Prefazione
a
Il filo del ricordo
di
Maria Ebe Argenti
Dalla lettura della silloge di Maria Ebe Argenti risalta chiara la malizia tecnico-fonica nel trattare il verso in tutte le sue varianti. A dominare il tutto è un endecasillabo nutrito di scintillanti creazioni verbali, di immagini luminose di cielo e di luce, dove i contenuti, fortemente vissuti, e dettati da un sentire immediato, spaziano toccando i vari tasti del pentagramma dell’anima. Dal Canto del ritorno, a La piccola foglia (vera impennata lirica di grande impatto per il suo accostamento all’essere e ai quesiti dell’esistere), dal Fascino di vita, a Perché questo dolore. Un tocco leggero di tristezza, ed un leggero pessimismo (terriccio fertile in questa poesia) riportano a una speranza di dare scacco al re, anche se la malinconia del cielo non è rallegrata dalla danza della natura. E la natura con le sue sottili sfumature rappresenta, metaforicamente, i vari stati d’animo dell’autrice. E’ nei suoi colori, nelle sue esplosioni estive, nelle sue decadenze autunnali, che la poetessa ritrova se stessa, ritrova la sua forza lirica: le ortensie hanno strane colorazioni, gli azzurri e i viola sfumano le rose. Questo autunno coi suoi colori stanchi, e romantici, ci chiama a meditare: “Sul sentiero di timo e di lavanda / a grandi macchie nel terreno erboso / rallento il passo e medito il riposo”. Il registro della tessitura della silloge è immediato, comunicativo, arrivante; le assonanze, le consonanze, le allitterazioni, le rime, usate con giusta parsimonia, e le diverse figure stilistiche sono di evidente supporto alla musicalità, già insita, per natura, nel fluente dipanarsi degli endecasillabi.
La poesia de Il filo del ricordo, quindi, si snoda su un pentagramma di note intimamente musicali, e le tecniche dell’autrice sono utilizzate con grande esperienza metrica e stilistica tanto che emerge dal canto una non comune fluidità prosodica nel trattare il verso. Ma quello che dà continuità e compattezza all’insieme è pur sempre la grande musicalità che fa da filo conduttore all’intera silloge. L’endecasillabo è trattato in tutte le sue varianti ad accompagnare i tempi dei giochi introspettivi; così ne vien fuori una evidente compattezza fra stati d’animo e versificazione: importante significante metrico che dà forza e fulgore alle impennate creative dell’opera.
Tante sono le occasioni poetiche dell’Argenti: la coscienza eraclitea dell’esistere, l’accostamento delle grandi o piccole fasi della vita alle configurazioni paniche simbolicamente esistenziali, all’amore per il mondo, per l’esistenza, per la creazione anche se una certa melanconia pervade la pièce per lo scorrere implacabile del tempo: ogni giorno è una piccola morte, come direbbe il poeta; ma è il memoriale uno dei motivi poetici di maggiore impatto emotivo. Questo sentimento si fa ora nirvana edenico, amore oblativo, dove rifugiarsi per ritrovare riposo e sprazzi di pace soffusa, momenti di ritorno che staccano da una vita spesso troppo umana, nelle sue successioni. Ora si fa motivo di melanconia nella coscienza dell’essere e dell’esistere tanto magistralmente raffigurato in quella piccola foglia che s’abbandona alla corrente del lungo fiume in corsa verso il mare: coscienza della precarietà degli spazi ristretti di un soggiorno: “Dum loquimur fugerit invida aetas” (Q. Orazio Flacco).. Ed è allora che l’autrice riporta a vita i grandi amori, le grandi passioni, gli scintillanti episodi ricchi di pathos, che costituiscono l’essenza del vivere. Sì, è capace l’autrice, in questa sua operazione di scavo, di ridare forma, colore, animosità a quelle immagini covate in seno. Ed è tanto forte il suo sentire, tanto vero il suo ritorno che mai scade in un sentimentalismo eccessivo, mai in un dire ovvio o scontato, perché il tutto è sempre sorretto da una robusta cifra lessico-metrica, e da un calore emotivo talmente vissuto, che il canto da soggettivo si fa universale e oggettivamente donato. “E’ troppo breve il tempo di una vita / per realizzare appieno i propri sogni /ed ottenere qualche risultato”. (La fiammella). “Si rinnovella il cuore in un paese / ove natura svela i suoi segreti, / talmente vivo è il frutto dei frutteti / da mantenere le passioni accese, / talmente bello qui guardarsi attorno / da lievitare il canto del ritorno”. ( Canto del ritorno).
Ed è la natura, appunto, a dare supporto creativo e figurativo ai versi della poetessa: ogni immagine paesaggistica, ogni fotogramma non è mai fine a se stesso, non ha mai un semplice valore decorativo, idilliaco; ma tutto è demandato a ritrattare l’anima dell’autrice. La foglia, il sole obliquo, l’autunno, gli azzurri, i viola, la betulla, il muro grigio, il vento, l’acero, il giardino non sono altro che concretizzazioni di un sentire tanto effusivo, e impellente da contaminare una parola mai sufficiente a contenerlo. Da qui un uso costante di enjambements a soddisfare il più possibile l’esigenza di spazi per un’anima tanto straripante. E la natura è presente, offre la sua importante collaborazione, ed è ripagata dal grande amore che l’autrice le riserva: “Intanto il sole obliquo dell’autunno / parole in gran segreto mi sussurra: / vuol portarmi con sé, nei suoi tramonti / dove non ci saranno più segreti”. ( Segreti). “Quante fragranze mi ha donato il vento”. (Titolo). “Ti riconoscerò, cara betulla”. (Dalla stessa poesia). “Mi fermo accanto al pioppo centenario / dalla chioma gagliarda e cotonosa /che un alito di vento fa vibrare / spandendo fiocchi candidi. / … / Intanto il pioppo seguita a vibrare / e s’involano i fiocchi suoi leggeri / mentre le foglie inventano una danza / per rallegrare un cielo melanconico”. (Perché questo dolore).
Ma forse gli interrogativi più cocenti di Ebe Argenti, le inquietudini che l’umano corso si trascina dietro, confluiscono in una prospettiva tanto allegoricamente simbolica, quanto poeticamente umana e umanamente trascendente: “ma la mia linfa, che apportò alimento / a fioritrure prospere e longeve, / dovrà salire a quegli spazi eterni / oltre i cieli più alti di quel cielio / ancora tanto gravido di neve…” (Quante fragranze mi ha donato il vento).
E chiudere con la motivazione da me stilata per la Silloge Il filo del ricordo al Premio Il Portone dell’anno 2010 contribuisce senz’altro a dare un’idea ancora più consona sulla continuità della cifra poetica della Nostra.
"Come dal titolo è il memoriale a costituire il leit motiv della silloge di Maria Ebe Argenti. Ricordi che ora più sottili, ora più esplosivi tornano a farsi vivi per concretizzarsi in fertili paesi, in parti di cielo, in cigolare di catene, in orti stesi al sole, in impasti a lievitare. E l’autrice rivuole la sua parte di vita, passata troppo in fretta: “rivoglio il cigolare di catene / nel sollevare il secchio dal profondo / con il suo traboccare d’acqua fresca / e placare dell’Anima la sete”". Si fanno vive le cose semplici che magari un tempo non apprezzavamo, ma che ora tornano fasciate da un alone di nostalgia a nutrire, in forma di immagini sacre, il serbatoio della poesia: “Era il profumo delle cose semplici, / del caffellatte caldo nella tazza, / del pane abbrustolito sulla stufa / a riscaldare l’aria dell’ambiente / un’aria che sapeva di carezze / e di felicità fatta di niente”. I contenuti fortemente sentiti e metabolizzati in quadri di grande spessore lirico sono supportati dall’impiego di endecasillabi fluenti e suasivi.
Nazario Pardini
Arena Metato 05/08/2011
Esegesi ben strutturata e organicamente perfetta.
RispondiEliminaMirella.
COMMENTO
RispondiEliminada inserire nella pagina “Nota alla silloge Il filo del ricordo”
Gent.mo prof. Nazario Pardini,
chi poteva dire che la silloge “Il filo del ricordo”, con il seguito
di “Canto del ritorno” e “Scacco al re”, avrebbe avuto l’onore
di far nascere il libro C’ERA UNA VOLTA IL BOZZOLO dal
quale si svolge, appunto, il lungo filo di ricordi e di emozioni?
Con la sua prefazione a questo libro di poesie edito dalla ETS
di Pisa, di cui questa nota alla silloge “Il filo del ricordo” è la
chiusa perfetta della prefazione stessa, lei mi ha fatto un dono
meraviglioso che arricchisce quelli conferitimi dal Premio
Letterario Nazionale IL PORTONE.
I beni materiali si potrebbero perdere, ma il suo dono resterà fra
le mie cose più care mentre le sue parole, indelebili nell’anima,
sapranno sempre sorprendermi nei momenti più meditati dei
miei pensieri e m’aiuteranno, con garbata intensità, a trarre il
coraggio necessario per continuare a volare, nonostante tutto.
La ringrazio profondamente.
Maria Ebe Argenti
24 settembre 2011