Intorno al libro di poesie Dal fuoco etneo alle acque polesane
Divagazioni sulla mitica bellezza del
paesaggio riflessa nello stile di vita dei nostri amici polesani
Non
ho avuto mai grandi rapporti con il Polesine, almeno nella mia infanzia e adolescenza,
in cui l’unica notizia certa erano le piene del Po che colpivano l’immaginario
collettivo. Il Polesine era quindi il luogo del disastro, dell’esondazione
subita dalla popolazione e della conseguente solidarietà che univa il Paese
nello spedire aiuti alle persone sfollate. Ricordo mia madre che, come tanti
altri, preparava coperte, indumenti da inviare in quei luoghi, offriva pure
ospitalità a ragazzi in difficoltà che però preferivano spazi più vicini. Poi
per gran parte della mia vita non ho avuto altri contatti
sino a quando ho conosciuto mio moroso Massimo, ora mio marito, polesano doc
nato ad Ariano ma vissuto anche a Ficarolo, e subito dopo persone da Bottrighe,
Adria, amici da sempre, vicini nel soggiorno a Rosapineta.
E
così Ficarolo è entrato in me nella sua reale dimensione acquisendo quello
spessore umano, sociale che gli attribuiva la mamma di mio marito, Elsa. Mi
raccontava infatti della loro vita là negli anni ‘50, basata su rapporti
d’amicizia con la maestra, il farmacista, il medico, gli altri notabili del
paese. Il marito era allora direttore della Cassa di Risparmio, personaggio
quindi di un certo rilievo a quei tempi, e con molti contatti con la gente del
luogo. In particolare mia suocera esaltava il suo legame con mamma Ermoli con
cui trascorreva lunghe ore condividendo problemi comuni tipici di famiglie
numerose come le loro. E ricordava che erano entrambe sollecite a seguire i
figli nei giochi pomeridiani, magari sedute sul prato o con l’occhio rivolto
alla golena dove i ragazzi si rifugiavano a cercare refrigerio d’estate. Il
fiume era motivo di comune apprensione soprattutto quando il livello
dell’acqua, in fase di piena, saliva segnato anche dai fontanazzi nella piazza,
ma rinsaldava fra loro un reciproco sentimento di solidarietà. Amicizie ben
collaudate da vari eventi, resistenti quindi nel tempo perché nate da un
medesimo vissuto che le rendeva autentiche.
Sensazione
questa avvertita tempo fa quando, all’improvviso negli anni ’80, mi è capitata
in casa, con due nostri amici patavini, una coppia per ispirarsi alla scala
della nostra dimora, opera di mio cognato Marco, architetto. Erano due polesani
all’inizio sconosciuti, entusiasti della fattura architettonica, poi rivelatisi
amici: con sorpresa Sergio riconosce dal colore degli occhi Massimo, gran
giocatore di pallone con lui a Ficarolo sotto la guida di Paolo Toffanin,
portiere e bel ragazzo ammirato dalle giovani del luogo. Così nel salotto
intorno alla scala si è rinverdito un rapporto amicale fanciullo dilatato in giochi
lungo il Po, nella golena, nella parrocchia, nel patronato, nelle feste
paesane… E sempre con la presenza di quel Po che ai loro occhi non
rappresentava più la piena devastante ma il fiume gigante, ricordo appartenente
al mitico mondo dell’infanzia, ora al loro paesaggio dell’anima: … Ma per te, agli occhi del cuore / è
carezza di onde leggere / sui piedi fanciulli / in estiva calura: // gioco
beato / rischio proibito / ignara la madre… (Fiume Gigante).
Questa
amicizia, rinata intorno alla scala, si è ben rinsaldata nelle ore e nei
giorni: i Framba, la sorella Silvana, noi, Paolo e Grazia, i Tieghi e altri
eravamo ormai un’allegra compagnia che organizzava spessissimo pranzi in luoghi
caratteristici anche in mezzo alla campagna polesana, bellissima, silenziosa
nei suoi profonda silenzi che quasi ti parlavano. Punteggiata da paesi, dai
nomi da favola, come Stellata, Gaiba, Salara, Castelmassa e anche Sermide,
nello sfondo delle acque polesane. Indimenticabili i tortellacci di zucca, la
salama, l’anatra ripiena, i pinzin, i dolci casarecci: tutto genuino, preparato
per l’occasione.
E
così, custode delle memorie di mamma Elsa e di Massimo, degli amici cultori
della gastronomia, ho cominciato a penetrare nell’animo del Polesine, nei suoi
aspetti paesaggistici e umani e a godere di questi momenti conviviali,
caratterizzati dal piacere di ritrovarsi nel buon cibo: … Fra le mani ho ancora / profumo buono di pesce / fresco ricordo di
ore / gradite con amici / tra le labbra ancora / due tre parole non dette. Questa
esperienza si è interiorizzata, è divenuta parola poetica ispirata al ritorno
nei luoghi, versi raccolti in “Dal fuoco etneo alle acque polesane” … La gente del fiume a te che ritorni / è
gioia-stupore, dono di brezza / sull’argine nuova e fronda sincera / a saziare
insieme l’arsura / di ore invano rincorse: / fanciulle / - d’oro i capelli - /
presto nel mito sfumate (La gente del fiume); Ritornare al luogo natale… / è rivedere ancora viva la sofora / ombrosa
nel giardino fanciullo / l’altalena spinta fino al cielo / gli agili conigli
per l’orto // il mondo intero là / in quel rettangolo dilatato / in un universo
emozionale / luogo mitico di sogni avventure. // Ritornare è ritrovare / con la
misura del pensiero / quello spazio ora ristretto // dimensione altra ridotta /
dalla vita-tempo cannibale del mito // annidato nel cuore dell’infanzia / nello
scorrere del fiume gigante / lento con le sue piene / messaggeri i fontanazzi
nella piazza… (Ritorno ad Ariano Polesine).
Memorie
di tempi, luoghi lontani in cui si ritornava volentieri per stare insieme
sempre a tavola. Dopo i banchetti, alcuni anche in casa Framba, era tradizione
la degustazione del nocino, di loro produzione, il riposo nel giardino
all’ombra del glicine, oasi per fare filò. Si parlava con lievi voci misurate
dei comuni problemi: i figli, i nipoti, i ricordi, la ricetta inverosimile per
fare il nocino, la semina dell’orto. Così si trascorrevano ore serene del week
end proiettato però agli incontri successivi in città per i concerti d’organo
di Fabio, per le nostre presentazioni dei libri. E intanto lì si godeva del
giardino ravvivato da arbusti di rose rosse, cornucopie di gerani pure rossi,
bellezza ed armonia ricercata da Sergio e Graziella pure nel brolo costruito
con geometrica perfezione per distinguere le diverse coltivazioni. In questo
loro Eden nutrivano anche un’antica amicizia con i loro vicini.
E
qui si può aprire una nuova parentesi su questa nostra frequentazione, perché
con i Framba e … ci siamo ritrovati, i nostri ragazzi ancora giovani, all’Isola
d’Elba, a Poggio. Quindi quest’amicizia nata nell’età fanciulla, e poi per un
momento deviata dagli eventi diversi della vita, si è rinsaldata in trame nuove
che ci hanno offerto emozioni indimenticabili in mezzo alla natura. Piene di
stupore le passeggiate in un mare di lucciole, a Poggio, fino al cimitero per
ascoltare il caratteristico verso del barbagianni, simile ad un inquietante
soffio, ad un rantolio umano. Notti magiche di barbagianni, apparsi
d’improvviso, appollaiati sui rami degli alberi, nella loro candida possenza,
con gli occhi luminosi dilatati nell’oscurità del parco intorno al nostro
Centro Napoleonico.
Emozioni,
sempre sempre in mezzo alla natura, provate a Roseto degli Abruzzi, a
Copanello, a Rocca Pietore… ma anche nel cuore della città ai concerti al
Pollini, al teatro Verdi, agli incontri culturali pure a Praglia e negli
appuntamenti di San Silvestro allargati ad altri cari amici polesani e patavini
legati da comuni reciproci sentimenti di affetto e stima. Quante meraviglie!
Un momento davvero particolare però risale al 2000
in cui a Ficarolo accadde un evento davvero insolito: dopo cinquant’anni si
ritrovano, ormai adulti, numerosi amici-bambini cresciuti insieme nel gioco del
pallone e nelle magie-paure del Po. E questo grazie al mio primo libro di
poesie “Dell’azzurro ed altro” e alla sinergia di tante persone unite nel
fantastico progetto come Sergio, Graziella, i loro figli e in particolare
l’amico Renato Mazzali.
Un
avvenimento davvero raro di amicizia-poesia-musica e buoni sapori vissuto
insieme con quella festosità nativa nella gente del Po, già riportato nelle
belle pagine del Ventaglio, così lontano dal ritmo frenetico di vita abituale,
ora tragicamente frantumato da veleni virali. Alla nuova luce polesana da me è
riletto quale risposta di persone, provenienti da altre città, ad un
appuntamento antico con il Po e le memorie di un tempo bambino, quale
testimonianza del senso di appartenenza a quel bel vivere polesano, che ti
porti dentro per sempre. Ed anche espressione di una coerenza tra il sentire e
il fare resa in rispetto per l’amicizia e il luogo. Il tutto proprio di
un’etica ormai desueta. Ecco, l’evento diviene manifestazione di un arcano mito
condiviso nel mondo classico, ove si è amici per sempre, come per sempre è in
loro segnato quel paesaggio del fiume gigante, delle campagne assolate,
sconfinate nelle loro varie discromie-malinconie-allegrie che si tramutano in
sensibilità contemplativa, in amore per il silenzio, per poche parole sincere,
ma anche per affettuosi incontri, valori di uno stile di vita altro.
E
pure nell’impegno artistico di Renato ho ritrovato tutto ciò, in particolare
quell’amore per la Bellezza che ha segnato tutta la sua vita, ma che è anche la
cifra di altri che hanno vissuto a Ficarolo, nutriti dalla ricchezza culturale
del Polesine. Basta pensare alla stessa Ficarolo con la chiesa arcipretale di
S. Antonino Martire con il campanile pendente, altre chiese minori, la storica
villa Giglioli con il monumentale parco, segni del lungo percorso storico della
cittadina che dovrebbe essere approfondito a parte. Il tutto si aggiunge alla
già citata armonia paesaggistica lì vissuta intimamente dai nostri e
trasformata in un particolare gusto estetico, una tensione al bello, un
comportamento derivato proprio da un vivere immerso nell’innocenza del creato:
in quei lunghi silenzi, in riva al fiume con i tramonti riflessi nell’acqua, in
quelle campagne solari, nebbiose, fascinose sempre, musicate dalla memoria del
Po. Elementi che inducono all’attenzione per l’ordine del creato e ad una
vocazione meditativa.
E
così ricordo i funerali di Sergio, caro amico di una vita, e pure sodale nel
“Canacolo di Poesia Insieme nell’Umano e nel Divino” di Praglia, che è salito
nella luce di Dio accompagnato dalle note dell’organo, leggere, alle mani
commosse di suo figlio Fabio, bravo organista ed altro, e dall’affetto,
composto nel dolore, dei familiari e degli amici di una vita trascorsa a
Ficarolo. Momento di bellezza, se un funerale può appartenere a questa categoria,
quella bellezza che abitava in Sergio, anche al dire conciso e commosso del
sacerdote, manifestata per la musica, il teatro, la natura, la genuina cucina,
il legame per il suo luogo natale abbracciato all’argine del Po, aspetti
riflessi nel suo stesso stile di vita così dignitoso.
E
tutto questo mi riporta alla mente un recente pomeriggio di bellezza trascorso
sul prato Framba dopo un caloroso convivio al Calesse, in piena campagna
polesana. E Graziella era di quel prato la bella regina come figura mitica. Ne
riporto il ricordo in questi versi scritti allora, 2 giugno 2018, che esprimono
la Bellezza dell’insieme:
Bellezza dell’insieme / il
fiore-melograno / ruvida corolla intorno / a crespo morbido da sposa / pastello
delicato / d’arancio coronato. // Bellezza dell’insieme / l’estivo giardino
Framba / avvolgente presenze care / in coriaceo rapporto amicale / oltre il
reale tempo / morbide in parole / giovani guizzi / in senili ricordi. //
Ravviva di nuovo una foto / lettura di
bellezza / dell’umano insieme / nell’arpeggio lucente di fronde / fra rosse
macchie fiorite / splendenti nel verde intorno. // Ascolta il fiume gigante /
dall’argine di sole / remote memorie polesane / raccolte dall’azzurro vento.
La
poesia rende l’ora felice insieme, ma anche il comune amore per la natura, e
soprattutto l’atmosfera immaginifica avvertita in quel giardino, quasi in riva
al Po ove pare di ascoltare echi di memorie raccolte nel suo lungo viaggio e
nel suo fluire in mare col magico delta. Tutto là acquista infatti una
connotazione speciale per quelle vie d’acqua marina che si infiltrano con il
loro salmastro nella macchia in un gioco segreto di ali, in stupori vegetali e
altri segreti di guizzi impensati: meraviglie dell’incontro di mare fiume. Bellezza
che incatena / in colori segreti suoni / di fiume terra mare / insieme in
intimo colloquio / infinito. // Misura dell’umano nostro limite.
Queste
divagazioni rappresentano il non detto celato nelle mie poesie che può essere
facilmente compreso da chi ha vissuto in quei luoghi o da chi quei luoghi li ha
fatti suoi per una scelta d’amore. Questa bellezza poi si dirama in tanti altri
paesi del polesine (Badia con la sua piccola Fenice, l’Abbazia della
Vangadizza, Fratta con la sua villa Badoer, Loreo chiamata la piccola Venezia e
altre ville solitarie nella campagna). Le sue frange arrivano fino al mare in
luoghi da me frequentati e quindi parte della mia vita come Rosapineta. Perché
i luoghi sono un po’ i contenitori dei nostri sentimenti, dei nostri affetti,
delle nostre relazioni, i luoghi diventano anche le persone che lì incontriamo
e che si imprimono in noi una come specchio dell’altra: Ogni luogo ha luci / suoni segni colori altri // dilava lapilli l’Etna
/ d’acqua frondosa il Delta. // Ogni luogo è specchio / di emozioni uguali
diverse / come amori giovani // raccolti tutti / nelle aiuole del cuore /
energie vitali rinate.
L’audacia
poi di avvicinare le acque polesane al fuoco etneo, di cui anche il governo si
è interessato a fine ‘800 con provvedimenti realizzati per entrambi, deriva
proprio da un comune denominatore. Il fiume gigante è amato infatti come
presenza che segna le stagioni, il fluire del tempo, il luogo del lavoro per i
pescatori, l’osai per il riposo, ma nello stesso tempo crea anche turbamento,
preoccupazione. Così l’Etna, la gran montagna sacra … l’arcano mistero
trattiene / … Mito-presenza-sangue nelle fibre dell’uomo / mutata in
parola-filò-condivisione / rispetto, e anche motivo di apprensione-presagio
sempre speranza di lealtà. Tutti sentimenti comuni tradotti in una
specie di complicità e solidarietà tra la gente, sia nei paesi polesani che nei
luoghi etnei. Quindi un atto d’amore per due estremi, da una parte il fuoco
della Sicilia, dall’altra parte le acque, raggiunte come in un volo perché noi
siamo in continuo volo: siamo nomadi reali, virtuali alla ricerca della verità
pure nell’esercizio poetico. In questo caso la verità di un paese che negli
anni ’50 ha gettato semi di valori che ancora stringono in una verde speranza
la gente del fiume ad altri.
Cara Marisa, le tue pagine sono sempre caratterizzate da un'umanità travolgente. Non descrivi i luoghi o le persone, ma rivisiti le isole della memoria con calda, intensa partecipazione e con la capacità di rendere filmiche le tue narrazioni. Il Polesine rivive nella tua recensione - racconto, che è omaggio agli amici, con i quali hai condiviso momenti importanti della fanciullezza, ed è riflessione spirituale sul valore dei territori, sulle loro peculiarità storiche e umane, sugli aspetti che li rendono unici. Leggerti equivale a calarsi nella vicenda commovente di un Ponte creato tra due estremi della nostra penisola, che affreschi magicamente in questo modo: "un atto d’amore per due estremi, da una parte il fuoco della Sicilia, dall’altra parte le acque, raggiunte come in un volo perché noi siamo in continuo volo: siamo nomadi reali, virtuali alla ricerca della verità pure nell’esercizio poetico." D'amore si tratta, poiché d'amore sai e vuoi scrivere, toccando le corde dell'anima di noi lettori e rendendoci più ricchi. Ti sono grata ogni volta di più e ti stringo forte al cuore insieme al nostro instancabile Condottiero!
RispondiEliminaCara Maria, il mio più affettuoso grazie per la tua sentita partecipazione ai sentimenti da me espressi in questa prosa e per la tua capacità di valorizzare i messaggi da me trasmessi. Credimi, ho sempre nel cuore quel Polesine da me cantato anche perché ora ho là una mia cara amica che vorrei rivedere ma da cui il Covid mi ha tenuta finora lontana. Quante emozioni condivise con lei in quel paesaggio magico!
RispondiEliminaTi abbraccio con grande affetto insieme al generoso Condottiero,
Marisa