Claudio Fiorentini, collaboratore di Lèucade |
L'umanità è fatta in prevalenza da gente semplice, da gente che lavora o
che cerca lavoro, da gente che non arriva a fine mese e da gente che è felice
per la stretta di mano di un amico o per il sorriso di un figlio. Per questo
vedere il mondo dall'alto della posizione di chi è privilegiato è uno sbaglio.
Non è utile dire "io vedo che i ristoranti sono pieni" se non sai
quanta fatica costa quel pasto e quali rinunce o quali scelte sono state fatte
prima di arrivare ad occupare quel tavolo. Dietro quell'ora di gozzoviglio c'è
la fatica del contadino, il lavoro del camionista, la pazienza del
fruttivendolo, la precisione del cuoco, la semplicità del cameriere, l'artrite
del lavapiatti e la voglia di rilassarsi dell'impiegato che il venerdì si
concede una cena fuori con la famiglia. Molte delle persone di questa catena,
che trova la sua apoteosi in un piatto fumante, sopravvivono a fatica, ammesso
che abbiano qualche centesimo in tasca, specie nei periodi di crisi. Per
questo, quando qualcuno asserisce una "verità" basandosi sulle
proprie "rilevazioni statistiche" sbaglia. Ora torniamo al
virgolettato di prima e cambiamo la parola "ristoranti" con
"cinema", "teatro", "sala concerto", "jazz
club", "galleria d'arte" e roba simile. Poi pensiamo per un
attimo al pesce piccolo, a quello che si autofinanzia, pensiamo all'attore
precario, al pittore emergente, al libraio indipendente... e poi chiediamoci
quanti teatri, cinema, poli espositivi sono pieni o, meglio, quanti sono stati
in grado di sopravvivere alla chiusura per pandemia (che, non dimentichiamolo,
è ancora in atto) e quanti invece sono stati costretti a chiudere i battenti...
A Roma le chiusure eccellenti (si parla solo di quelle perché il piccolo non fa
notizia) sono all'ordine del giorno. In altre città europee che hanno a cuore
la diffusione della cultura forse gli operatori del settore hanno sofferto di
meno, ma nessuno ne è uscito indenne, e comunque non si può dire che il
pubblico sia aumentato, anzi, una volta finita l'euforia del dopo
"lockdown", con la perdita di milioni di posti di lavoro e con la
perdita della capacità di acquisto, ci vorrà molto tempo per rivitalizzare
settori che alcuni ministri o primi ministri considerano "
divertimento
" o roba che "non si
mangia". I teatranti torneranno ad essere saltimbanchi? I musicisti si
uniranno in bande che suoneranno nei matrimoni? i pittori diventeranno
"street artists"? Non credo che si arrivi a tanto, ma finché la
cultura sarà percepita come un abbellimento e non come un arricchimento personale
(e ancor meno come quello che realmente è, cioè un crogiolo dove si prepara il
pensiero di domani), non andremo lontano. Ma esiste un altro fattore da
considerare, e vorrei che foste tutti chiamati in causa: come sostenete le
attività culturali? quante volte l'anno andate a teatro (magari un teatro
piccolo)? quante volte andate a vedere cosa espone la galleria d'arte del
quartiere dove abitate? quante volte preferite comprare un mazzo di fiori
piuttosto che un libro? di esempi ne abbiamo tantissimi, ma... se vedete
qualcuno (libreria, teatro, cinema, galleria...) che non ce la fa, invece di
salmodiare luoghi comuni dicendo "ha chiuso anche lui, stanno uccidendo la
cultura", chiedetevi cosa avete fatto voi per sostenerlo, pensate che non
avendo mai partecipato agli eventi da lui organizzati avete contribuito alla
sua chiusura... e magari muovetevi un po' di più oggi e domani perché con poco
potreste evitare la successiva chiusura. Ricordate, gli operatori del mondo
della cultura hanno bisogno della vostra vicinanza, della vostra presenza e
della vostra partecipazione e se la partecipazione per voi significa passare un
po' di tempo a fare qualcosa di piacevole, per gli operatori del settore è
linfa vitale. Per questo dico: sostenete la cultura contemporanea, quella che è
fatta da gente come voi!
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