La
Giuria tecnica del Premio è composta da
Presidente Nazario Pardini (ex
ordinario di
Lingua e Letteratura Italiana, poeta, saggista, critico letterario, blogger), Vice pres. Patrizia Stefanelli, Alessandra
Corbetta, Vittorio Di Ruocco, Gianfranco Domizi, Alfredo Panetta. Segretario:
Giovanni Martone
Le opere
vincitrici andranno a comporre l’antologia che avrà per titolo La
tua terra ha mille rose da sbocciare tratto da una poesia di
Nicola Maggiarra, presidente dell’Associazione fino alla sua scomparsa
accaduta un anno fa.
L’omaggio a
un poeta cantautore sarà per Franco Califano interpretato dalla grande
voce di Frank Onorati. A
leggere le liriche: Giuseppe Lediani, Adele Romanelli, Patrizia Stefanelli.
Condurrà la serata Gaetano Orticelli con Orazio Ruggieri; insieme
a Orazio La Rocca compongono la Giuria dei giornalisti che assegnerà il
Premio Speciale Stampa.
Grazie
alla collaborazione dell’Amministrazione del Comune di Itri, dei
giornalisti amici dell’Associazione, degli sponsor Addessi Corporate
e Wikiamo, della PRO LOCO di Itri, il Premio Nazionale
Mimesis di poesia si conferma tra i più notevoli in Italia e così i Poeti
vincitori.
Vincitori:
POESIE VINCITRICI
SEZIONE A (inedita) su 721 opere
1ᵃ classificata Un perché di Mario
Manfio
2ᵃ classificata La pace in Palestina di Paolo Emilio Urbanetti
3ᵃ classificata Colpevoli verità di
Michele Zaramella
4ᵃ classificata Io padre, mio padre
di Michelangelo
Innocenti
5ᵃ classificata L’urtimo
appuntamento di Luciano
Gentiletti
6ᵃ classificata La
testa del drago di Luisa Di Francesco
7ᵃ classificata Girando per la
città con la febbre addosso di Davide
Borowski
8ᵃ classificata Descrizione per un non vedente di Giovanni
Galeone
9ᵃ classificata Ëndërr pakuptìme-
Sogno assurdo di Giovanni
Troiano
10ᵃ classificata La scadenza di
Antonio Alessi
11ᵃ classificata Sarà servito a qualcosa di Angela
Caccia
12ᵃ classificata Ti spiavo le labbra di Elvira Bianchi
POESIE VINCITRICI SEZIONE B (edita) su 424 opere
1ᵃ classificata Residuati Bellici di Paolo Stefanini
2ᵃ classificata Oltre di Nunzio Buono
3ᵃ classificata Amebeo
per Euridice di Vito Sorrenti
4ᵃ classificata Cronache
di ASL di Francesco Paolo
Intini
5ᵃ classificata Dove
vai Luisa di sera di Alessia Bettin
5ᵃ classificata ex aequo Una bomboniera di Lorenzo Piccirillo
7ᵃ classificata Autunno di Andrea Tavernati
8ᵃ
classificata Il tempo di Erebo di Luisa Di Francesco
9ᵃ classificata Esistenze di
Danilo Francescano
9ᵃ classificata ex aequo Sotte u tacche du
stevole di Vincenzo Mastropirro
11ᵃ classificata Con
il mare tra le mani di Stefania
Siani
12ᵃ
classificata Non ti volevo salutare così
di
Elisabetta Biondi Della Sdriscia
12ᵃ classificata ex
aequo E sò arimasto llà di Ernesto Pietrella
PREMIO “NICOLA MAGGIARRA” (Autori residenti in Provincia di Latina)
A
Vincenzo Screti
per l’opera La poesia di Caproni
MENZIONI DI MERITO
Lo
specchio di Giovanni Aniello
Nel
grido delle cose morte di Alessandro Izzi
MENZIONI D’ONORE
Usami di Edvige Gioia
Speranza
occulta di Raffaele Vecchio
Associazione Culturale Teatrale Mimesis
Poesia prima classificata ( Poesie edite ) Paolo Stefanini
Residuati bellici
Il carro “T...”
Colpito dove
il carapace
si piega e si
fa più sottile
è saltato in
una vampa
la possente
torretta riversa più in là.
Per giorni ha
continuato a bruciare
poi una pioggia
acre
ora è bruno di
ruggine
e sprofondato
un po' nel fango.
Erano in
quattro dentro
non è rimasto
nulla.
Il drone “Unman. a.v.”
Da solo sapeva volare
e lèggere il
terreno come mappa
il malvagio
uccello kamikaze
prezioso come
il palazzo abbattuto
con la gente
dentro.
Ora dilaniato
espone
incredibili
interiora
d'acciaio e
compositi
cablate da
fili variopinti:
introvabili il
cuore
la mente
artificiale
la memoria del
remoto mandante.
Sobbalza l'ala
spezzata
ai colpi della
demolizione
che ne compatta
i resti.
La trincea smobilitata
Ancora la
trincea
come quella
dei nonni
polvere e
fango
secondo la
stagione.
Si teme una
trappola mortale
fra i bòssoli
vuoti
che suonano al
passo
come un carillon
fuori luogo.
Il fronte si è
spostato
non c'è anima viva
fra le casse
sventrate e i rifiuti.
Sembra
l'istallazione di un museo di guerra
mancano i
manichini
mancano i
rumori sottofondo
un tanfo
inconfondibile persiste.
Il fucile “M...”
Non è il
vecchio '91
col suo tapum...tapum...
questo raffica
a filastrocca.
Il fucile
moderno
è compatto,
leggero
lo può usare
anche un bambino.
Ha occhi buoni
e mira
il bambino
è coraggioso -
si dice -
(o del tutto
ignaro, comunque)
... è un
piccolo cecchino
celato fra le
rovine
difficile
stanarlo.
La vecchia mitraglia
Emblema è
ormai di certi luoghi
la vecchia
mitraglia
saldata a
nuova vita sul cassone
del pick up
Toyota,
sagittario
meccanico su gomma.
Le guerre a
bassa intensità
le guerre per
conto terzi
s'inventano
armi pezzenti
niente insegne e per divise stracci.
E' tutto così
labile qui
amici nemici
comandanti
come i
confini:
un attimo, un
passo falso
quello fra
vita e morte.
I detriti sparsi
Uomini e cose
come detriti
tutto si
consuma
perisce a
vista d'occhio
un tempo fu
vita, lavoro, risorse.
La quercia
antica
è stata
abbattuta con la dinamite
c'era forse
una spia ingegnosa
fra i passeri
e le fronde.
E' stata lunga
la battaglia
su questi
campi:
nella zolla
ormai
più che terra
buona
è il piombo.
Se ancora tornerà
il seminatore
che pane
mieterà domani?
Poesia seconda classificata Nunzio
Buono
Oltre
Lo sguardo è a distendersi
oltre le volte l’eco delle cattedrali respirate.
Rimuovere la fine dalla fine
fare tornare a vivere le mani sugli angeli
affrescati, scolpiti
nel cammino del marmo.
Dare un destino
al silenzio delle parole, voce al vello
nella sinuosità delle forme.
Ridare lo spazio all’aria
togliere la sosta al peso della polvere
sottrarre ogni distanza
e abitargli addosso un’infinità di nomi.
Cancellare, riscrivere e guardare
quel lui che va e il lui che resta, oltre
l’inettitudine degli
uomini.
Poesia
terza classificata Vito
Sorrenti
Amebeo
per Euridice
Ghermita
da gelida unghiata
giace Euridice sulla rosa
del suo sangue aggrumato E non ha requie Orfeo
e vaga per le vie
ebbro di strazio
e di delirio atroce
E le corde di liuto
del suo cuore scucito
grondano note
di dolente velluto O sole dei giorni lieti
o luce della mia vita
quale gioia, quale vita
senza te, Euridice? Euridice…
Euridice… Euridice…
Ripete l’eco fra lingue di fuoco
e sinistri boati
Ma fra le pietre
degli insanguinati edifici
solo orde di lupi
si aggirano armati E il pianto accorato
dell’anima arata
s’avvita nel vuoto
di sventrate pareti
E lacrima echi
di vetroso supplizio
sulla gelida brace
dell’amore perduto A che la voce, a che la cetra
senza le note della mia musa
senza la grazia della mia rosa
senza te, Euridice? Euridice…Euridice… Euridice…
Risuona
l’eco fra i dirupi
dell’aspra ferocia
Ma spenta è ogni luce
e misericordia tace
fra gl’infuocati detriti
delle case distrutte E
desolato rintocca
per
le strade deserte
l’amaro singulto
del cuore trafitto
E attrista le querce
e scuote le rocce
ma non ridesta
l’assorta Euridice O cielo stellato, o primavera fiorita
a che la vita, a che la luce, se l’amata
Euridice giace inerte e raccolta
nel suo sonno di morta Morta…Morta…Morta…
Lacrima
l’eco fra le case divelte
col
mesto rintocco dell’acqua che goccia.
Poesia quarta
classificata Francesco
Paolo Intini
Cronache di ASL
Una punta di
colesterolo è stata precisa
a fissarsi nella
coronaria. Millimetrica.
Cinghiali sulla statale.
Lucertole su
poltrone improvvisate.
Una signora lamenta
un parto del ‘54.
Maria scolpita in un
ulivo.
Anche i nervi si
sono seccati. La memoria
ha un corto su un
piede trafitto.
Una ragazza copre un
buco nel petto.
Un’altra la rincuora
del bambino.
L’ulivo non capisce.
Basterebbe
sussurrare a un
nervo vuoto.
Si è tra chiodi in
una porta.
La punta che affonda
non sente il male.
Il legno invece
riempie il nulla.
Nemmeno sa del
cigolio.
Poesia quinta
classificata Alessia
Bettin
Dove vai, Luisa, di sera
rimani a casa a cucinare
i tuoi involtini di
stelle
non li supera nessuno
nel tuo cuore crescono
talee
e germogli si mescolano al rimpianto
è sbagliato lasciare un
lavoro sicuro, Luisa
di martedì
ci sono scorpioni che
risalgono
le tubature a notte
fonda
soldi che vorresti
per i libri il mascara
l’abbonamento a netflix
lo so che hai bisogno di
tempo
e pieno sole
per scrivere la vita che
accade
e non accade
te lo ripetono i rospi
nascosti dietro la
porta,
hanno ragione
osservi giardini animali
il loro istinto a
cercare
ruspare la terra
senza tregua girovagare
tu sei come loro
ma non c'è stato
abbastanza tempo
e coraggio
ogni sera il camino
della trattoria fuma
cuoce carne di puledro
la scia si allunga nel
cielo nero
la strada ha un richiamo
blu led
vorresti andare anche tu
lassù
con le anime dei piccoli
cavalli
ma il bambino la zona
rossa
ti richiamano all’ordine
signorina, dove credi di
andare
Luisa, questa strada
spianata
te la devi riprendere
le tue articolazioni
sollevano i pianeti
tieni il mondo sulle
vertebre cervicali
non più timorosa
butta al ferrovecchio
questa montagna di lamiera
pali ruggine cancelli un
furgone
le domande che ti
Poesia quinta classificata ex aequo Lorenzo
Piccirillo
Una
bomboniera
C’era
sempre il sole ma pioveva
è
sempre esistito il Cristo che lo
mandava
a
piene mani il futuro bene o male che fosse
in
un disegno col sapore di «Creato»
Così
sentenziò poche ore prima
il
dottore costrinse al battito il cuore
poi
scosse il capo sconfitto
sentenziando
“non molto tempo dopo”
la
fine del tuo respiro
Taciturno
con la sciarpa di cammello
per
arginare il sudore pugnalato al cuore
dall’inverno
che ancora non muore
La
giara di cristallo la zuppiera di creta
le
tazze vestite di oro zecchino
la
sfera dell’anima trafitta dalla pupilla
covo
ostile negli sguardi dei parenti
«Perde sangue dal petto la mente»
ripensando
ai due filari di vitigni
mentre
estirpi l’acerrima gramigna
avvolta
alla radice della quercia amica
ormai
anche il suo di spettro è scomparso
Rimane
il nulla del nostro «vino»
al
sapore di zolfo depurante
quello
giallo in polvere della tua
forse
da domani della mia di vita
Intanto
soffiando col mantice della memoria
pinzando
gli acini acerbi della ragione
si
sporcheranno i grappoli del Tempo
e
ne uscirà solo del fumo
[«Nero»]
Poesia
settima classificata Andrea
Tavernati
Autunno
(Haiku)
L’ultima foglia
da vent’anni la stessa.
Un po’ più gialla.
Poesia ottava classificata Luisa
Di Francesco
Il tempo di Erebo
Era
il tempo di Erebo
del
silenzio e dell’urlo
dell’Erinni
nel buio più trafitto
del
parodo in spasimo finto
della
lamentela ferina
di
un arto amputato
dell’imminente
che bussa
-contro un muro:
gelida,
sprezzante e delusa
la
mischia tra luce e lutto.
Sopravviene
dal largo
l’impietramento
del colombario
vicende
di solitudine
deserte
puranco di speranza
pellicole
mute di esistenza
nell’oltranza
dei non colori.
Stravulsa
identità vapora nel sopore
ondeggia
al candore stupefatto
che
piomba a raggi ritti e stanchi:
siamo
i figli dell’arroganza ingiusta
del
temporalesco passare a oscurità.
Sentieri
appena vivi su cui figgere
lo sguardo.
Forse
rivivrà quella passione di padre
dietro
quel velo di ulivi
negli
angoli tiepidi e santi.
Sarà
il tempo della pietà
e
del dolore, temprato di verità.
Poesia nona classificata Danilo
Francescano
Esistenze
Nella
dicotomia arcana di luce
e
d’oscuro che tutto in sé ravvolge,
ci
trascina un pendoleggiare eterno,
prepotente,
tiranno.
Condiscente,
ché
pure è nostra l’esistenza. È nostra.
Battito
a battito lenisce l’anima
il
chioccolìo sopito di un ruscello
o
il mite imporporarsi del tramonto,
e
ci solleva su, nell’infinito.
E
nostro è quel che c’incespica dentro,
un
gattino che implora una carezza,
il
risuonare di una voce amica,
ogni
piccolo palpito d’amore.
Anche
il dolore ci appartiene, e il pianto,
e
le scaglie dei sogni sfrantumati,
umili
tracce in un’immensa scena
dipinta
da ogn’istante nel suo andare.
Poesia nona classificata ex aequo Vincenzo
Mastropirro
Sotte u tacche du stevole (dialetto pugliese)
Ce me sbattene cume nu puolpe
saupe a nu scoglie de more
u core s'arrizze e maine sanghe
sanghe russe, sanghe vèive
sanghe de zappatiure, sanghe de
marenore
sanghe ca u sanghe, u omme
scettote addavère
pe' sendisse dèisce po' ca nan si
bbune a nudde
ca stè lendone da stu munne
nu munne 'ncartote de suolde
nu munne ca te desprìézze.
Nan è ad-acchessèje,
omme note dò e ddò ne stome
almène èje stoche dò
sotte u tacche du stevole
fisse, chiandote 'ndìérre,
sèmbe pruònde ad allenguò
radèisce
u cchjù affunne possibele.
Sotto il tacco dello stivale
(traduzione)
Se mi sbattono come un polpo
su uno scoglio di mare
il cuore si arriccia e butta
sangue
sangue rosso, sangue vivo
sangue di contadini, sangue di
marinai
sangue che il sangue, l'abbiamo
buttato davvero
per sentirsi dire poi che non sei
buono a niente
che sei lontano da questo mondo
un mondo incartato di soldi
un mondo che ti disprezza.
Non è cosi,
siamo nati qui e qui ci stiamo
almeno io sto qui
sotto il tacco dello stivale
fisso, piantato a terra,
sempre pronto ad allungare radici
il più profondo possibile.
Poesia undicesima classificata Stefania Siani
Con il mare tra le mani
Schermirò
la luce
e
allontanerò la pioggia
dai
vetri frantumati
in
mille specchi.
Intonerò
nenie
e
canterò canzoni
che
accompagnino le sere silenziose.
E
quando i tuoi passi
non
ti condurranno più al mare,
raccoglierò
in un pugno
sabbia
e sale
e
ti porterò tra le mani
un
po’ di azzurro e un po’ di mare
da
mostrarti nei giorni d’acciaio.
Ritornerò
alla sorgente
dove
tutto si è mosso
e
un piccolo giardino verdeggiante,
accoglierà
il vento
che
condurrà le tue ceneri stanche.
E
ritornerò a cercarti, Padre,
nelle
stanze del passato,
con
l’orecchio attento
a
cogliere il tuo canto.
Poesia dodicesima classificata Elisabetta
Biondi Della Sdriscia
Non ti volevo salutare così
Omaggio a
Pier Paolo Pasolini
Una pozzanghera cupa,
senza cielo, dopo l’abbraccio
che non può placare l’infinita
fame di corpi senza anima, la follia
di carpire il segreto di una vitalità
indifferente ai grandi temi della storia.
Non ti volevo salutare così,
imbrattato dal fango della vita,
senza un’ultima parola di congedo:
sei di nuovo impietrita sul Calvario,
per questo figlio che è nato sulla croce.
Stringimi forte la mano nell’addio,
fammi sentire chiaro il tuo perdono,
nella lingua nostra dolce di Casarsa:
rosada mi dicevi e per le tue parole
tremava in me dolcezza di poesia!
Fa freddo, sono stanco, mi allontano
per sempre dal tuo amore troppo alto
ma necessario a me come la vita che
attingevo a mani piene dentro le borgate.
Mi ricongiungo, madre, al sanguinoso
sonno di Guido tuo, non più solo, adesso,
nella pace interminabile dei morti:
anche
lui sa che no è aga pì frescia del tuo
amore.
*rosada: dialetto friulano, trad.
rugiada
no è aga pì frescia del tuo amore: dialetto friulano, trad. non
c’è acqua più fresca
Poesia dodicesima classificata ex aequo Ernesto
Pietrella
E sò arimasto llà (sonetto in vernacolo
romanesco)
Er tempo passa e sò arimasto llà!
passasse puro indifferentemente,
tanto chi me conosce ce lo sa
che sò ‘n apostrofo tra core e
mente.
Er tempo passa e te stai
sempre qua
come quarmente fussi ner
presente,
tramente che me stavi a rimirà
e soridevi senza dimme gnente.
E drento me ce porto quer
soriso
che me facesti rannicchiata ar
braccio,
tramente t’arubbava er
Paradiso.
Er tempo passa e lassalo
passà!
Io sò arimasto drento a
quell’abbraccio,
da quer Settembre de tant’anni
fa!
E sono rimasto là (traduzione)
Il tempo passa e sono rimasto là!
passasse pure
indifferentemente,
chi me conosce tanto ce lo sà
che sono un apostrofo tra il
cuore e la mente.
Il tempo passa ma tu sei
sempre qua!
come qualmente fossi nel
presente,
nel mentre che mi stavi a
rimirare
e sorridevi senza dirmi
niente.
E adesso, quanto mi manca quel
sorriso
che mi facesti rannicchiata al
braccio,
mentre ti rubava il Paradiso.
Il tempo passa e lascialo
passare!
Io sono rimasto dentro a
quell’abbraccio,
da quel Settembre di tanti
anni fa!
Poesia prima classificata ( Poesie inedite ) Mario Manfio
Un perché... (dialetto triestino)
No xe la prima volta che ghe penso
e che me vien de domandarGhe a Dio
perchè me xe sucesso tanto spesso
de farme qualche sogno (e qualche conto)
e che po tuto va a finir in gnente.
Go fato anca un esame de cossienza
e me par che, se go 'vudo una colpa,
xe stà solo de iluderme, sognar,
forsi zercar de butar sora 'l piato
dela balanza quel che 'L me ga dado...
No go mai zogà sporco, no go fato
gnente per cior el posto de un altro,
no me son mai vantado dele robe
che gavevo o savevo e go visto
tuti quanti i difeti e le mancanze...
Perchè alora Lu' El me ga fato
quei che go sempre mi considerado
come Sui regali: 'sta mia vose,
el saver nele man tignir matite
e penei e le steche de scultura,
quel fià de inteligenza che ga fato
in modo che podessi insegnar...?
I "regali" che Dio ne fa (o la
Sorte)
i xe spesso pagadi (e anca cari)
cole fadighe che no ga compenso,
cole speranze che le vien deluse,
col veder altri che te passa oltra
(e ti te sa che più te val de lori),
col strussiar per gaver solo quel poco
che te permeti de tirar avanti
senza più nè speranze, nè ilusioni!
Un perché… (traduzione)
Non è la prima volta che ci penso
e che mi viene da chiedere a Dio
perché mi sia capitato così spesso
di farmi qualche sogno (e qualche conto)
e che poi tutto vada a finire in niente.
Ho fatto un esame di coscienza
e mi pare che, se ho avuto una colpa,
è stata solo quella di illudermi, di
sognare,
forse di cercare di buttare sul piatto
della bilancia quello che Egli m'ha
dato...
Non ho mai giocato sporco, non ho fatto
nulla per prendere il posto di un altro,
non mi sono mai vantato delle cose
che avevo o sapevo e ho visto tutti i
difetti e le mancanze...
Perché allora Egli mi ha fatto
quelli che ho sempre considerato
come Suoi regali: questa mia voce,
il saper tener in mano matite
e pennelli e stecche da scultura,
quel po' d'intelligenza che m'ha permesso
d'insegnare…?
I "doni" che Dio ci fa (o la
Sorte)
spesso vengono pagati (e anche cari)
con le fatiche che non hanno compenso,
con le speranze che vengono deluse,
col vedere altri che ti superano
(e tu sai di valere più di loro),
col penare per aver solo quel poco
che ti permetta di tirar avanti,
senza più né speranze, né
illusioni!
.
Poesia seconda
classificata Paolo
Emilio Urbanetti
La pace in Palestina (dialetto romanesco)
Ner
vicoletto dietro casa mia
ce
sta Abdullà, siriano e verduraro,
noi
pe scherzà je dimo “er patataro”
e
lui ce lassa dì, nun se la pia.
Davanti
cià Giuditta “la giudìa”
co
su’ marito Arònne, ch’è fornaro...
fa
un pane bono bono e manco è caro,
ce
piace... cià ‘n sapore de famìa.
Giuditta
si je serve un po’ de frutta
lei
se la compra sempre da Abdullà
«Scialòmme
amico mio, come te butta?»
E
lui: «Bene Giudì... voi ‘na susina?»
Che
bello si ‘sti dua stassero a fà
li
patti pe fà pace in Palestina.
La pace in Palestina (traduzione)
Nel vicoletto dietro casa mia
ci sta Abdullà, siriano e verdurario,
noi per scherzar gli diciamo “il patataio”
e lui ci lascia dir, non se la piglia.
Davanti ha Giuditta “la giudea”,
con suo marito Arònne, ch’è fornaio...
fa un pane buono buono e non è caro,
ci piace... ha un sapore di famiglia.
Giuditta se le serve un po’ di frutta
lei se la compra sempre da Abdullà
«Shalòm amico mio, come ti butta?»
E lui: «Bene Giudì... vuoi una susina?»
Che bello se questi due stessero a far
i patti per far pace in Palestina.
Terza classificata Michele Zamarella
Colpevoli verità
29
luglio 2022
Inascoltato
cuore
così
espanso all’altrui attenzione
s’ammanta
di fascino
perverso
a volte
mai
più sarcastico
nel
raccontar la favola dell’amore.
Voi
credete ch’io sia
così
luminoso in volto
e
sorridente
e
figlio di mia madre la bellissima
e
di mio padre il buon uomo
e
pur prendete a verità
le
mie idiozie
insistenti
e zuccherose.
Il
passo altero
sempre
avanti a questa folla
rumorosa
di fastidi e celie
maleodorante
infida
e sempre all’incasso
di
favori melliflui
e
di comode convenienze.
Voi
credete ch’io sia o sappia o possa intendere
ciò
che più vi fa star bene
e
ch’io sia così bravo e forbito
nello
studio delle vostre piccole menti
imberbi
di conoscenze
ma
così ricche di facezie misere.
Sì
io so
io
conosco
io
racconto e incanto
su
tutto invento ciò che in me
non
ha mai trovato albergo
ma
non saprete mai
quanto
io sia colpevole.
Dentro
a quest’animo bastardo
non
c’è mai stata una verità innocente.
Quarta classificata Michelangelo
Innocenti
Io padre, mio padre
“Sei una delusione papà” dice
sottovoce, il piccoletto mio
ora che si è fatto grande
Le stesse parole dissi a mio padre
Ho odiato mio padre
Avrei ucciso mio padre
Ricordo quando perse la testa
lo stavano guardando tutti
i compagni, la maestra
schiaffi e grida e pioveva
e ridevano, pioveva
e ridevano di me
e ridevano
di mio padre
Ricordo anche di cento notti
Mille per farmi dormire
i suoi occhi e le tenebre
la stanchezza dei giorni e
un’ora, due ore, tre ore
la paura del buio
la sua mano nel
sonno
Sapeva sempre quando mi addormentavo
Non so come, lo sapeva
Poi il primo tradimento di mille
le lacrime di mia madre, la depressione
l’ospedale quando non voleva vivere
io e lei, senza mio padre
Aveva ragione lui, diceva
Una sera l’aspettai fuori di casa
Volevo tagliarli la testa col coltello da cucina
ma rientrò prima mia madre
Perché ho odiato mio padre
Io avrei ucciso mio padre
Non mi scordo quando disse “non è buono a niente”
Ridevano ma non pioveva
Io gelavo. L’odiavo. L’avrei
ucciso mio padre
Non mi scordo quando mi dissero “è fiero, è fiero”
lo disse anche a me con una scusa e un abbraccio
il calore della sua bocca sulla mia spalla destra
lì resta.
Lì resta mio padre
Nei chilometri, avanti e indietro, per me
Nel freddo, nelle mattine plastificate
Nella frustrazione dei giorni
lì mio padre
Certo, resta la cattiveria
gli ultimi giorni di vita
la malattia, rinfacciata ai figli
le dottoresse a cui ammiccava
la povera mamma, dietro stanca, stanca.
“Non ti ho mai amata”
Le lacrime di mia madre.
“Non ti ho mai amata”
Poi crepò, c’ero quel giorno
non lo scordo l’occhio sinistro
ancora aperto, l’ultimo sguardo tremendo
Tremendo. Tremavo.
Mi chiamò al giaciglio
Piangevo
“Vi amo” sottovoce
“Come?”
“Ho sbagliato” sottovoce
Come? Non rispose
Morì in silenzio
Non l’ho mai detto
Fu l’unico momento in cui l’avrei voluto indietro
“Sei una delusione papà”
Sottovoce, il piccoletto mio
ora che si è fatto grande
Mi odia. Ucciderebbe suo padre.
Il mio piccoletto, ucciderebbe suo padre.
Poesia quinta classificata Luciano Gentiletti
L’urtimo appuntamento (dialetto romanesco)
(L’omicidio
di Giulia Cecchettin)
Puro
‘sta vorta s’aripete er rito
d’accompagnà
‘na bara tra li fiori,
donne
umijate… donne fatte fori
dall’amico
fidato o dar marito.
Quanti
silenzi pe coprì st’orori
avemo
sopportato e diggerito,
quante
violenze senza smove un dito,
quante
coscenze sorde a li dolori.
Fiori
a li muri pe la compassione,
tombe
de sogni pe la libbertà,
lutti
da piagne senza ‘na raggione.
C’è
n’artra donna ne la “collezzione”
de
st’ale che voleveno volà:
n’artra
farfalla sotto a ‘no spillone.
L’ultimo appuntamento
(traduzione)
(L’omicidio
di Giulia Cecchettin)
Anche
questa volta si ripete il rito
di
accompagnare una bara tra i fiori,
donne
umiliate… donne uccise
da
un amico fidato o dal compagno di vita.
Quante
volte con il silenzio abbiamo sopportato
quasi
assuefatti a queste tragedie,
quante
violenze senza protestare,
quante
coscienze sorde ad ogni dolore.
Fiori
appoggiati al muro per la compassione
sono
le tombe dei sogni per la libertà,
lutti
che potrebbero e dovrebbero essere evitati.
Un’altra
donna è entrata nella “collezione”
di
ali che volevano volare:
Un’altra
farfalla infilzata da uno spillone.
Poesia sesta
classificata Luisa Di
Francesco
La testa del drago
(Alzheimer)
Piove sempre a dirotto
nell’effervescenza della follia
dove ogni attimo svanisce
pure lo stupore.
I lemuri ti vengono a molestare
in vivi barbagli repentini:
è una scatola vuota la mente
vorrei liberartene senza ferite
sembri cadere nelle fenditure
aperte da te
nella notte che non vede nulla.
La testa di drago s’innalza
stai ferma a pochi passi
e vorrei essere terra
che accoglie materna
l’aratro che la squarcia
e il bacio s’asciuga
sulla tua guancia.
E mi sorridi, nella tua natura diversa
è tenebra liquida il banco di sale.
Non esiste miracolo, pur nel rimorso
nell’ora in cui la tua nave doveva
salpare.
Poesia settima classificata Davide
Borowski
Girando
per la città con la febbre addosso
Dopo
queste ore insonni, città, in te non mi oriento.
Ho
sudato e tossito, mai in pace - credo sia stata
la
febbre, che mi ha preso e tenuto per suo
più che
una donna amata d'un amore di cui mi pento.
Sembra
un luogo straniero, eppure ci son nato.
Mi par
che la gente, camminando in strada, mi guardi
come
ubriaco che s'attardi, nemico dello stato
e non so
dire s'abbian torto o se sia vero.
Dopo una
notte di febbre, città, in te ahimè mi perdo.
Dovevo
mettermi in mutua, altro che andare in ufficio.
In
strada la gente mi scruta e accusa con lo sguardo:
dì, sarò
vittima di maleficio? Di certo sto in ritardo.
Poesia
ottava classificata Giovanni
Galeone
Descrizione
per un non vedente
Gli
alberi, le panchine, i viali perimetrali
dell’ampio
giardino pubblico nel quale
consumammo
infinite suole e discussioni.
Per
un lustro la via delle querce verso
l’affollata
stazione la percorremmo
ogni
giorno per curare la nostra cognizione.
Le
partenze mattutine tra vagoni vaporosi,
posti
liberi legnosi tra ripassi di fisica
e
accesi diverbi su governo e sindacati.
L’ombra
degli alberi è rimasta identica
sono
cresciute i giochi e le panchine
il
giardino è dei pensionati il pomeriggio,
degli
adolescenti la sera, dei pusher la notte.
Triste
e vuota la stazione, sparuti treni,
neanche
un ferroviere per frettolosi viaggiatori,
solo
la campanellina continua a suonare
indelebile
madeleine di ciò che eravamo stati.
Poesia nona
classificata Giovanni
Troiano
Ëndërr pakuptìme (lingua Arbërèshe)
-Kangjèl të rronìs pa rimë-
Vùxhën e Fjàlës çë nd’jètët më sùall
së njoh e së dì pazëmërvetë kòqezë
çë màsjën mòtin nùmërin edhè të ngjìrat.
Edhè padrìtë sepsè shkon rròjtja ime
më fjandàsën mùa, çë bënj
shërbìse
të mbràzta: mjègulla çë rrahadhèrë ven,
të shtìjtura ka àiri tek mòsnjë port
ku së lìdhën me tërkùza sigurìmesh.
Tjèrvet i glàrë dhasi një pund llanèti,
drèdhëz ngatarrènj e vjèrshi ndë fùndët
i vjèrrë qindròn ka kënga pafërnùarë.
Kjò jètë ë’ nj’ëndërr hjèshme
pakuptìme,
e tek ajò gjìthë nà do të zgjòhmi të vdèkur:
po kushedì nd’i vdèkuri ëndrrën të ngjàllët?
Sogno
assurdo (traduzione)
-Sonetto
esistenziale senza rima-
La voce del
Verbo che alla vita mi trasse
ignoro e
degli inesorabili granelli
nella
clessidra il numero e i colori.
Oscuro il
fine della mia esistenza
resta a me
stesso, arbitro di azioni
inconsistenti:
nuvole vaganti,
che
veleggiano verso nessun porto
senza
sperare ormeggi di certezze.
Simile ad
altri come un punto a maglia
intreccio
trame e l’ultima cesura
penzolerà
dall’incompiuto canto.
Stupendo
sogno assurdo è questa vita,
da cui ci
sveglieremo tutti morti:
ma sogna il
morto la resurrezione?
Poesia
decima classificata Antonio
Alessi
La scadenza (dialetto romanesco)
“Da consumarsi preferibilmente
entro la data sulla confezione.”
Si, putacaso, disgrazziatamente,
nun leggi o nun ce fai troppa attenzione,
te tocca buttà tutto, come gnente.
Che poi, a penzacce bene, ‘sta quistione
è p’er magnà ma vale puramente
p’er modo de campà de le perzone.
Presesempio: er latte, quanno ch'è scaduto,
lo devi da buttà, ch'è ‘na schifenza,
e te ce sformi, si nun l'hai bevuto;
figurete un po te pe l’esistenza,
si l’hai sciupata senza avé vissuto,
quanto te ce pò rode, a la scadenza.
La scadenza (traduzione)
“Da consumarsi preferibilmente
entro la data sulla confezione.”
E se, per caso, disgraziatamente,
non leggi o non ci fai troppa attenzione,
devi buttare tutto, come niente.
Che poi, a pensarci bene, la questione
è per il mangiare ma vale anche
per il modo di vivere delle persone.
Per esempio: il latte, dopo che è scaduto,
lo devi buttare, perché è una schifezza,
e ci resti male, se non l'hai bevuto;
immagina un po’ tu per l’esistenza,
se l’hai sciupata senza aver vissuto,
quanto ti infastidisce, alla scadenza.
Poesia undicesima classificata Angela
Caccia
Sarà
servito a qualcosa
leggere
Omero farsi disturbare
il
sonno da una mail
vivere
fino
la ferita
e
al grido sotterraneo uscire fuori dal calcolo?
Sarà
servito
innamorarsi spartire
in
due il peso di sé stessi
lasciarsi
incurvare sino a fare
del
dubbio l’unico fronte di liberazione
e
infine arrendersi
sospesi
e felici sull’abisso
al
pari degli amanti di Klimt?
…
come Giacobbe e la sua anca rotta
poter
lottare col proprio Angelo
per
meritarsi un nome
Poesia dodicesima classificata Elvira Bianchi
Ti
spiavo le labbra
Le
cosce
L'ossuto
delle spalle
Conoscevo
a memoria i tuoi confini
Li
avevo tastati al buio
Annusati
Scaldati
col vapore
Del
mio fiato
Nel
nero assoluto delle stanze
La
luce si sprigionava dal tuo corpo
Intermittente
al mio calore
Come
lucciola
In
amore
Mi
è bastato
Come
rendita o vitalizio
Da
spendere con parsimonia
Senza
sprechi
Centellinando
la memoria
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