GUIDO
MIANO EDITORE
NOVITÀ
EDITORIALE
Non ci si trova
dinanzi ad un’autrice sconosciuta: Biancamaria Valeri ha già assaporato la
gloria del successo, avendo pubblicato numerosi testi storici ed una decina di raccolte
di poesie. Ha avuto una solida formazione classica, si è Laureata in Filosofia
e in Lettere, non è solo scrittrice ma anche studiosa di Storia e di Arte (con
diversi diplomi di specializzazione e master): ciò si sente, nel leggere
ciò che compone. Ed è anche una donna ‘pratica’, abituata a risolvere problemi
sorti nell’immediato, come deve essere chi, come lei, ha avuto il compito di
dirigere scuole. Eppure la freschezza di questa nuova silloge, Di fiore in
fiore, sembra proporci una poetessa appena sbocciata.
Questa sua nuova raccolta di poesie
ci propone una variegata gamma di riflessioni sulle vicende umane: amore,
dolore, insuccesso, gloria, ricordo, attualità, giudizio, sentimento, morte –
tutto quel che costruisce il puzzle di una vita intera. Una serie di
riflessioni profonde, sul significato della vita, presentate senza durezza, con
lo sguardo allenato di chi scruta nei meandri della Storia per scovarne quel
filo rosso che dà senso agli eventi.
I versi della Valeri spesso sono
brevi, spezzati, quasi a voler sottolineare la fugacità del tempo umano. La
punteggiatura stessa è scarna: ci sono intere poesie senza una virgola – a
cominciare dalle prime due. A volte i versi constano di una sola parola, ma non
vi è ricerca di ermetismo: così, piuttosto, l’autrice sottolinea il punto
focale, quello su cui ci si deve soffermare per riflettere adeguatamente. Si
veda ad esempio la breve ma intensa Pasqua di Resurrezione: «O morte/
dov’è/ il tuo artiglio?/ Disfatti/ dalla disperazione/ le tenebre/ dominavano/
su noi./ Dal silenzio/ profondo/ una voce/ suonò/ come un tuono./ E non ci fu
più fine». Si veda anche l’incipit di Paese dell’anima: «Lo
spazio dell’Anima/ è lo spazio/ del suo respiro,/ del suo soffio./ Da lei/ la
materia è permeata/ e vive/ e sente/ e avverte/ e percepisce…». E così via, in
molte altre liriche. Non mancano varie reminiscenze classiche, frutto degli
studi dell’autrice, che qua e là si depositano in un linguaggio ricercato:
«…Come una zattera/ è il nostro andar/ pel pelago in burrasca,/ come un
relitto/ dopo le battaglie/ con l’onde/ guerreggiate…» (Zattera); oppure
«…Le occasioni perdute/ le sconfitte del cuore/ ratte all’anima/ s’aggrappano…»
(Veglia). A volte, invece, tali reminiscenze riemergono nel rifarsi ad
immagini tipiche della classicità, come «quando le stanche membra/
s’abbandonano a Morfeo» (Sogno – ma la figura del più noto dei tre oniri
torna anche in Alba e in Notte). Il tutto si riporta sempre
alla personale vicenda dell’autrice, come quando – alludendo a Ferentino, la sua
amata cittadina – afferma: «…Contemplo l’infinito/ e una profonda quiete/
inonda l’anima mia./ Equilibrio perfetto/ di luci e ombre…» (Abbandono);
il paese natale è tanto amato, che anche solo una cartolina fa vibrare le onde
del ricordo: «Tra i ricordi d’un tempo che fu/ ti rinvengo, Paese mio…» (Su
una cartolina).
La partecipazione personale
dell’autrice si fa invito al lettore perché non tralasci l’osservazione della
realtà per quel che è; e così perfino il naturale cadere delle foglie genera un
sentimento degno di compartecipazione: «…Un sospiro d’addio/ le ha fatte
vibrare/ mentre abbandonavano il ramo» (Tappeto di foglie) – quasi a
voler condurre chi legge a rifare lo stesso itinerario di scoperta del valore
dei particolari che ha commosso lei stessa. Come ha già notato Massimo
Gherardini nella presentazione della silloge Paese dell’anima (2021), la
poetessa «si muove in punta di piedi» in una «sfera, costellata di luoghi,
affetti, significati» e «completamente assorta in riflessioni umanamente universali».
È una sorta di atto d’amore di chi scrive verso chi leggerà, che spinge
l’autrice ad esternare le sue considerazioni, «…perché la vita come l’amore/ è
più della morte/ forte» (Zattera); e non c’è dolore che tenga per far
gustare la vita: «…Si capisce la gioia/ se si attraversa/ la stretta e angusta/
porta del dolore./ Lavacro di purificazione/ se accettato il dolore…» (Dolore
e vita). Allora «…L’amaro pianto/ pian piano/ tramuta il nero Abisso/ in
paesaggio splendido/ di Vita» (Dolore); e così è anche quando si
deve piangere – e non si può non farlo –
la malattia di una persona cara (la sorella), e ricompare «…Il vuoto,/ cassa di
risonanza/ del dolore…» (Assenza). Perché il dolore è anche – in qualche
modo – maestro di vita, tanto da poter affermare, nel chiudere Naufraghi:
«…Ci perfeziona/ il dolore/ e sodali fratelli/ ci rende». Questo fatto che il
dolore renda gli uomini fratelli è ben più che una reminiscenza di autori
classici e romantici (basti pensare al Leopardi): è la constatazione di una
realtà tanto autentica quanto spesso dimenticata. Ma non è il dolore l’ultimo
orizzonte dell’esistenza umana.
Tutta quanta la vita ci si presenta
come una serie di cammini imprevedibili: «Percorso accidentato è la vita./ Non
corre mai lineare/ ma percorre tracciati tortuosi/ che sul momento sembrano/
immutabili e costanti…» (Svolte). La vita a volte ci ammalia, ci tenta
con prospettive di gloria; c’è però un baluardo che ne limita il tentativo di
ingannare il cuore dell’uomo: «…Più potente dei fatui successi/ sbandierati da
maliarde maghe/ era la luce della verità» (Inganni). Verità cui tutto,
in fondo, tende. È ciò che la scrittrice esprime, in modo estremamente
sintetico e diretto, in una poesia che non fa parte di questa raccolta, ma che
credo ne rappresenti emblematicamente la posizione umana: «Ho preso la penna/
per affidarle/ i miei sospiri dell’anima./ Con la poesia canto il mio dolore/
con la letteratura/ lenisco ogni affanno./ Ma la notte/ quando tace/ il rumore
delle cure …/ più forte che mai/ rimbomba/ l’urlo dell’anima» (In punta di penna). Ed è per questa sua posizione di
estremo, lucido realismo, per nulla distaccato dalla quotidianità, che
l’autrice può alla fine esclamare: «Nel tuo seno materno/ troverò pace, o Dio./
Di delizie mi sazierò/ nell’infinita pace del tuo amore./ Non m’atterrirà/
alcun male/ se s’apre/ la misericordia tua…» (La tua pace).
Le poesie di questo libro ci
trasportano quasi ad un volo radente sopra un campo dai confini sconosciuti –
la vita – e ci portano Di fiore in fiore, affrontando aspetti diversi,
proponendo sguardi differenti rivolti alla realtà tutta intera. Così i lettori,
come api operose, passano dalla contemplazione della natura («…Sei segno di
contraddizione./ Splendi radioso come il sole/ nelle giornate di bonaccia./
Terrificante muggisci/ nei giorni di tempesta…», Mare) alla sdegnosa
repulsione per la guerra («…Migliore l’equilibrio/ che donano/ la Pace e la
Concordia», Guerra), alla contemplazione dell’universo intero, che parla
all’uomo anche se questo non ne capisce fino in fondo la «…Lingua sconosciuta/
che si può sentire e udire/ solo con il battito del cuore» (Mistero).
Sì, perché è con
il cuore che si capisce la profondità del mistero della vita; ed è col cuore
che si comprende la profondità di questa raccolta, ed ogni momento di angoscia
e di dolore si risolve in una dolce, benefica nostalgia, piena di fede in Dio,
autore della vita. Non c’è modo migliore di concludere che ripetere
l’osservazione di Alessandro Quasimodo nel presentare la silloge In punta di penna (2023): «l’istante
diviene un frammento di eterno che comunica dolcezza, addirittura infinita».
Dolcezza cui ci conduce il fine sentimento della poetessa Biancamaria Valeri
nel considerare ogni recondito aspetto della vita come dono d’amore.
Marco Zelioli
Biancamaria Valeri, Di fiore in fiore, pref. Marco Zelioli,
Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 72, isbn 979-12-81351-49-3,
mianoposta@gmail.com.
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