni: il mito della vita". Per questo riesce ad innovare,
giungendo superbamente a parlare, ad esempio, di un'"Arianna di oggi"
che un destino avverso priva della possibilità di amare, gettandola sull'isola
(di se stessa?) e condannandola a una solitudine estrema. Poemetto struggente, "Arianna" (2019), con versi
che rapiscono e fanno molto riflettere sulla condizione umana.
Condizione sempre oscillante tra fragilità e invulnerabilità, tra forza e precarietà, in un bifrontismo che rivela la radice unitaria della vita e della morte, della gioia e del dolore, delle luci e delle tenebre. Ma soprattutto dell'umano e del divino. Interessante, al riguardo, il poemetto che s'intitola "Prometeo" (2016), dove addirittura si ribalta, a me sembra, il ruolo di antagonista del divino tradizionalmente assegnato al Titano, in favore di una riconciliazione tra le due sfere: "Mi hai donato umanità profonda. / Donami una scintilla, / ancora, ch'io possa scaldare il cuore / ... / E donami certezze / mentre risali in un Olimpo umano".
Franco Campegiani
Infine il mio contributo
È proprio vero: rampolla
dall’immediatezza della vita reale, con il suo carico di gioie e di
dolori, la poesia di Umberto Cerio; proprio come il diamante emerge dalla cava
penombra della miniera. E tuttavia dalla realtà si affranca; se ne solleva,
depurandosi del torbido e delle scorie dell’hic et nunc e cercando una
dimensione spirituale dove più serenamente la riflessione si fonde con la
memoria, il pensiero con gli affetti, in una recuperata misura di saggezza, in
un perseguito desiderio di pace, in un cercato e realizzato equilibrio
creativo. È in questo spandersi nella vita, saggiandone e suggendone i
fermenti più intensi e talvolta inquietanti, per poi elevarsene, ma
portandosene echi e sentori e collocandoli nell’ atmosfera della memoria e del
canto, che risiede l’essenza artistica del nostro poeta. Che canta
la luce: scoperta, inseguita, afferrata, posseduta, perduta, ritrovata,
di nuovo persa. Ma sempre risorgente in quella continua corsa a ostacoli che è
la vita. Si tratta quindi di un attingimento provvisorio, di un possesso mai
perenne: come tutto ciò che appartiene alla vita, come la vita stessa. Perché
la luce e il buio come la vita e la morte sono complementari, proprio
come facce di una stessa medaglia.
E devo dire anche che ha il mito nel
cuore Umberto Cerio: un mito che si alimenta non di sterili fantasie, ma di
solida realtà, e quindi si riverbera e trova conferme nella nostra quotidianità
o da questa si diparte, fino a diventare archetipo della condizione umana di
sempre; un mito che trama fittamente la poesia del Nostro (che peraltro
testardamente è volto alla ricerca di analogie e di risposte per giungere alla
radice delle cose, cioè alla “luce” rivelatrice), rendendola ancora più
compatta e unitaria e che le dà colore e calore. Così il mito, qui,
ha sempre valore paradigmatico e, insieme, sintagmatico, giacché il poeta
intesse legami, e anzi costruisce ponti, tra l’antico e il moderno e
viceversa, ben consapevole dell’immutabilità della natura umana, che trova in
affetti e istinti i canali, i modi e le forme per manifestarsi;
sicché il mito abita, indifferentemente, nel passato e nel presente, vive
-in situazione di latenza- in tutti gli uomini. Potenzialmente tutti
possono incarnare un mito. In realtà solo chi ha consapevolezza di sé ne può
attivare la vita, in un processo di affinamento culturale e morale, in un
perseverato tentativo di migliorare se stesso e la società di cui fa parte.
Umberto Cerio ha fatto quello che fanno i poeti: ha vissuto a braccetto con la poesia, in alternanza di gioie e dolori, ma sempre in intimo colloquio con essa. Perciò i versi del poeta molisano sono così pregni di humanitas che in ognuno di essi si coglie con estrema perspicuità la partecipe e sofferta presenza dell’io poetante, che sceglie il registro del cuore profondo e vi intinge la penna.
Pasquale Balestriere
Per
concludere
Da
tempo intendevo tracciare un ricordo di Umberto Cerio coinvolgendo, come ho già
detto, alcuni amici comuni. Alla mia
richiesta, proprio per l’affetto che nutrivano nei suoi confronti, essi si sono
dichiarati immediatamente disponibili. E credo di parlare a nome di tutti loro
se dico che il nostro desiderio è stato, e continua ad essere, quello di dare
del nostro Amico un’immagine non vaga né effimera; e, insieme, di
testimoniargli il nostro affetto. E di mantenere viva, per quel che possiamo, la
sua memoria. Per questo, quando uscirà il suo libro, Umberto Cerio sarà ancora
con noi. Qui, su questo blog.
Infine,
una preghiera: chiunque abbia conosciuto il Nostro, in qualsiasi modo e
forma, è pregato di lasciare una sua testimonianza,
che credo sarà gradita alla Vedova,
Signora Clementina, la quale segue il nostro blog.
E ora, Umberto, Amico carissimo, ave atque vale!
Pasquale Balestriere
IL
GABBIANO BIANCO
Non ho mai sognato la Sfinge
ed
il deserto delle Piramidi;
il
mio cuore le indovina ardenti,
nella
sabbia segnata dai cammelli.
Altro
è il mio sogno lungo:
Forse
è quel gabbiano bianco che fugge
e
assapora la salsedine
dell’aria
in volo e in tuffi folli l’acqua
che
cela la sua preda disperata.
Certo è quel gabbiano bianco,
che
seguivi con uno sguardo d’ansia
con
dolore indecifrabile.
Certo,
certo era quel gabbiano bianco
che
tornava stanco di vento
-come
il mio cuore- al tuo balcone.
Ora tace deserta la marina.
L’ombra
si allunga e vibra
piena
di una dolcezza atroce,
acre
adduce le tracce di silenzi
che
avevano parole
di
remote memorie e di futuro.
E
perde il senso il tempo dell’attesa.
Edita -2006- settembre
IL RITORNO DEL GABBIANO BIANCO
I silenzi di questi vecchi templi
diroccati
dal tempo
hanno
parole di antichi Dei
che
si muovono –ombra tra le ombre-
e
lasciano profumo di ambrosia.
Di
poco lontano il mare
altre
ombre disegna.
Sono
quelle dei gabbiani in volo.
E ancora
ancora
il mio gabbiano bianco
con
ali di salsedine odorosa
e
d’improvviso appare il volo
dall’ombra
silenziosa
grave
di sogni e di anni lunghi,
ancora
stanco di cielo ventoso
che
cerca, come il mio cuore in ansia,
la
tua casa e il tuo balcone.
Ahimè le storie sono lunghe
a
raccontare e rapide a finire
ed
io, segreto e silenzioso,
dentro
mi porto lente le ferite.
E
tu scandisci, nell’attesa,
-
terribili stille del tempo-
sacro
il tuo dolore d’anima
all’andare
di quelle ombre
che
lasciano fascinosi i silenzi
scarni
ed ebbri i vuoti
tra
colonne ed are in frantumi.
Nel vento continuo ad inseguire
il
mio gabbiano bianco
che
vola nella luce della vita.
Inedita -2018- marzo
ANCORA IL MIO GABBIANO
Ed ecco di nuovo il mio gabbiano
stanco
di volo e di mare in tempesta
che
torna sul suo scoglio
grave
di terra scagliosa e di pietre
inospitale
arida e selvaggia.
E’
la nostra terra che chiama
nelle
sere degli ultimi colpi
d’ali
che non sanno parole,
che
non hanno illusioni né sogni.
Ed
il cuore sbalza nell’altalena
della
giostra furiosa
sui
sentieri dei cavalli del Sole.
Tutto
in un pugno sacro e folle
e
la vita che sorge
prepotente
come schiocco di frusta.
E
intanto che gli urli delle onde
del
mare si trasformano in canto
di
coro greco sullo scoglio “vedo”
il
mio bianco gabbiano diventare
Perdice
fatto immortale dal “volo”.
O
vaneggia la mia mente stanca?
Ma
io so che è il mio gabbiano bianco
che
prende forma di pensiero
e
diventa il sacro corifeo
che
buie sventure canta al mondo
e
grida la sua folle ira
per
l’esilio della notte immensa.
E’
il mio gabbiano bianco
che
prende il mio posto
e
scambia il mio cuore col suo.
E
la notte non è più buia.
Mi sei entrato nell’anima
e
mi hai placato inquietudini,
oscuri
abissi scavati nel cuore.
Inedita -2019- luglio
UMBERTO
CERIO
Ho letto con intensa commozione il ricordo di Umberto Cerio che Pasquale Balestriere ha condiviso sul blog “Alla volta di Leucade”. Anche per me l’evocazione dell’amico, il ricordo dell’uomo, la rievocazione dei lunghi colloqui che ci permettevano di volare in alto, al disopra delle brume della vita quotidiana, sulle ali di una comune ansia di liberazione dalle ambasce di un mondo in crisi, con la guida dei suoi versi illuminanti, ha rappresentato un passo indietro. Tutto mi si è ripresentato con l’urgenza dell’immediatezza e della continuità, come se il tempo non avesse continuato il suo corso ineluttabile. Balestriere, Pardini, Napolitano, Vicaretti e Campegiani hanno descritto Umberto con immediatezza, hanno saputo plasmare con pennellate capaci di mettere in evidenza i tratti salienti della sua poesia ed hanno permesso di gustare, con la gioia della condivisione, la profondità e l’acutezza del pensiero, la plasticità e l’icasticità delle espressioni, la grandiosità e la preziosità delle singole parole. Ne è venuto fuori un quadro che, scegliendo i versi più emblematici, ha delineato l’efficace ruolo di Umberto Cerio come interprete della poesia di ogni tempo, mediatore dei miti eterni dell’umanità presentati nella loro contingenza contemporanea, nella pienezza della sua riconosciuta capacità artistica.
RispondiEliminaMario Moccia
Ringrazio Mario Moccia per questa sua testimonianza puntuale, partecipe, esaustiva. Fu lui a comunicarmi, con grande sensibilità e commozione, la notizia della scomparsa di Umberto. Probabilmente non avrei tollerato di apprenderla altrimenti, magari dalla carta stampata o dal web.
EliminaPer questo ancora un grazie a Mario Moccia.
Pasquale Balestriere
Caro Pasquale, sono felice di questa tua iniziativa per celebrare come merita e di più il -grande- poeta e uomo Umberto Cerio. Dico grande poichè tale l'ho ritenuto sin dall'inizio del mio far parte di Leucade. Per la Sua indiscutibile bravura poetica la quale lo distingueva per il suo canto poetico ammaliante riuscendo,durante la lettura ed oltre ad estrapolarmi dal contesto quotidiano. Mi sentivo rapito dai suoi versi che per me erano e sono vera musica di parole. Non ho avuto la fortuna di conoscerlo di presenza ma attraverso questo blog che mi ha allargato l'orizzonte poetico italiano. Poi, come mio solito, ho cercato e riuscito ad avere il Suo recapito telefonico così ho avuto il piacere e l'onore di conoscerlo come uomo. Gli telefonavo quasi spesso anche per sapere del suo stato di salute. Mi accoglieva con quel tono di voce pacata e mite che denotava la sua personalità di uomo serio ma soprattutto umile e pur disponibile al dialogo sulla poesia, mentre il sottoscritto apprendeva consigli e segreti nel farla. Mi ritengo onorato avere un Suo pensiero sul mio "Boati dal profondo" e conservo, come cimelio, tra il mio carteggio la Sua LABIRINTI. Pasqualino Cinnirella
RispondiEliminaLABIRINTI
Sei tra calanchi pietre e fiume
e non sai perché mai
vivere questa solitudine atroce
d’uomo prigioniero del futuro
e di altri destini; e il dramma vivi
d’anima bianca d’innocenza
nel vento d’ombra del tramonto
tra ulivi abbandonati e querce secche
dove voce non è né risposta,
né chiarità di mattini che traccia sia
del respiro della terra,
di sacrali parole di veggenti.
Il nostro ritorno degli anni
più non è la vita dell’alba,
né gomitolo intatto del tempo.
O quando dormi il tuo sonno fatato
nel labirinto fragile dei fili
può tardare la tua tacita attesa
e perdersi tra nuovi labirinti?
Sai tu dirmi, mio amico o poeta
dov’è l’infallibile magia
che nel gioioso labirinto
dell’infanzia al mattino ci riporti?
E tu, mia eterna nemica
- mia implacabile clessidra –
che nella mente m’insegui
come pronto ragno a ghermire,
saprai aspettare paziente
che si frantumi il guscio senza fondo
al battito lento delle memorie?
E saprai scambiarti in anima azzurra
dove perdere il conto dei giorni
e bruciare nel vento della notte,
ed ambra stillare nel mio crogiolo
dove si fonde la terra e mare e cielo?
Non c’è solitudine al mondo
più profonda delle solitudini
vissuti nella mente e nel cuore
e nel sangue aggrumato nei deserti.
O mio sapiente Apollo,
fammi del tuo oracolo sacra pianta
di sempiterno mirto
nell’inviolato tempio del silenzio.
Umberto Cerio
Sono grato a Pasqualino Cinnirella per il suo generoso commento. Umberto Cerio è stato un uomo di non comune cultura e di grande semplicità, sempre disponibile. Anche su questo blog, dove apparivano spesso i suoi qualificati commenti a scritti altrui.
EliminaPasquale Balestriere
Questa pagina di 'arrivederci' al grandissimo Artista, che anch'io ho avuto la gioia di conoscere, tocca tutte le corde dell'anima. Pasquale, da splendido Caronte ci traghetta attraverso la vita, le Opere e le testimonianze illustri degli Amici di Umberto, offrendo una visione d'insieme, che rappresenta uno splendido meritatissimo omaggio. Umberto ha lasciato segni indelebili sulla rena del tempo terreno e ovviamente continua a lasciarli. Tutte le persone che amiamo ci restano accanto in altra dimensione, un Artista del suo calibro continua a illuminarci tramite le Opere e l'esempio. Mi congratulo con Pasquale per questo tributo corredato di ricordi e do il benvenuto a al caro Umberto, come si usa fare in America del Sud. Concludo stringendo il magistrale Autore dell'esegesi, il mio Nazario, il caro Franco, gli ospiti che hanno commentato prima di me e ultimo, ma naturalmente primo, l'indimenticabile Umberto!
RispondiEliminaUn sentito ringraziamento a Maria Rizzi per l'affettuoso intervento. Sarebbe stato contento Umberto, se l'avesse potuto leggere.
EliminaPasquale Balestriere
Clementina Antonini Cerio 21 novembre 2020
RispondiEliminaCon emozione e commozione profonda ho letto le attestazioni di stima e di affetto con cui gli Amici e Poeti di Umberto hanno voluto ricordarlo sul blog "Alla volta di Leucade" da Lui assiduamente frequentato e per Lui prezioso interlocutore.
Non ho parole per ringraziare tutti e apprezzo la profonda sensibilità e l'accurata analisi con cui è stata tratteggiata la personalità di Umberto come uomo e come poeta.
A me piace saperlo e sentirlo ancora qui, presente tra i suoi Amici, attraverso la sua poesia.
Credo di fare cosa gradita a tutti voi citando alcuni versi della poesia "ALLA FINE DEL TEMPO"
....Ora noi siamo vita e sangue;
domani, forse, solo ombre:
si terranno per mano
e leggeranno sul libro dei sogni
ad altra vita rifioriti
con tutte le loro memorie
per essere ancora futuro.
E saremo l'anima sei poeti
che non hanno dimora,
che non hanno mai fine.
E suona una cetra, lontano,
quando si dilunga lo sciame
dei tuoi sorrisi alla corona
della luna, alta sui balconi,
quando tu, nel cuore, risali
il breve colle della bianca casa,
dove nascesti, per un rito antico.
Ed io sono sempre l'attesa,
la speranza rimasta nell'argilla
scura del vaso di Pandora.
Questa è la nostra storia,
la nostra storia ancora da scrivere,
chiusa nello scrigno del vento.
Noi ci saremo, alla fine del tempo.
Umberto Cerio
Eliana Cerio
RispondiEliminasono felice di unirmi al ringraziamento di mia madre rivolto a tutti gli Amici Poeti di mio padre.
Le Vostre parole sono un balsamo per il cuore di noi famigliari e ci commuove profondamente leggere il prezioso ed affettuoso ricordo lasciato da Lui in tutti noi.
Stiamo, soprattutto con il paziente lavoro di nostra madre, riprendendo tutte le Poesie che papà ci lasciato; per noi sono un tesoro che ce lo fa sentire sempre vicino e presente.
Dopo la silloge "Il Poeta Non Muore", di prossima pubblicazione, verranno pubblicate anche alcune Poesie inedite su Alcyone 2000 di Miano che ci ha contattato -con grande nostra gioia- qualche giorno addietro.
Ed inoltre abbiamo intenzione di proseguire, con la pubblicazione di altre inedite, il lavoro di condivisone della Poesia di Papà.
Davvero, forse solo adesso, comprendo cosa abbia voluto dire con "Il Poeta non Muore" in tutte le molteplici sfaccettature, non solo quella mutuata dai Classici.
L'occasione mi è gradita per condividere una sua Poesia recente ed inedita, di prossima pubblicazione proprio su Alcyone 2000, perché mi ricorda come la tanta bellezza che riesco a cogliere intorno a me dipende dalla sensibilità che mio padre e mia madre mi hanno trasmesso nella vita.
"Tramonti di settembre (a Larino)
Vedrai, verranno dolci
veloci autunni a temprare il ferro
caldo di sole. E tramonti
che segnano i tempi dell'anima.
E' qui, sui tetti del vecchio borgo,
dove si parla la mia lingua
e il mio pensiero ansioso,
e dove il rosso il verde e l'indaco
invadono il cuore
e giocano col cielo azzurro fondo,
che ho visto i tramonti più belli
che danno colori alla vita.
E già nei solchi bruni
il corrusco aratro affonda
e trova i resti degli avi lontani
che ci rende il sapore del sole.
Dalla terra risalgono immagini
a riempire i vuoti dell'anima.
Dove cercare un altro pulsare
del cuore e della mente?
- ed urge il sorgere delle memorie -
Solo nel fiume vorticoso
del tempo e nelle pieghe della vita."
Umberto Cerio
Larino, 1 ottobre 2019
Ringrazio di cuore le Signore Clementina ed Eliana, rispettivamente moglie e figlia di Umberto Cerio, per i loro toccanti interventi e per le significative testimonianze che ci hanno offerte. Esprimo anche la mia gratitudine a tutti coloro che hanno alimentato la luce del ricordo del nostro Amico e Poeta: e quindi a Nazario Pardini, Giuseppe Napolitano, Umberto Vicaretti, Franco Campegiani , Mario Moccia, Pasqualino Cinnirella, Maria Rizzi e, a parte, Carla Baroni.
RispondiEliminaUmberto ne sarebbe stato contento.
Pasquale Balestriere