Recensioni preparate da Carmelo Consoli e Roberta degli Innocenti per la presentazione di “Come foglie in autunno” a La camerata dei Poeti.
COMMENTO CRITICO A CURA DI CARMELO CONSOLI
"Come foglie in autunno" di Ester
Cecere (Firenze, La Camerata dei Poeti, 18 settembre 2013)
Procedere ad un esame
critico della poesia di Ester Cecere risulta essere operazione stimolante per
via delle tante caratteristiche, tutte preziose della sua scrittura.
Ad esempio si
potrebbe parlare della brevità, spesso fulminante, dei versi che riesce
tuttavia ad arricchirsi di contenuti e a cristallizzare per intero l'intensa
l'emozione poetica, oppure del taglio tipicamente meridionale della natura e
quindi particolarmente denso di arie, moti, fragranze in cui si compie il
dipanare del suo pensiero e ancora della forza, della solidità del dettato
poetico che subito si percepisce, dove dallo scontro tra ombre e chiarezze
emerge una voglia positiva, vitale, catartica direi di rinascere e andare
avanti.
Con tre aggettivi vorrei
definire la sua poesia: “Dolce, tenace, saggia”.
Questi termini, intendiamoci,
sono solo dei macro-contenitori che hanno a loro volta al loro interno
molteplici sfumature, aggettivi che servono anche a definire efficacemente le
qualità caratteriali e umane dell'autrice.
Dalle poetiche “Burrasche
e brezze” del suo primo libro la poetessa approda a questo secondo volume “Come
foglie in autunno” silloge di testimonianze visive e coinvolgimenti emotivi dai
toni forti, spesso lapidari, proseguendo sulla strada della ricerca delle
luminosità, delle certezze, sia sul piano delle prospettive esterne a lei che
interne alla sua anima, attraverso dialoghi introspettivi e proiezioni esteriori,
verifiche, nostalgie, stupori, smarrimenti, sempre in un contesto denso di
immagini ed in cui il mare appare elemento fecondante, utero materno
all'interno del quale si compie la rigenerazione costituita da ricordi, solitudini,
silenzi, cromie e fragranze, constatazioni e rivelazioni.
Una ricerca della
luce, quindi, della verità, manifestata con una costante emersione dal dolore,
sia personale che universale, caratterizzata da amare venature e dolorose esperienze
ma dove il pessimismo, lo smarrimento non sono mai terre aride e distruttive ma
fertili di humus fecondante, pretesto di soluzioni e rinascita.
Ritornando ai macro-contenitori
a cui accennavo prima la Dolcezza rappresenta nelle sue variabili di
colori, aromi, ariosità, tenerezze tutta la natura circostante, ma anche
l'amore della donna, il suo senso di pietas ampiamente sottolineato, la Tenacia
definisce la pervicacia del suo spirito battagliero, secondo cui la vita è
conquista, che si ottiene attraverso la non rinuncia alla lotta al fine di
superare le condizioni critiche delle ombre, delle debolezze e intravedere un
al di là di luce salvifico mentre la Saggezza riflette l'equilibrio, ed
è identificazione con tutte le virtù che chiariscono il suo concetto frutto di consolidate
esperienze e di una matura consapevolezza delle cose del mondo.
Ecco allora che la
poesia di Ester Cecere travalica la linea del dolore e del mistero attraverso
la meraviglia della vita, della natura, della comprensione e lo fa mettendo in
campo energie e sentimenti in una competizione agguerrita in cui escono
perdenti lo sconforto, l'isolamento, l'autocommiserazione, il compromesso.
Insomma dalla sua
parola poetica arrivano più speranze che sconfitte, più amori, affetti,
certezze che amarezze, fragilità,
limiti.
Le liriche della
poetessa sono composte di messaggi metaforici, tracciati che possono essere
alternativamente memoriali, onirici, o reali e scaturiti da una acuta
osservazione del fenomenico circostante sia ambientale che della umanità che le
sta accanto, come ad esempio quando canta le condizioni di migranti, poveri,
quelle della donna orientale o l'inquinamento atmosferico.
Il suo dito spesso è
puntato contro ipocrisie, degrado, ingratitudine, violenze.
Ma la sua scelta
fondamentale è quella dell'amore, che traspare dall'appartenenza ad un unicum
di creatività naturale, terrestre che si afferma negli affetti, nella
comprensione e difesa della soglia debole, fragile del mondo attraverso un abbandono
incantato e fresco alle purezze, un accesso ai risvegli, alle gioie minute,
sincere, agli stupori, alla fede nelle energie positive e da qui la voglia di partecipare e sorridere,
arrivare sempre a nuovi ormeggi o quanto meno ad una condizione vitale
accettabile.
A tratti la sua
poesia appare un inno alla vita come si evince dal alcune liriche.
Recita in “Incantato grazie”: “ Mi riempio/ dello
stupore dell'alba/ che di rosa tinge/ della notte le ombre/ dell'eterno
sciabordio del mare/ sommessa preghiera/ di ogni vivente/ della brezza leggera/
che di garriti/ ancora una volta tornati/ riecheggia/ dell'abbandono fiducioso/
del cucciolo/ con occhi colmi/ di nuova innocenza/ - E di fiore in fiore/ di
vetta in vetta/ di stella in stella,/ Ti giunga/ il mio incantato grazie”.
Dunque vedete come sia
pregnante in lei il flusso vitale, la componente entusiastica per il creato.
C'è poi da
evidenziare l'elemento mare nella poesia di Ester Cecere; la forza scatenante
del suo dire poetico, la componente ideale del suo vivere.
Mare vissuto
intensamente, questo anche per la sua professione di ricercatrice e biologa
marina; mare sognato, idealizzato, fecondante di moti e creature o mortale di
scogli, spiagge, tempeste, supportato
sempre da un altro elemento che è il vento che assurge a metafora di un respiro
ampio e rigenerativo.
Un mondo equoreo che
è matrice delle sue ispirazioni poetiche, degli umori e della fantasia
dell'autrice.
Sul piano lessicale e
della sua stesura la poesia di Ester ci appare come un distillato di visioni,
estremamente attento ad esaltare la singola parola, il suo contenuto,
l'immagine, il senso, il fine.
Una poesia che si
presenta inizialmente con una visione diretta, lontana apparentemente
dall'emozione, dagli elementi rappresentati da cui poi il verso discende
velocemente estremamente scarno, contenuto ma prezioso ed incisivo nel
significato.
Cito da “Barriera
Corallina”: “Guizzi fosforescenti/ l'acqua popolano/ Tra ventagli e guglie di colore/
sinuosi ondeggiano./ Una miriade di colorati ocelli/ dalla sabbia spiano./
Oltre, il blu,/ assoluto, infinito... ” oppure in “Inganno”: “Fiocchi di neve/
volteggiano./ Macigni invece/ giunsero sul cuore/ taglienti e aguzzi/ e
fosse/ di sangue/ ancora vivo/
incolmabili scavarono” ed infine “La zattera”: “Della mia barca/ solo i resti/
a riva sono giunti./ Ne farò una zattera/
per navigare/ con a bordo l'essenziale.”
E tante altre poesie
sulla stessa direzione d'onda, in cui l'autrice sembra mantenere un atteggiamento
distaccato e sapienziale dalla realtà che poi rapidamente si trasforma in emozione
partecipativa e costruttiva, presa di coscienza, dettato salvifico.
Solo in alcune poesie
come in “Incantato grazie”, “Migliaia di sorrisi comprerei” o in quelle
dedicate agli affetti, o in “Ancora una volta mi stupisco” la poetessa sembra
derogare dal suo atteggiamento poetico
di partenza, con una presa subito partecipativa, emozionale di sentimenti e
visioni.
Leggo da “Ancora una
volta mi stupisco”: “Al quotidiano addio una volta ancora/ il cielo accendi./ Di
fuoco riflesso/ fiammeggia il mare/ di mille pagliuzze/ dorato./ E sogni e
rimpianti cullando/ placidi s'addormentano/ agili vele./ E dell'eterno mistero/
del tuo nascere e morire,/ una volta ancora mi stupisco”.
Nel chiudere questo
mio commento critico mi preme fare due considerazioni su Ester e sulla sua
opera; forse è meglio dire sottolineature di quanto già esposto.
La prima riguarda il
suo grande cuore di donna, aperto al senso dell'accoglienza, della comprensione
e della pietà; ci sono testimonianze significative di esso nella poesie: “Non
brillò per te la cometa”, “Presepe”, “Risveglio”, “ Migranti”, “ Fibula” e
altre.
La seconda è la forza
trainante, trascendente della luce degli elementi naturali universali verso la
quale ella costantemente tende e a cui si appella come risorsa imprescindibile.
Carmelo Consoli
RECENSIONE A CURA DI ROBERTA
DEGLI INNOCENTI
"Come foglie in autunno" di Ester
Cecere (Firenze, La Camerata dei Poeti, 18 settembre 2013)
“Come foglie in autunno”, già nel titolo della nuova silloge poetica
di Ester Cecere, s’intuisce e si svela la caducità della vita, il nostro errare
inquieto, la dolcezza e il dolore che ci accompagnano in questo viaggio
segreto.
Il libro ha già al suo attivo
diversi premi che ne costituiscono il felice percorso editoriale.
Pubblicato nel 2012 con Tracce si
avvale della prestigiosa prefazione d Ninny Di Stefano Busà della quale
accogliamo il messaggio: “non vi è gioia
senza lacrime sembra tradurre la parola di Ester Cecere, non vi sono sogni
senza la sofferenza del risveglio”.
Alla caducità di ungarettiana
memoria, ricordiamo il suo “Si sta come
d’autunno sugli alberi le foglie (Soldati)”, l’autrice si accorda, già nella prima
poesia della raccolta, titolata anch’essa “Come
foglie in autunno”, all’incipit
iniziale che lo ricorda, poi, ovviamente, il libro vive di vita propria con
sensazioni, riflessioni, suggestioni e dolore. Il tutto con una scrittura
breve, coinvolgente, che ci fa entrare nel mondo interiore dell’autrice, nel
mondo di Ester, dove, in un “Crepuscolo
dell’anima”: “S’accende la luna …/ Ma
è lontana e distratta”.
Nei testi dedicati ai genitori si
avverte la dolcezza infinita, l’accorato dolore per la perdita della madre e la
conflittualità con la figura del padre che le fa scrivere uno dei testi più
forti del libro: “Casa in affitto”.
Amore e dolore, questo sembra
proporre l’autrice, stemperato poi nella cauta dolcezza che troviamo in
un’altra lirica: “Risacca”: “…Ora
che tutto è calma,/ la risacca che lenta s’infrange/ ogni tanto mi parla di te”.
In ogni poesia trapela, comunque,
un amore incondizionato per la vita e il suo sapore, un grido, un sussulto e
proprio tramite questo amore tutto ha un senso, un proposito, una salvezza.
Il libro si conclude, con una
circolarità squisita, nella poesia ricordo dedicata a Giuseppe Ungaretti, dove
ella scrive: “...ricordo d’averti sempre
udito”.
Roberta Degli Innocenti
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