Maria
Luisa Daniele Toffanin mi ha donato l’ennesimo prodigio nato dalla sua attività
culturale e mi permetto di esordire sottolineando che mai come in
quest’occasione il termine Cultura è strettamente legato alla
coltivazione, con la quale condivide la
radice etimologica che significa ‘coltivare la terra’. Cicerone stesso asserì
che la filosofia - e quindi per estensione la conoscenza - sarebbe servita per
coltivare gli animi, e solo successivamente la metafora agricola è venuta a
comprendere lo sviluppo del linguaggio e della letteratura. Ho ritenuto
opportuno fare questa precisazione parlando della nostra Poetessa, visto che in
lei l’arte è sempre coniugata alla natura, ai fiori in particolare. Si direbbe
che questi ultimi rappresentino i testimoni di ogni periodo della sua esistenza
e della sua produzione letteraria. In questo album dei sentimenti collettivi l’Autrice
dimostra ancora una volta di essere consapevole che le idee racchiuse in se
stesse si inaridiscono e si spengono. Solo se circolano e si mescolano, vivono,
fanno vivere, si alimentano le une con le altre e contribuiscono alla vita
comune. L’Opera è un meraviglioso testo, dalle dimensioni del diario, corredato
dallo splendido quadro di copertina di Luciana Filippi e prefato da un ottimo
Stefano Valentini, editore del libro, che sottolinea con acribia e passione
quanto questo diario rappresenti “Una
poesia che, tra canto lirico pieno e lucidità di analisi (e, quando necessario
, cronaca), non soggiace al generico e scaramantico ottimismo dell’”andrà tutto
bene”, ma esprime una fiducia basata sui valori solidi e certi, in grado di
mediare tra ‘affanni e prodigi’, di delineare gioia e armonia, nonostante
l’attesa “scesa a quota minima”e il morbo “usurpatore”, che attenta alla
psiche.”La Toffanin
ha concepito un libro che non è di sola Poesia, ma anche di ricordi e di
narrazione dei momenti salienti degli anni pandemici. Ne risulta un unicum, un
documento che consente di non dimenticare il male del “terzo conflitto
globale”. L’Autrice si sofferma sul proliferare di virologi, i sapienti che
rendevano ancora più confuse le nostre esistenze; “sui “dati letti per televisione… Parole scandite come se fossero
numeri al lotto, senza umana partecipazione”; sui lutti strazianti della
città di Bergamo; “sui negazionisti…
purtroppo istigati da dubbie figure politiche”. Nell’Opera torniamo ai
termini resi noti dall’estendersi del Coronavirus: ‘la mascherina’, nostra
triste, perenne compagna di viaggio, il lockdown, che nasce dall’unione di due
termini inglesi, lock e down e verbalmente si traduce come confinamento. Il
nostro paese l’ha vissuto da subito, infatti è entrato in vigore dall’8 marzo 2020
al 4 maggio nella prima ondata e poi sono subentrate le restrizioni per zone;
l’uomo nuovo, buono, che sarebbe dovuto nascere da tanto strazio e infine il
vaccino, sinonimo di speranza, che ha rappresentato una corsa contro il tempo e
ha innescato gli atteggiamenti dei negazionisti. Purtroppo lo strazio del
vivere separati, spesso soli, non ha generato persone desiderose di costruire
l’Arca per la salvezza, ma sentimenti contrastanti e spesso divisivi. Nel 2022
si è aggiunta la guerra mossa dalla Russia contro l’Ucraina e i mali che
piovevano e piovono tuttora mettono in risalto quanto l’opposto dell’amore non
sia l’odio, ma l’indifferenza. Non ci
rendiamo conto che il senso della nostra vita comincia a finire il giorno che
diventiamo silenziosi sulle cose che contano. Nel suo album Maria Luisa Daniele
Toffanin dimostra il potere del dire, e tra le tante testimonianze inserisce
uno struggente scambio epistolare con la nipote Giulia. Quest’ultima le scrive
una lettera per starle vicina il giorno del suo compleanno, un giorno “un po’ strano, ma non meno speciale, perché
noi, anche se non fisicamente, ci siamo, ti teniamo nel nostro cuore”.Le
epistole della ragazza e della nonna rappresentano dolcissime dimostrazioni
affettive e inducono a profonde riflessioni. La Toffanin fa riferimento
al padre, il bisnonno di Giulia, Gino, internato in Germania nel corso del Secondo
Conflitto, che nelle lettere non esternava “disperazione,
piuttosto la fiducia nella provvidenza, nei miracoli, la certezza nella
sacralità della famiglia, la preghiera come conforto”. Il diario diviene memoria
storica, parente della Storia, ma meno intellettuale, precisa e più carica di
affetti e passioni politiche. L’Autrice ripercorre il percorso di crescita
collettivo, collegandolo a eventi antichi come la peste, l’Olocausto, nella
consapevolezza che solo il ricordo può rendere gli uomini e le vicende
immortali. La memoria archivia le cose, al contrario degli esseri umani, le
conserva e le richiama a sua volontà. Presumiamo di avere una memoria, in
realtà è essa ad avere noi. E passiamo all’aspetto poetico del diario della
Toffanin. L’equazione uomo - natura, come già detto, rappresenta l’essenza dei
versi della Nostra, e anche in questa circostanza il suo rifugio, la sua riserva
personale di Speranza sono stati i fiori, simboli inequivocabili di vita e
rinascita: “Vago tra il verde – mio ozio
/ smemorata del mio stesso pensiero/ fra camelie rosse rosate a cascate sulle
azalee carminio / accanto all’azzurro rosmarino accaldato lungo il muro / e davanzali
di primule e viole / e generose timide macchie di nontiscordardi me” -
versi tratti da “Inno al Creato conforto”.
Baudelaire asseriva che “La tempesta
rinvigorisce i fiori”, la nostra Autrice insegna che ogni fiore è un’anima
che sboccia in natura e ci rammenta che il mondo non è ancora stanco dei
colori, dei profumi. Essi hanno un’influenza misteriosa e sottile sui
sentimenti, analogamente a certe melodie musicali. Rilassano la tensione della
mente. Nel tempo lungo e grave del Coronavirus il lirismo dell’Autrice cerca di
trasformare l’attesa ‘nel vento dei
fiori’ : “Bianchi arpeggi vibranti /
nel vento fruttuoso di semi / squillanti nel verde dei colli / ai tuoi occhi
magia: fiori di cotone / quello raccolto dai nei” - versi tratti da “Mi
innamoro ancora della vita”-.
Germogliano i semi sui bordi del tempo e guariscono i mali. “Miriadi di stelle cadono dal cielo /
splendono nel sole del mattino / fra il verde fogliame / il rosarancio dei
gerani / accese da nuova rara luce / alla brezza di sillabe lievi” - versi
tratti da “Nel cielo del mio giardino”- . Leggo le straordinarie liriche della
Toffanin e comprendo che certi spiriti sublimi si alimentano del rapporto con
il Creato.. Se scende la notte dentro di noi i Poeti sanno che quel buio semina
stelle… La Nostra
riesce ad allungare la mano per raggiungere il cielo e non dimentica i fiori
che la circondano. Ella sa del mare, infinito libro di libertà: “L’attimo dell’onda selvaggia / smorzata
carezza sui piedi / nell’illuminato moto dei marosi / nella voce del vento
infinita / fra riflessi di luce abbagliante / alla serenità degli occhi -
anima./ l’attimo dell’onda leggera sul piede / è l’umano nostro limite /
l’umano nostro infinito” - la lirica “Il nostro attimo d’infinito”-. Come
non inchinarsi di fronte a un’Artista che rende il diario della pandemia un
viaggio attraverso meditazioni e versi di seta sui miracoli dell’universo. Arthur
Rimbaud diceva che “L’eternità è il mare
mischiato con il sole” e la
Toffanin, consapevole che la riva del mare è da sempre un
confine indefinibile, sembra narrarci che i pensieri sono spiriti in movimento
come le onde, che fanno sentire la loro voce infrangendosi sulla riva. Di certo
è pura visione il mare che cerca di baciare la sabbia, non importa quante volte
venga mandato indietro. Non posso evitare di citare il “Diario di San Silvestro
2021 in
prosa o poesia non conta” nel quale l’Autrice recita: “Colmo il vuoto delle assenze, che un po’ strizzano dentro / con
simboli di identità ancora più cari ora in questi straniti / giorni per onorare
questa vita in noi viva, desta, benedetta: / le gioiose bacche rosse del
pungente agrifoglio / altre più minime residui di rami sottratti all’avido
merlo / così nel loro ruolo presente azzerato l’antico turgore / e una manciata
di pigne nobili di larice là del mitico prato / raccolte ante Vaia impietosa
altra furia che tutto sradica e devasta”. Questi versi dimostrano che è
senza dubbio alta Poesia e, trattandosi di un’Artista come la Toffanin, non poteva
essere altrimenti. Mi ha trafitto nella lettura dell’intero album, del Natale e
del Capodanno pandemici, la capacità della donna di rimanere salda al timone
della propria esistenza grazie alla Fede, alla certezza che il dolore è un gran
maestro degli esseri umani, sotto il suo soffio si sviluppano le anime. Tanta
forza è senz’altro anche eredità degli insegnamenti paterni. Il dolore insegna
a viaggiare a marcia indietro. Da grande a piccolo. Da ricco a povero. Dal
superfluo all’essenziale. L’Autrice tiene vicini gli affetti con il collante
dell’amore, attraverso i fili del telefono, le email, e soprattutto non
rinunciando ai riti quotidiani: accudire le piante, ascoltare le stelle e la
risacca, imbandire la tavola per il Natale e per la notte di San Silvestro. Il
testo ha sapore didattico per infiniti motivi, e insegna soprattutto che la
libertà non è nella catena al piede, ma nel perdere di vista ogni punto di
riferimento. Trasformando gli atti consueti in piccole cerimonie la splendida
Poetessa dimostra di essere riuscita a passare oltre il fenomeno virale, - non
a livello di consapevolezza - , proiettandosi al di là del divenire,
nell’eternità.
Maria
Rizzi
Ringrazio di cuore l'amica Musa Marisa Toffanin e il nostro Nume Tutelare, per aver ritenuto la mia recensione degna di pubblicazione sull'Isola.. L'Opera della splendida Poetessa patavina meritava un'esegesi più esaustiva. Mi limito ad aggiungere che rappresenta un unicum anche perchè in essa esiste una dicotomia tra cronaca e Poesia mai riscontrata in nessun altro testo. Un vero capolavoro! Abbraccio i miei amici con gratitudine e affetto profondi.
RispondiEliminaSono fuori città e solo ora riesco a connettermi ad internet. Finalmente, mia carissima Maria, posso esprimerti tutta la mia gratitudine per la tua lettura sempre più profonda della mia interiorità: penetri nella mia anima ormai oltre le righe con quella sapienza antica, generata dalla tua cultura, nutrita dalla tua umanità.
RispondiEliminaCon un abbraccio grande come il mio cuore,
Marisa