martedì 24 settembre 2013

DUE RECENSIONI PER "COME FOGLIE IN AUTUNNO" DI ESTER CECERE


Recensioni preparate da Carmelo Consoli e Roberta degli Innocenti per la presentazione di “Come foglie in autunno” a La camerata dei Poeti.


COMMENTO CRITICO A CURA DI CARMELO CONSOLI

"Come foglie in autunno" di Ester Cecere (Firenze, La Camerata dei Poeti, 18 settembre 2013)






Procedere ad un esame critico della poesia di Ester Cecere risulta essere operazione stimolante per via delle tante caratteristiche, tutte preziose della sua scrittura.
Ad esempio si potrebbe parlare della brevità, spesso fulminante, dei versi che riesce tuttavia ad arricchirsi di contenuti e a cristallizzare per intero l'intensa l'emozione poetica, oppure del taglio tipicamente meridionale della natura e quindi particolarmente denso di arie, moti, fragranze in cui si compie il dipanare del suo pensiero e ancora della forza, della solidità del dettato poetico che subito si percepisce, dove dallo scontro tra ombre e chiarezze emerge una voglia positiva, vitale, catartica direi di rinascere e andare avanti.
Con tre aggettivi vorrei definire la sua poesia: “Dolce, tenace, saggia”.
Questi termini, intendiamoci, sono solo dei macro-contenitori che hanno a loro volta al loro interno molteplici sfumature, aggettivi che servono anche a definire efficacemente le qualità caratteriali e umane dell'autrice.
Dalle poetiche “Burrasche e brezze” del suo primo libro la poetessa approda a questo secondo volume “Come foglie in autunno” silloge di testimonianze visive e coinvolgimenti emotivi dai toni forti, spesso lapidari, proseguendo sulla strada della ricerca delle luminosità, delle certezze, sia sul piano delle prospettive esterne a lei che interne alla sua anima, attraverso dialoghi introspettivi e proiezioni esteriori, verifiche, nostalgie, stupori, smarrimenti, sempre in un contesto denso di immagini ed in cui il mare appare elemento fecondante, utero materno all'interno del quale si compie la rigenerazione costituita da ricordi, solitudini, silenzi, cromie e fragranze, constatazioni e rivelazioni.
Una ricerca della luce, quindi, della verità, manifestata con una costante emersione dal dolore, sia personale che universale, caratterizzata da amare venature e dolorose esperienze ma dove il pessimismo, lo smarrimento non sono mai terre aride e distruttive ma fertili di humus fecondante, pretesto di soluzioni e rinascita.
Ritornando ai macro-contenitori a cui accennavo prima la Dolcezza rappresenta nelle sue variabili di colori, aromi, ariosità, tenerezze tutta la natura circostante, ma anche l'amore della donna, il suo senso di pietas ampiamente sottolineato, la Tenacia definisce la pervicacia del suo spirito battagliero, secondo cui la vita è conquista, che si ottiene attraverso la non rinuncia alla lotta al fine di superare le condizioni critiche delle ombre, delle debolezze e intravedere un al di là di luce salvifico mentre la Saggezza riflette l'equilibrio, ed è identificazione con tutte le virtù che chiariscono il suo concetto frutto di consolidate esperienze e di una matura consapevolezza delle cose del mondo.
Ecco allora che la poesia di Ester Cecere travalica la linea del dolore e del mistero attraverso la meraviglia della vita, della natura, della comprensione e lo fa mettendo in campo energie e sentimenti in una competizione agguerrita in cui escono perdenti lo sconforto, l'isolamento, l'autocommiserazione, il compromesso.
Insomma dalla sua parola poetica arrivano più speranze che sconfitte, più amori, affetti, certezze  che amarezze, fragilità, limiti.
Le liriche della poetessa sono composte di messaggi metaforici, tracciati che possono essere alternativamente memoriali, onirici, o reali e scaturiti da una acuta osservazione del fenomenico circostante sia ambientale che della umanità che le sta accanto, come ad esempio quando canta le condizioni di migranti, poveri, quelle della donna orientale o l'inquinamento atmosferico.
Il suo dito spesso è puntato contro ipocrisie, degrado, ingratitudine, violenze.
Ma la sua scelta fondamentale è quella dell'amore, che traspare dall'appartenenza ad un unicum di creatività naturale, terrestre che si afferma negli affetti, nella comprensione e difesa della soglia debole, fragile del mondo attraverso un abbandono incantato e fresco alle purezze, un accesso ai risvegli, alle gioie minute, sincere, agli stupori, alla fede nelle energie positive e da qui  la voglia di partecipare e sorridere, arrivare sempre a nuovi ormeggi o quanto meno ad una condizione vitale accettabile.
A tratti la sua poesia appare un inno alla vita come si evince dal alcune liriche.
Recita in  “Incantato grazie”: “ Mi riempio/ dello stupore dell'alba/ che di rosa tinge/ della notte le ombre/ dell'eterno sciabordio del mare/ sommessa preghiera/ di ogni vivente/ della brezza leggera/ che di garriti/ ancora una volta tornati/ riecheggia/ dell'abbandono fiducioso/ del cucciolo/ con occhi colmi/ di nuova innocenza/ - E di fiore in fiore/ di vetta in vetta/ di stella in stella,/ Ti giunga/  il mio incantato grazie”.
Dunque vedete come sia pregnante in lei il flusso vitale, la componente entusiastica per il creato.
C'è poi da evidenziare l'elemento mare nella poesia di Ester Cecere; la forza scatenante del suo dire poetico, la componente ideale del suo vivere.
Mare vissuto intensamente, questo anche per la sua professione di ricercatrice e biologa marina; mare sognato, idealizzato, fecondante di moti e creature o mortale di scogli, spiagge, tempeste,  supportato sempre da un altro elemento che è il vento che assurge a metafora di un respiro ampio e rigenerativo.
Un mondo equoreo che è matrice delle sue ispirazioni poetiche, degli umori e della fantasia dell'autrice.
Sul piano lessicale e della sua stesura la poesia di Ester ci appare come un distillato di visioni, estremamente attento ad esaltare la singola parola, il suo contenuto, l'immagine, il senso, il fine.
Una poesia che si presenta inizialmente con una visione diretta, lontana apparentemente dall'emozione, dagli elementi rappresentati da cui poi il verso discende velocemente estremamente scarno, contenuto ma prezioso ed incisivo nel significato.
Cito da “Barriera Corallina”: “Guizzi fosforescenti/ l'acqua popolano/ Tra ventagli e guglie di colore/ sinuosi ondeggiano./ Una miriade di colorati ocelli/ dalla sabbia spiano./ Oltre, il blu,/ assoluto, infinito... ” oppure in “Inganno”: “Fiocchi di neve/ volteggiano./ Macigni invece/ giunsero sul cuore/ taglienti e aguzzi/ e fosse/  di sangue/ ancora vivo/ incolmabili scavarono” ed infine “La zattera”: “Della mia barca/ solo i resti/ a riva sono giunti./ Ne farò una zattera/  per navigare/ con a bordo l'essenziale.”
E tante altre poesie sulla stessa direzione d'onda, in cui l'autrice sembra mantenere un atteggiamento distaccato e sapienziale dalla realtà che poi rapidamente si trasforma in emozione partecipativa e costruttiva, presa di coscienza, dettato salvifico.
Solo in alcune poesie come in “Incantato grazie”, “Migliaia di sorrisi comprerei” o in quelle dedicate agli affetti, o in “Ancora una volta mi stupisco” la poetessa sembra derogare  dal suo atteggiamento poetico di partenza, con una presa subito partecipativa, emozionale di sentimenti e visioni.
Leggo da “Ancora una volta mi stupisco”: “Al quotidiano addio una volta ancora/ il cielo accendi./ Di fuoco riflesso/ fiammeggia il mare/ di mille pagliuzze/ dorato./ E sogni e rimpianti cullando/ placidi s'addormentano/ agili vele./ E dell'eterno mistero/ del tuo nascere e morire,/ una volta ancora mi stupisco”.
Nel chiudere questo mio commento critico mi preme fare due considerazioni su Ester e sulla sua opera; forse è meglio dire sottolineature di quanto già esposto.
La prima riguarda il suo grande cuore di donna, aperto al senso dell'accoglienza, della comprensione e della pietà; ci sono testimonianze significative di esso nella poesie: “Non brillò per te la cometa”, “Presepe”, “Risveglio”, “ Migranti”, “ Fibula” e altre.
La seconda è la forza trainante, trascendente della luce degli elementi naturali universali verso la quale ella costantemente tende e a cui si appella come risorsa imprescindibile.

Carmelo Consoli





RECENSIONE A CURA DI ROBERTA DEGLI INNOCENTI

"Come foglie in autunno" di Ester Cecere (Firenze, La Camerata dei Poeti, 18 settembre 2013)




Come foglie in autunno”, già nel titolo della nuova silloge poetica di Ester Cecere, s’intuisce e si svela la caducità della vita, il nostro errare inquieto, la dolcezza e il dolore che ci accompagnano in questo viaggio segreto.
Il libro ha già al suo attivo diversi premi che ne costituiscono il felice percorso editoriale.
Pubblicato nel 2012 con Tracce si avvale della prestigiosa prefazione d Ninny Di Stefano Busà della quale accogliamo il messaggio: “non vi è gioia senza lacrime sembra tradurre la parola di Ester Cecere, non vi sono sogni senza la sofferenza del risveglio”.
Alla caducità di ungarettiana memoria, ricordiamo il suo “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie (Soldati)”, l’autrice si accorda, già nella prima poesia della raccolta, titolata anch’essa “Come foglie in autunno”, all’incipit iniziale che lo ricorda, poi, ovviamente, il libro vive di vita propria con sensazioni, riflessioni, suggestioni e dolore. Il tutto con una scrittura breve, coinvolgente, che ci fa entrare nel mondo interiore dell’autrice, nel mondo di Ester, dove, in un “Crepuscolo dell’anima”: “S’accende la luna …/ Ma è lontana e distratta.
Nei testi dedicati ai genitori si avverte la dolcezza infinita, l’accorato dolore per la perdita della madre e la conflittualità con la figura del padre che le fa scrivere uno dei testi più forti del libro: “Casa in affitto”.
Amore e dolore, questo sembra proporre l’autrice, stemperato poi nella cauta dolcezza che troviamo in un’altra lirica: “Risacca”: …Ora che tutto è calma,/ la risacca che lenta s’infrange/ ogni tanto mi parla di te.
In ogni poesia trapela, comunque, un amore incondizionato per la vita e il suo sapore, un grido, un sussulto e proprio tramite questo amore tutto ha un senso, un proposito, una salvezza.
Il libro si conclude, con una circolarità squisita, nella poesia ricordo dedicata a Giuseppe Ungaretti, dove ella scrive: “...ricordo d’averti sempre udito”.

Roberta Degli Innocenti




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