Da L'azzardo dei confini
Booksprint Edizioni,
Buccino 2011
L'azzardo dei confini, Booksprint, Buccino 2011
Akragas
Man
mano che Agrigento si avvicina
s’infoltiscono i mandorli.
Si coprono
di nuvole di perla sopra i
prati
o sul grigiore brullo di
colline
dall’umore ipogeo. È
proprio il tempo
che la città si rianima e fa
festa
per la sagra del Mandorlo
in fiore. E per la strada è
un’emozione
quando il sole cala
rubicondo
a tingere di porpora il
candore
delle trepide gemme. Dalla
costa
si stagliano allungate sul
crinale
le case di pastello. E il
tempio d’Eracle
s’infoca in primo piano
- entro in città dalla valle
dei templi -.
Dal cavo il tauro bronzeo
bramisce
disperati muggiti, e dalla
valle
i lamenti di donne e di
bambini,
che ai ferri di Carthago
disperati
pensano in fiamme i lari. Io
mi ritrovo
spaesato e commosso. Sono in
preda
di miti e fantasie. Di una
storia
che superba mi avvince.
Eppure l’Etna
vomita gli urli del divino
Empedocle
assieme al suo calzare
incandescente.
E le celle, schiarite
dall’Oriente,
evadono dattorno
metafisici suoni. Il
crepitare
mi sembra che diffonda
misterioso
il senso della vita e del
divino,
se soprattutto il tufo si fa
d’oro
quando si mischia il rosso
della sera
al fiottare del sangue ed ai
singulti
di cento buoi sgozzati.
Ancora l’ara,
che è turgida e crepata,
esala l’acro
umore dei bovini. Ma è
dintorno
alle soglie di Zeus che si
levano
le voci bisbiglianti o i
gridi acuti
per ingraziarsi il dio. Ed
io mi fondo
assieme a quelle genti che
scampate
si videro dall’armi del
nemico.
Le colonne arrossate
rimbalzano nel cielo la mia
voce.
25/04/1999
L’azzardo dei confini
Parliamone.
Non ti pensare
che le cose più belle vengano
fuori
da quei giardini in fiore.
I profumi più intensi
di solito respiri
sulle pianure incolte;
rimaste abbandonate.
È là che si sprigiona
la coscienza di esistere,
l’azzardo dei confini.
Ricordati le strade
che sortiscono i silenzi dei
fossati
fattisi piste
per i ragazzi allegri del
paese.
I viottoli che vanno lungo
gli argini
a immettersi tra il folto
dei canneti
ad ascoltare i cori di
cicale.
O meglio ancora l’azzurro
che divora
il chiasso dei mortali.
Là sentirai più schietto
del chioccolio lo scorrere
dell’acqua
tra il verde profumato
d’abbandono.
Là delle contrastate
ambizioni
tutt’a un tratto svanisce lo
sfronto,
e spetta anche a noi una
fetta di mistero
tra il silenzio degli ulivi.
Credimi, in questi momenti,
dove le immagini si lasciano
afferrare
come disposte a svelare
il loro sottile legame,
quasi quasi ci sembra di
carpire
la debolezza del cielo,
l’errore umano commesso dal
divino.
E l’occhio trasmette
i minuti schizzi all’anima
che li assorbe
al variare dei tocchi appena
è sera.
È qui che il silenzio
ci dice
quanto l’ombre degli uomini
si allunghino all’umano
degli dei.
Ma
quanto brevi i ritorni
ad indagare il senso. È il
bagliore
che torna accecante a
sommergere
il filo di luce
che demarca i confini.
E squilla forte il sole
per nascondere
i brevi acuti che ci fanno
inquieti.
07/08/2000
Sull’isola di Crono
Passai
tutto quel tempo coi pescatori
dell’isola di Crono. Non era
umano,
non lo era quel verde che
mordeva
con tutta la sua forza. Non
c’erano tracce
della nostra civiltà poco
civile.
M’infilavo in quei tratturi
dai rami
macerati dal tempo. Si
arcuavano
e tappavano i profili tra
gli intrichi
sconnessi e misteriosi.
È là che ti conobbi (amore è
dire poco)
bellezza rara nata ad
ospitare
le spelonche dei sogni. Onde
celesti
dell’Oceano più grande gli
occhi tuoi.
Esondarono su me con le
cascate
dei capelli lucenti di
diamanti.
Quanto può esser vera una
finzione
se gode l’anima in armonia
con l’eros
oltre ogni ragione. Mi
ricordo:
c’era una spiaggia bianca di
sale.
E una capanna
sotto le palme al borbottio
del mare.
Il sogno non ha tempo e non
lo ha
l’amore che sognato resta
sogno.
Ma la ragione,
quella che fece la storia,
la sola facoltà che fa
dell’uomo
un essere pensante; la
ragione,
quella che partorì
la casa, la parola, la
memoria;
fu proprio lei che spense il
mio piacere.
Riuscì perfino ad inserirsi
nell’anima dell’anima
con una sua finzione.
Un sogno dentro il sogno.
E sempre in sogno
mi attendevano gli amici e
il mio lavoro.
Quando venne l’ora di
partire
si stagliava nel cielo un
cumulo di nubi:
una città sul mare,
una piccola città che
galleggiava
sopra un immenso mare.
15/09/2000
Ignoto verso il mare
Il
cielo è terso e il bianco della brina
quasi inneva i miei campi. I
passerotti
rapinano il tepore delle
piume
sui rami che sperano dal
cielo
nuove buttate da donare ai
nidi.
È febbraio. Non vedi per i
campi
traccia di paesani; tutto è
fermo.
Persino lo svolare
attende l’ora calda. Mi
soffermo
sul prato più vicino a casa
mia,
calpesto il suolo,
e il piede batte fesso sul
tostato.
Ma è il mese che si avvia
a prometterci speranze; la
mimosa
staglia il suo giallo sopra
la campagna
e ricorda il colore di
ginestra
che gonfierà l’estate. A te
mi dono
mese di nostalgie! Di quando
a sera
ci si accostava al fuoco con
un animo
già pronto ad incontrare
primavera:
il piede scalzo, le corse
fra le vigne,
la sorpresa di un nido tra i
filari.
E ti rivivo,
seppur la mia speranza
non cova rami in fiore;
e anche se negli spasimi
di due colombi sopra la
grondaia
me la ricordo lesta,
ora è la voglia d’altro
che mi riporta a un fiume
e mi trascina ignoto verso
il mare.
24/01/2010 h. 10
Il profumo della giovinezza
Un
ricordo qualsiasi e quel giorno
pieno di luce che torna
reale
a illuminare l’anima. I bei
volti
che fanno giovinezza e che
sprigionano
la voglia della vita. Mi
guardavi
un po' vaga e distratta
senza affrontare sul serio
l’amore.
Ed io che ti perdevo.
Inutilmente
restarono i tuoi occhi
appiccicati
alla mia resistenza.
Giovinezza:
sortivi il tuo profumo
intento ad un sorriso dolce
amaro.
Ed i falò sul mare, le
nottate
a cacciare la luce del
mattino,
le corse a piedi nudi sulla
sabbia
arroventata. E tu che mi
guardavi
con aria sospettosa.
Andiamo ancora insieme in
quel paese:
quello con la piazzetta in
mezzo ai tigli,
quello del barettino che ci
offriva
il cioccolato caldo.
Andiamo, andiamo
tu ed io soli, giovinezza,
andiamo.
Ritroveremo nel verde dei
tigli
gli occhi fugaci della
nostra Delia.
Quanto profumi ancora! Il
tuo sapore
sa di mare, di campo, di
verbena,
sa di gioia, tristezza, di
vaghezza;
sa d’amore, d’amore sano e
puro
di un tempo fisso in seno.
Forse là,
là dove il cielo incontra
l’orizzonte,
resistono gli sguardi
a un’aria che sapeva di
speranza.
Si chiudono le imposte al
mio paese;
tornano a casa i giovani, ma
tu
ti trattieni con aria
indifferente
sulla panchina della piazza
verde
a seminare amore.
09/10/2007
Sotto il sole della nostra
Toscana
Ti
chiedo solamente di restare
ancora assieme a me sotto il
bel sole
della nostra Toscana.
Tutt’attorno
ci faranno compagnia le
verdi groppe
delle sparse colline
ricamate
di biondi girasoli. Ed i
poderi
che allungano viali limitati
da giganti cipressi. E i
casolari
sulla cima dei colli a
contemplare
gli spessi grani mossi dal
respiro
di un cielo cristallino.
Questo chiedo.
Ti chiedo di restare assieme
a me
a bearti di torri e di
castelli,
di piazze chiacchierate da
fontane,
di chiese incise da mani di
artigiani,
di sagre, di bandiere
svolazzanti
su rughe di contrade
a ricordarti arcaiche
vestigia.
E poi insieme movendo su
sentieri,
profumati di timo e rosmarino,
ritroveremo i passi di un
viale
che ci portava in cima a un
paesino
coccolato da mura
medioevali.
Di certo avrai in memoria
una fontana
dove specchiammo i volti
che dicevano speranze.
Affacceremo
i nostri sguardi sul piano
fecondo
di allodole chiassose. E
gusteremo
in vetri ricamati dai tuoi
occhi
il sangue di una terra
sforato al solatio. Resta
ancora.
Non mi lasciare solo. Senza
te
la mia Toscana è povera di
sole,
le mura medioevali senza te
non parlano di storia.
Restiamo ancora fino a tarda
sera.
Il sole è là che trova il
suo riposo,
lontano, in fondo al piano.
Ti emozionavi se i raggi
rubino
tingevano di rosso le tue
vesti,
e le vesti di un mare
che ti portava dritto
all’infinito.
15/10/10 h. 17,30
Il mio ritorno
Si
accendono le luci nelle case
e per le vie del borgo. Sarà
notte!
Per ora il giorno mangia
virtuale
la luce dei lampioni. È il
mio ritorno.
Presto l’oscuro mangerà il
cammino
e il verde dei miei colli e
le memorie.
E spero solo che la luna in
cielo
porti a spasso del sole, col
suo volto
perlaceo e le sue chiome,
dei frammenti
di luce. Tanto spero di
vedere:
se privo di ricordi, alle
colline
nell’ora del ritorno il mio
partire.
25/02/1978
Veramente intenso il succedersi delle immagini e dei pensieri nella poesia eponima. Anche se in qualche verso risalta chiaro il messaggio montaliano, e addirittura mi sembra che l'autore ne riportati qualche verso, nell'insieme ci arriva, come richiamo nuovo e poeticamente valido, il concetto che l'uomo è più vicino al mistero dell'universo quando è a contatto di una natura abbandonata nel suo disordine primitivo. E' là che ci si può avvicinare il più possibile all'inarrivabile. "Là sentirai più schietto / del chioccolio lo scorrere dell'acqua / tra il verde profumato d'abbandono". Credo che sia stata scelta una poesia veramente adatta al titolo del testo. E che il contenuto centrale della poesia stessa sia motivo di unità e compattezza dell'opera. L'ho letta tutta. Ci sono alti e bassi, come in tutti i testi. Ma nei momenti migliori Pardini raggiunge delle vette di liricità esistenziale veramente coinvolgenti. Mi piace poi il linguaggio volutamente semplice e privo di orpelli imgannevoli e mistificatori. Un linguaggio arrivante a prima lettura. Un grazie a Pardini per L'azzardo dei confini.
RispondiEliminaProf. Franco Petruzzelli