“C’è ancora una speranza.
Nell’angolo nascosto del tuo cuore
ha fatto la sua umile dimora”
La silloge Meduse opalescenti, composta di ventidue poesie, si dipana su una tessitura poetica in cui le varie motivazioni ispirative si intrecciano accompagnate da una versificazione che fa da contrappunto alle modulazioni interiori. Il memoriale, la malinconia, il dolore di una perdita, la fede, il rimpianto, il simbolismo panico sono tanti elementi di uno stilema poetico che racconta la vita, nella sua più profonda inquietudine esistenziale. Meduse opalescenti è il titolo dell’opera con cui l’autrice, con tratto laconico e metaforico, delinea quello che è il pensiero eracliteo dell’essere e dell’esistere. La vita scorre, fugge, tutto è labile e precario; e questa coscienza della fugacità dell’esistenza permea, sotto voce, i versi della raccolta, anche se più evidente il tema spicca nella poesia da cui deriva il titolo: “Come medusa anch’io: velenosa, / ma libera e leggera. Spinta / dalla corrente sulla riva approdo. / Nel sole mi consumo. / Acqua ritorno, confusa tra le onde. / Il mare nel suo grembo m’accoglie / e in trasparente vortice / di schiuma mi trasfonde.” (Meduse opalescenti). Il mare nella sua immensità può rappresentare voglia di libertà, ricerca di un mondo di pace che ci estranei da noi stessi, ma anche annullamento dell’essere in qualcosa di immenso e di troppo non umano che ci annienta e spaura. Per questo forse l’autrice va alla ricerca di un memoriale di affetti e di figure che si facciano alcova, motivo di riposo interiore. E tutto si trasforma, tutto si alleggerisce se filtrato dal tempo e dalla memoria (“E’ nel ricordo e nel tempo che gusto quelle lacrime” afferma Pirandello.): “Vieni, prendimi ancora per mano / Lo ricordi quel ballo appassionato? / Non arrossire, ti dicevo piano. / Riprendiamo il coraggio, riproviamo, / il ritmo è lento, se lo vuoi, balliamo.” (Anniversario). E il riaffacciarsi del pensiero del nulla eterno, dell’abisso, e del vuoto ritorna nella poesia Abisso buio. Qui l’autrice , questa volta, trova motivo di dolore per la paura “della ragion perduta”, ma non certo per la morte: “Con lunghe dita mi ferisce / l’orrore disperato di ieri, / l’ansia di domani e l’oggi / consumato a ricordare. / Mi afferra la paura / della ragion perduta / nel vuoto dell’abisso buio, / non certo della morte, sollievo / se la vita si fa peso / per gli altri e per te stesso.” (Abisso buio). Ma il dolore può farsi anche fede, speranza nel coinvolgimento di una tragedia di cui la cronaca ci ha dato contezza: “Che cosa può fare un bambino / strappato dalle braccia di sua madre / se non chiamarla e piangere? / ... / Hai conosciuto in un lampo / l’orrore e la paura, / la violenza e la morte. / Dormi ora, riposa tra le braccia / di Dio Padre amoroso, / teneramente posato sul suo cuore, / non aver paura!” (Al piccolo Tommaso). E il sentimento di dolore ancor più si fa acuto nella poesia Lampada accesa. Qui la poetessa esprime con forte trasporto lirico una sua triste vicissitudine; l’uso dell’endecasillabo prolungato da enjambements, quasi a dilatare la foga della confessione, affianca e rafforza la scioltezza dell’ispirazione : “Le chiudesti gli occhi, senza pianto / un’altra donna, un altro amore avevi. / Uno sguardo mi lacerò l’anima. / Ti vidi ridere con lei che prese / subito dopo, il posto di mia madre. / Lampada accesa per tutta la notte / è quella che arde nella stanza mia, / per quel dolore che mi brucia dentro / non trova pace e non dà perdono.” (Lampada accesa). Ma è il ricorso al simbolismo panico, a immagini esterne, a parvenze naturali a rendere più visivi i moti interiori, e a concretizzare sentimenti e stati d’animo. Ora il dire è diretto, improntato su una aveu spontanea, senza fronzoli né troppi accorgimenti tecnici, che ne sottintendano il significato; ma spesso sono le cose, le figure, gli ambienti che parlano per la poetessa, e così il linguaggio si fa indiretto, e le parole si vestono di una grande forza allegorica: rugiada di luce, il cantico del mare, meduse opalescenti, fiaccole, un giardino, la neve, il vento, micia, acqua di sorgente. E che spessore lirico può assumere un addio! quale forza coinvolgente! Sogni impigliati a fili d’oro forse è la lirica che raggiunge la maggiore intensità emotiva. La forza della Ciucci è quella di saper rendere universale e oggettivo un sentimento tanto soggettivo e personale; è quella di fare poesia e coinvolgere sia con le piccole che con le grandi questioni: “Nel ruvido cappotto grigio-verde / nascondevi il viso. / Io ti tenevo stretto. / La tua pelle giovane / sapeva di tabacco ed erba fresca. / ... / Lama tagliente conficcò / nell’anima il tuo addio. / Il cauterio del tempo / non ha mai sanato la ferita.”.
Poesia chiara, arrivante, coinvolgente quella di Maria Adelaide Ciucci. I sentimenti spontanei e diretti coinvolgono per la loro freschezza, e anche nei momenti di grande pathos emotivo mai l’espressione tocca toni languidi o melliflui. Tutto è contenuto in un registro verbale meditato e sofferto, di alto spessore lessicale che denota anche malizia tecnica e esperienza poetica. L’autrice usa una versificazione varia, tessuta di versi brevi e stesure più ampie, da cui fuoriescono impennate di endecasillabi come vere cascate di armonia, a supportare con l’aiuto di assonanze, rime e enjambements, la naturalezza della pluralità dei contenuti.
Arena Metato 18 luglio 2007
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