GUIDO MIANO EDITORE
NOVITÀ EDITORIALE
È uscito il libro di poesie:
ERA SEGNO SICURO di PASQUALE CIBODDO
con prefazione di Enzo
Concardi
Pubblicata la raccolta poetica dal titolo “Era segno sicuro” di Pasquale Ciboddo, con prefazione di Enzo
Concardi, nella prestigiosa collana “Alcyone 2000”, Guido Miano Editore, Milano
2022.
Preponderante in quest’ultima, singolare opera poetica di Pasquale
Ciboddo è la realtà tragica della pandemia che ha colpito l’umanità intera,
causando morti, lutti, sofferenze, crisi sociali e personali. Il poeta,
diversamente da molti altri nella nostra società, non vuole chiudere
disinvoltamente tale capitolo, anzi ne rimarca in continuazione le conseguenze,
dimostrando la sua pietas per i devastanti avvenimenti. Egli attribuisce
le cause del fenomeno pandemico ad una nemesi divina e naturalistica per gli
errori umani. Spiega le perdite di vite che ancora non cessano, all’interno di
una visione mistico-provvidenziale, affidandosi ad un sogno iniziale
premonitore delle disgrazie successive: Era segno sicuro - il titolo
della raccolta - nasce da un evento onirico in cui egli, vedendo la Madonna
sofferente, presagisce ciò che ci avrebbe colpiti.
A fianco di tale grande accadimento storico, che paragona alle
pestilenze del passato, l’autore, attraverso motivi reiterati, costruisce
liriche che toccano i temi a lui più cari: il tramonto e la rovina degli stazzi
della Gallura, sua terra amatissima; la nostalgia accorata di quella civiltà in
cui si viveva duramente ma serenamente; la condanna della società industriale,
tecnologica, metropolitana, non a misura d’uomo; il contrasto campagna-città,
dove il primo termine rappresenta la salute della vita e la simbiosi benefica
con la natura, mentre il secondo racchiude solo vite tristi e alienate;
l’indugiare attraverso la memoria sui ricordi del passato non più revocabile.
L’autore registra la drammaticità della realtà, mentre egli conserva la
speranza fiduciosa nel futuro:
l’insistenza sulla presenza della morte tra di noi e sul destino
morituro degli umani, costituiscono senz’altro un retaggio vetero-testamentario
di biblica discendenza.
Nel libro il pensiero della pandemia assume ritmi ossessivi,
coinvolgenti anche per il lettore più distaccato: alcune esemplificazioni sono
necessarie per rendere comprensibile più da vicino il pathos dell’uomo
Ciboddo, oltre che dell’aedo epicedico. L’incipit è costituito da una
lirica che dà il titolo alla silloge, Era segno sicuro, la quale nell’epilogo ci
introduce al canto funebre: «… L’umanità trema / e in silenzio muore». Si
succedono altre liriche - Squarcia il cielo, E non c’è medicina, A volte pregare, E se vuole - dove
i due temi fondamentali sono la punizione divina e l’invocazione a Dio e alla
Madonna sotto forma di preghiera per la salvezza dell’umanità: «… I nostri
nemici / profanano le Tue leggi / e Tu ci condanni con pestilenze…» (Squarcia il cielo); «…E non c’è medicina
a combattere il male. / Non rimane che pregare / e in bene sperare» (E non c’è medicina); «La storia è
pietrificata / nel silenzio. / Si muore di peste. /…/ Solo la Madonna, / nostra
madre divina, / se invoca / il Signore suo Figlio / può salvare l’umanità…» (A volte pregare). Personalmente il poeta
si sente «intimorito e solo» (Ma la gente) ed essendo disorientato sul
da farsi, si dedica alla poesia, mentre la malattia imperversa: «… ci frusta ai
fianchi / e ci punge con spine / conficcate negli occhi / nel cuore e nei
polmoni /…/ e ci nega l’esistenza» (A mitigare il male). Le forze della
natura sono scatenate contro di noi: «…Ed è pena / che tormenta anima e cuore»
(Ed è pena). Il poeta teme quindi che nemmeno la scienza medica sia in
grado di combattere la pandemia.
Tuttavia, oltre l’evento contingente - anche se straordinario -
della pandemia, la visione esistenziale di Ciboddo non si discosta da quella
emergente dai testi finora analizzati. Prendiamo la leopardiana Questa la
nostra sorte, dove è possibile ipotizzare un accostamento ad alcuni versi
del grande recanatese: «C’è sofferenza / nel nascere e nel morire. /
L’esistenza umana / vive solo una primavera / dolce di giorno e di sera. /
Segue la decadenza / col mite autunno / e poi il gelido inverno / che conduce
alla morte. / Questa la nostra sorte». Il futuro dell’umanità è insidiato anche
dal continuo incremento demografico, un altro rischio mortale per il nostro
genere: «…L’Umanità, / come un’anima in pena, / se non rallenta / la corsa alle
nascite / vedrà la fine di tutti / e di tutto il creato» (L’Umanità). La
condizione umana, se ancora sopportabile nella giovinezza (simboleggiata dalla
primavera), diviene un macigno enormemente pesante nella vecchiaia ed allora
stanchezza, isolamento, mancanza di relazioni, di gioia, di entusiasmo e quindi
di vita, trasformano le giornate in amara noia (Ed è tristezza).
La quasimodiana E si sta soli è anafora di tutti questi
concetti, che il poeta siciliano aveva espresso nelle immagini sintetiche ed
ermetiche di Ed è subito sera;
l’autore replica con la sua denuncia dell’aridità della vita
moderna: «Oggi / ognuno è isolato / in mezzo a tanta gente / che è indifferente
/ verso tutto e tutti. / E si sta soli sulla terra / alquanto spaesati...». In
altri componimenti Ciboddo è ancora più drastico e radicale, poiché afferma che
la morte è già in noi lo stesso giorno in cui si nasce e che nessuno conosce la
verità sull’al di là, mistero, enigma mai svelato (Questa l’amara sorte).
Una possibile via d’uscita a tale situazione scoraggiante e
deprimente, viene individuata dal poeta nell’incontro con la Natura, in modo
che l’ungarettiano «…La morte / si sconta / vivendo», possa essere superato.
Egli - in La vera salvezza - pone un domanda in merito: «…È forse il
ritorno / alla natura abbandonata / dove sono le nostre radici / la vera
ricchezza / che ci salva pure / da tale pestilenza?». Domanda chiaramente
retorica, dal momento che la sua visione è sicuramente indirizzata verso un
pensiero fisiocratico, e ciò è dimostrato dal suo anti-industrialismo e
dall’avversione verso le metropoli moderne: per Ciboddo, come per Quesnay, la
base dell’economia era, è, e dovrà restare sempre l’agricoltura. Ecco i versi
testimonianze inequivocabili di ciò: «La natura reclama / i suoi diritti. /
Guai a trasgredire / le proprie leggi. / L’uomo di oggi / attratto dalla vita
di città / abbandona la terra di nascita / e di crescita nella natura / e si
perde così / in un mondo senza valori, / pensando solo alla corsa / di ricchi
tesori. / Ma la terra offesa / si vendica» (Ma la terra…). Inoltre -
scrive ancora nella poesia È vita limitata - la città è una
prigione di catrame e cemento, dove non si respira l’aria salubre della
campagna e dove la vita è monca per mancanza del rapporto con la Natura. La sua
filosofia di vita centrata sull’attaccamento alla terra lo porta a vedere raggi
di sole nel buio del presente solo e proprio nel mondo naturale, il cui simbolo
più dolce e benefico risiede negli avventi primaverili. Tuttavia anche la terra
corre rischi mortali – se non si pone rimedio – ancora una volta per
responsabilità dell’uomo inquinatore.
Ed eccoci ora a quella che possiamo considerare una vera e propria
civiltà contadina a se stante, sviluppatasi sulle alture e nelle campagne della
Gallura, mondo del quale Pasquale Ciboddo è rimasto innamorato. Qui troviamo
solo alcune liriche - come Erano il tempio, Tempi così cari, È stata una grave sventura, Ed è
danno ed è pena, Oggi il mondo, In un baleno, Ricordi di
tempi e luoghi, Era una civiltà - ma in altre pubblicazioni
egli tratta a lungo di ogni aspetto di quel microcosmo particolare: gli
stazzi. Nel suo ricordo essi erano il tempio della natura, ora è rimasto un
deserto. Evoca le stagioni della vendemmia, delle feste, dei balli, che ora può
solo sognare. Sono stati abbandonati per i miraggi consumistici del Continente
e così è morta una lunga tradizione. Alla ricchezza d’un tempo s’è sostituito
il vuoto del presente. C’era solidarietà tra proprietari, contadini e
forestieri: poi il mondo ha preso altre strade. La gente degli stazzi, con
famiglie patriarcali, è scomparsa in un baleno. La conclusione sconsolata del
poeta è commossa ed accorata: una civiltà ricca di vita, benessere, relazioni,
affetti, lavoro, emozioni… s’è dissolta ed oggi v’è una solitudine da far
paura.
Nei suoi versi sciolti Pasquale Ciboddo inserisce spesso rime
varie per imprimere maggior melodia alla metrica: solo l’ultima lirica - Una
vera visione - è un sonetto (14 versi, due quartine e due terzine in
sequenza con rime alternate).
Enzo Concardi
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L’AUTORE
Pasquale Ciboddo è nato a Tempio Pausania (SS), in Gallura,
nel 1936; già docente delle scuole elementari, è uno dei poeti sardi più noti,
e ha al suo attivo numerose pubblicazioni poetiche e di narrativa con
prefazioni e introduzioni di prestigiosi critici.
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Pasquale Ciboddo, Era segno sicuro,
prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 122, isbn
978-88-31497-92-3, mianoposta@gmail.com.
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