NUNZIO BUONO
Un infinito ancora
L’argine fermo
di qua da quello spazio che in misura sconfinante
ascolta l’universo che mi torna e penso
come sarà l’urto prima del volo.
E sul foglio prima del saluto
su quel palco mentre scema della luce
fermerò l’urlo al buio nella gola di chi scrive.
Chissà quale sarà l’ultimo mio gesto
in quale posto resterà il segno del mio sguardo
e alla voce che mi chiede ancora
lascerò un segno tra pagine già scritte
per donarci
ad altri luoghi un infinito.
commento di
Cinzia Baldazzi
Né più mai avrei voluto affrontare un’esperienza vissuta nell’infinito
da quando, circa mezzo secolo fa, ho letto l’immortale idillio (o canto) del
ventunenne Giacomo Taldegardo Francesco Salesio Saverio Pietro Leopardi.
Eppure, quante volte, con sorpresa e ammirazione, ho affrontato e apprezzato ancora una simile tematica nell’iter della cultura letteraria (e non
solo) confermandone l’orientamento rinnovato, oltre allo sbocco inesauribile
(appunto perché illimitato) di impronta intellettuale e affettiva: non in virtù
di un canone puramente estetico in chiave a-storica, ma in quanto capace di
rappresentare – scrive Nunzio Buono – «L’argine fermo / di qua da quello spazio che in misura
sconfinante / ascolta l’universo».
Dunque, sin dall’esordio
di Un infinito ancora non entriamo in contatto con un funzionamento creativo,
mistico-religioso, o fantasticherie pittoresche di scuola arcadica, bensì con
una salda, lucida, operativa coscienza poetica di sentimento e ragione,
dunque con un piacere sommo e personale di se stesso e della vita. Con il
nostro autore accogliamo, piuttosto, un dato materiale o un lembo, una sponda rigida
al «di qua» dell’ignoto, all’altezza di incrementare la poësis (nella piccolezza della terra e dell’umanità a confronto del
firmamento) in una spinta deduttiva rigorosa tradotta nello spiccare un volo utopico
non traumatico, dolce e al contempo severo.
Dal ritmo
visionario (la «luce», lo «sguardo») sortirà lo scatto fulmineo del volgere gli
occhi dall’argine-ostacolo ad un oltre
carico di eccezionali prospettive interiori dove, però, nulla scompare della
concretezza che le ha causate. Nell’itinerario di matrice conoscitiva evocato
da Nunzio Buono, dinanzi a un’analoga Kunstanschauung,
tanto ampia da essere smisurata, comprendo come sia abbastanza scontato riproporla
in ogni intervallo letterario o di opinione critica. Ciò è accaduto, ad
esempio, alla historica ratio
post-illuminista nella forma di un mediocre e insensibile razionalismo, scrutato
e condannato dagli occhi del giovanissimo figlio di Monaldo - discendente della
considerevole famiglia bergamasca dei marchesi Mosca - nel grandioso idillio
dedicato a superare la chiusura tout
court per raggiungere l’apogeo immaginario e riflessivo, a oltrepassare la
limitatezza per attingere il piacere indefinito, incline a spostare sempre più avanti
l’intero contesto referenziale. Del
resto, il titolo iniziale concepito dal nostro conte di San Leopardo era Infinito, poi corretto apponendo l’articolo
determinativo, mentre Nunzio Buono, in totale libertà e autonomia, mantiene il
minuscolo anteponendovi l’articolo indeterminativo.
Nel poeta di
Recanati, vasti e suggestivi sono i riferimenti culturali espliciti o da ricondurre
alla sfera dell’Inconscio, ai messaggi esistenziali offerti da Montesquieu, Condillac,
Pietro Verri o Cesare Beccaria, in seguito arricchiti con gli acquisti degli
ideologi già allo scorcio del Settecento e dei materialisti come Claude-Adrien Helvétius,
Paul Henri D’Holbach, con soluzioni sensistico-sentimentalistiche le quali
sfoceranno a distinguere le fonti più forti dell’illusione dall’attivo, immanente,
“ignudo” reale.
D’altra parte, nell’asse di pertinenza peculiare dell’ars poëtica, in Un infinito ancora leggiamo: «E sul foglio prima del
saluto / su quel palco mentre scema dalla luce / fermerà l’urlo al buio nella
gola di chi scrive», poiché siamo ancora
immersi nel fluire del verum, il solo
adeguato, con i forse e chissà, a sconfiggere la veritas razionalista carica di avidità egoista
e calcolatrice, molto spesso abietta antagonista del bene.
Eppure, come in ogni
questione idonea a promuovere l’urgenza di una risposta, anche se non definitiva,
almeno essenziale, allo scopo di comprendere i termini considerati (del tipo:
“ma cos’è l’infinito?”), appare indispensabile avere il coraggio di guardarsi
dentro, andare a fondo per intraprendere un lavoro elaborato di auto-analisi:
potremo così controllare almeno se il sostantivo Unendliche (appellativo di uno degli incompiuti Frammenti di Pindaro di Friedrich
Hölderlin) abbia per noi una qualche concreta essenzialità in grado di ascoltare
l’universo, quindi in forma reiterante proporre il pensiero – cito da Nunzio
Buono – di «come sarà l’urto prima del volo» e, soprattutto, se giudichiamo valido
il presupposto di replicare all’interrogativo “a cosa serve?”, insomma se non
coincida malauguratamente con l’investire tempo prezioso in sterili, inutili constatazioni.
Un anno dopo L’infinito, Giacomo Leopardi affermava:
«Il sentimento della
nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i piaceri a riempierci l’animo,
e la tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo, forse proviene da
una cagione semplicissima, e piú materiale che spirituale. L’anima umana (e
cosí tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira
unicamente, benché sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che
considerandola bene, è tutt’uno col piacere. Questo desiderio e questa tendenza
non ha limiti, perché ingenita o congenita coll’esistenza, e perciò non può
aver fine in questo o quel piacere che non può essere infinito ma solamente
termina colla vita».
Sfogliando le
pagine di Nunzio Buono (in specie nella recentissima silloge Trasmigrazione), di frequente può
accadere di percepire un chiarimento non dissimile, inserito virtualmente tra
gli spazi semantici, in quanto la sua ποίησις (pòiesis) autorevole, densa di sineddoche (ad esempio, «sul foglio prima del saluto»), con scarse
allegorie, in effetti aiuta a sovrastare le difficoltà insite nella lettura senza
chiedere, in via pregiudiziale e decisiva per la comprensione, se lì, nell’intervallo
lirico o nel vocabolo evidenziato, si evochi il pensiero o il pensato, il
volere o il già ottenuto (accade nel verso «Chissà quale sarà l’ultimo mio
gesto»). In questa poesia ho potuto condividere un’esperienza in parte
riconducibile alla poetica hölderliniana, là dove il poeta scrive: «Sii tu,
canto, per me, l’asilo amico, / Sii la mia felicità, il giardino / Curato con
tanto amore». Nelle strofe di Un infinito ancora tocchiamo con mano la
visione utopica, ma efficace, di eliminare l’empasse del dolore in una sorta di redenzione dell’umanità costruita
sulla cura: ciò avviene nel
«segno» lasciato dallo scrittore «tra pagine già
scritte».
In tale scelta esegetica,
il ritmo versificatorio favorisce l’influenza di una logica poetica abbastanza complessa,
nel senso che il concetto filosofico di un itinerarium
sprovvisto di inizio e conclusione, affacciandosi più volte sottopone a dura
prova l’armonia dello spirito con la cosalità
del mondo circostante: come si può paragonare un ente non misurabile con il μέτρον (mètron) per
eccellenza della vita, ossia la Natura, la routine
quotidiana, l’hic et nunc dell’esistenza?
Sempre Leopardi osservava: «L’anima s’immagina quello che non vede, che quell’albero,
quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio
immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse
da per tutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario».
Cercando di interpretare
il titolo, gli enunciati, l’alfa e l’omega di questa poesia, ho avvertito la
netta sensazione che il Kunstwollen
di Nunzio Buono suggerisse in primis di
non smarrire uno stato d’animo di certezza concreta di fede, di acquisire
insomma, in un’evenienza inattesa, ulteriori solchi di infinito, quasi assecondassimo
insieme il monito leopardiano: «Chi potrebbe disprezzare l’immensurabile e
arcano spettacolo dell’esistenza, di quell’esistenza di cui non possiamo
nemmeno stabilire né conoscere o sufficientemente immaginare né i limiti, né le
ragioni, né le origini; qual uomo potrebbe, dico, disprezzare questo per la
umana cognizione infinito e misterioso spettacolo della esistenza e della vita
delle cose, benché né l’esistenza e vita nostra, né quella degli altri esseri
giovi veramente nulla a noi, non valendoci punto ad esser felici?».
Se foste partecipi
di un animus del genere, potrei consigliare
il romanzo epistolare Iperione,
sempre di Friedrich Hölderlin, ricco di legami sublimi tra filosofia e poesia, sviluppati
dall’autore tedesco richiamandosi al detto di Eraclito èn diafèron autòn: «L’Uno in sé diverso è l’essenza della bellezza,
e prima che ciò fosse stato trovato, non esisteva alcuna filosofia. La poesia è
il principio e la fine di questa scienza».
Anche nella vasta ποιητική τέχνη (poietiké tècne) di Buono prende vita una “scienza” parallela inerente alla poësis dove, come segnalai a proposito
di un’altra sua opera, La casa sul fiume,
occorre tenersi distanti dal vago rapimento, ancor più dalla leggerezza
sentimentale, caratteristici di un clima stereotipato purtroppo diffuso in
poetiche legate al tema.
Nella Weltanschauung del nostro scrittore rimangono
significativi e misteriosi il sovrumano silenzio e la «profondissima quiete»
leopardiani ben oltre la spinta dell’Ottocento che li accompagnava nell’irraggiungibile
idillio romantico, poiché il vento novecentesco che li ripropone risulta assai più
conforme, invece, al soffio sibilante di Blowin’
in the Wind (1962) di Robert Allen Zimmerman (Bob Dylan), impegnato a indagare
senza sosta su quesiti passeggeri («how many times must the cannon balls fly /
Before they’re forever banned?») e perenni, («How many years can a mountain
exist / Before it’s washed to the sea?»), fornendo un equivalente importanza a
entrambe. Certo, non dimentichiamo di ascoltare le parole del menestrello di
Duluth, nemico dichiarato delle istituzioni dottrinali dal lontano 1963 quando,
all’apice della notorietà, in The Times
They Are A-Changin’ screditava le professioni letterarie: «Come writers and
critics / Who prophesize with your pen / And keep your eyes wide / The chance
won’t come again / And don’t speak too soon / For the wheel’s still in spin /
And there’s no tellin’ who / That it’s namin’».
Oltre mezzo secolo dopo,
coinvolto in un analogo atteggiamento, rifiutò di ritirare il Nobel durante la
cerimonia canonica, nonostante nel 1962 si fosse occupato di cercare risposte esistenziali
o storico-sociali di vario tipo e alla voce dell’amico in attesa di spiegazioni
cantava: «The answer, my friend, is blowin’ in the wind». Così Nunzio Buono, alla
«voce» che «chiede ancora», ribadisce: «lascerò un segno tra pagine già
scritte», intendendo come, pur nel soddisfare gli interrogativi suscitati, il messaggio
esemplificativo debba ripetersi, chissà se per confermarsi o svelarsi.
Insomma, sono convinta
di quanto ogni raison lirica, in
diverse modalità anche in rapporto alle epoche, fondi gran parte di sé nell’enigma
del γίγνομαι (“divenire”), a parere di Hölderlin ispirato in generale a un τόπος (tòpos) ininterrotto, a un «infinito divino
essere». Condivido, dunque, l’avverbio temporale ancora, posposto all’infinito
nel titolo del brano di Nunzio Buono.
Nell’abbozzo
di prefazione a Iperione, Karl Viëtor
nel 1920 precisava: «La beata unità, l’essere nell’unico senso della parola, è
per noi perduto. E abbiamo dovuto perderlo per poi agognare a riconquistarlo». Il
critico colpisce nel “segno” del dilemma e Nunzio Buono ne è assolutamente
consapevole. Se tendessimo, però, a far coincidere la linea indeterminata a un continuum in fieri per guadagnare sicurezza, otterremmo solo un’approssimazione…
perpetua. Secondo Viëtor, «non avremmo nemmeno un presentimento di quella infinita
pace, di quell’essere nell’unico senso della parola, non penseremmo, non
agiremmo, nulla affatto esisterebbe, anzi penseremmo il nulla, se per mezzo di
quella infinita unificazione, quell’essere nell’unico senso della parola non
esistesse».
Nell’epilogo della
poesia, infatti, superando metonimie o metafore, leggiamo che l’intento della
poesia è proprio nel «donarci / ad altri luoghi un infinito». Noi saremo tutti lì
per essere risarciti con la felicità del dolore sopportato, per aver compreso
quanto le promesse di un “altrove” non siano mai svanite.
Cinzia Baldazzi
Nunzio Buono (1960) è poeta e scrittore. Le sue liriche sono presenti in molte
antologie e siti letterari. Più di centocinquanta i premi ricevuti in concorsi
nazionali e internazionali. Da gennaio 2014 è membro vitalizio dell'IWA
(International Writers & Artists) a Toledo (Ohio - USA). Nel 2015 una sua
poesia è stata trasformata in canzone dalla casa discografica “Sugar” di
Caterina Caselli e presentata nei festival musicali Premio Bindi, Genova per
noi, Premio Lauzi e Premio Ciampi. Nel 2018 ha ricevuto la Medaglia del Senato
a Roma. Nel febbraio 2020 è co-fondatore senior di WikiPoesia, a luglio ne
diviene Accademico e Presidente Onorario. Ha finora pubblicato venti raccolte
poetiche, molte delle quali tradotte in francese, inglese, spagnolo,
portoghese, rumeno, polacco, greco, albanese. Vincitore nel 2017 del concorso
Il Federiciano (a Rocca Imperiale, “città della poesia”), nel 2022 è padre fondatore
della Repubblica dei Poeti. La poesia Un infinito ancora fa parte della
raccolta poetica Trasmigrazione (Ancona, edizioni peQuod, 2025).
Gentile professore, grazie veramente per aver voluto ospitare, nello spazio di “Alla volta di Leucade”, una poetica e un’esegesi critica che ancora tentano di scrutare l’Infinito il quale, del resto, coinvolge in sé, a nostro favore, suggestioni interminabili.
RispondiEliminaRingrazio sentitamente Cinzia Baldazzi, saggista e critica letteraria per questa esposizione dichiarativa del mio testo, “Un infinito ancora” inserito nella raccolta ultima dal titolo “Trasmigrazione” (edita da Italic Pequod). La Sua oculata visione del concetto d’infinito che accompagna la mia scrittura evidenzia il senso del bello, accostandola nella vastità dell’universo al viaggio spaziale e temporale dell’animo umano, in “L’infinito” poesia del grande Giacomo Leopardi.
RispondiEliminaRingrazio Nazario Pardini, critico e ordinario di lingua e letteratura italiana, per avermi nuovamente ospitato tra le pagine del suo blog “Alla volta di Leucade”.
Ripeto quello che ho detto un po' di tempo fa, cioè quando la Dottoressa Baldazzi sale in cattedra bisogna fare silenzio e ascoltare, complimenti!
RispondiEliminaUn intervento magistrale il tuo, Cinzia, come sempre, una analisi molto dettagliata e colma di riferimenti storico letterari, con una chiave di lettura del testo perforante, visibile seguendo le tue parole.
RispondiEliminaTrovo stupenda la lirica di Nunzio Buono, molto profonda, colma di metafore, messaggi nascosti tra le parole: questo per dire che noi siamo infinito, perché l'infinito è dentro di noi, a guardarci, da quando si cade da un albero prima di iniziare a volare, fin quando saremo su quel palco mentre scema della luce, un'anima a silenziare le parole, le domande se un qualcosa rimarrà dopo, un oltre a diventare eternità.
Credo che sia il pensiero di ogni artista, che ritrova l'infinito non solo dentro se stesso ma anche in un semplice gesto, in una foglia, in un tramonto, in una qualsiasi cosa, perché ogni cosa rappresenta l'infinito ed è degna di essere immortalata tra le rime.
Da una materia grezza si passa a una materia lavorata, a una materia che diviene raffinata, eterna persino, così come può esserlo un'opera d'arte, così come siamo noi, nel ciclo evolutivo dell'uomo.
Questo mondo che non finisce mai di stupirci, una vita dove si muore e si rinasce, per donarci ad altri luoghi l'infinito.
Meravigliosa poesia: mi ha colpito molto la padronanza del linguaggio col quale il poeta esprime se stesso, i suoi pensieri. Chapeaux
Ermanno Spera
L'infinito, per me, non è tanto un luogo o una dimensione, quanto piuttosto un impulso. È la forza che ci spinge a cercare sempre qualcosa di più, a non accontentarci mai del finito. È l'insoddisfazione che ci spinge a esplorare, a imparare, a crescere. In questo senso, l'infinito è un viaggio, non una destinazione.
RispondiEliminaIn fin dei conti ogni umano sogna il suo Infinito, ogni poeta invece, oltre il sogno, prova a descriverlo.
RispondiEliminaChe dire? Le parole della critica letteraria Cinzia Baldazzi sono esaustive, ci fanno osservare le riflessioni e le considerazioni del Nostro paragonandole alle ottime similitudini di altri grandi autori che le rendono pregnanti.
Che dire?
In questo articolo tutto è molto profondo e ben esplicitato se non, quando hai a che fare con Infinito, il ritmo musicale del verso è tutto, diventa Tutto, e qui un poco questo difetta.
Comunque, per concludere: onore e rispetto all'autore Nunzio Buono presentatoci da Cinzia Baldazzi che ha osato affiancarsi, nell'infinito, al sommo poeta marchigiano!
Pochi avrebbero osato.
Concezio Salvi
Mi limiterò ad un breve commento, avendo già Cinzia superlativamente analizzato con il suo consueto acume da critico di razza la splendida poesia di Nunzio Buono.
RispondiEliminaConsiderando il titolo, ho pensato che quell'ancora potesse avere duplice natura: avverbiale ( un altro infinito possibile), ma anche sostantivale ( un ancora che si ripete all'infinito); in entrambi i casi si allude all'Eternità, perchè 'ancora' dà la dimensione temporale all'infinito. Inevitabile il riferimento al Leopardi, nell'incipit che alla siepe contrappone 'l'argine fermo'; la siepe impedisce la vista e chiude, l'argine è la solidità della vita. Poi, in Leopardi, "..interminati spazi.. e sovrumani silenzi..e profondissima quiete"; in Buono "..di qua da quello spazio che in misura sconfinata ascolta l'universo che mi torna".
Proseguendo, in Leopardi "vo comparando", in Buono "penso". In entrambi la percezione istantanea della finitezza umana e la paura di quel volo verso l'ignoto, per Buono, "ove per poco il cor non si spaura"( Leopardi).
Nella poesia di Buono si susseguono le immagini relative al pensiero della morte, "l'urto", il lento svanire della luce sul palcoscenico della vita.
Poi quella volontà di lasciare il proprio "segno" per "donarci ad altri luoghi un infinito", bellissima chiusa in cui l'"io" diventa "noi" e l'arte e la poesia offrono in dono all'umanitá intera la dolce possibilità di naufragare, ancora, in questo mare.
Isabella Sordi
Complimenti a Cinzia Baldazzi un oceano di note critiche e di riferimenti letterari.
RispondiEliminaPer me l'infinito è quel sogno che sta dentro di noi...
Mari Pino Toscano
Il testo critico di Cinzia Baldazzi confronta la poesia tra due "infinito" che da univoco elemento si declina in infiniti desideri di bellezza e felicità, motore dell'umana incommensurabile ricerca di senso che ci riconcilia con la Natura. Noi così limitati riusciamo a immaginare l'infinito. Ivana Sorce
RispondiEliminaFare i complimenti all'autore appare scontato, tuttavia, è l'unico modo che conosco, quindi, complimenti. Soprattutto grazie per come ha trattato un argomento tanto delicato quanto soggettivo, dando vita ai pensieri introspettivi che scatenano mille domande in cerca di una sola risposta.
RispondiEliminaComplimenti a Nunzio Buono e ai suoi Versi indelebili, che restano scolpiti nell’anima…”chissà quale sarà il mio ultimo gesto”… non può scivolare via questa frase, rimane all’infinito. Cinzia Baldazzi riesce poi, magicamente, come sempre, a catturare l’essenza, lo spirito puro, dei versi e delle infinite sfaccettature contenute nella parola “infinito”. ❤️
RispondiEliminaDonatella Calí
Complimenti Cinzia Baldazzi, saggista e critica letteraria per questa esposizione del testo di Nunzio Buono
RispondiEliminaPossiamo trascendere i confini della realtà attraverso l'immaginazione e il pensiero. Questo viaggio interiore dona un senso di infinito,
Quando qualcuno mi chiede quali istanze ed esigenze spingano a “fare” poesia io rispondo sempre “la sete e l’attrazione verso l’infinito” … un infinito esterno e grandioso, apparentemente eterno, che ci sovrasta, ci avvolge e coinvolge, a tratti imperscrutabile e incontenibile, come quello della Bellezza senza limiti della Natura e del Cosmo, della smisurata vastità dell’Universo in cui siamo stati partoriti, che ci stimola costantemente a ricercarne un senso, ma anche una più invisibile costellazione di infiniti interiori che “accadono” e nascono dalla conoscenza, comprensione, consapevolezza e intima espressione e rivelazione di sè, in cui possiamo riconoscere, in determinati luoghi e istanti, profondamente noi stessi e il mondo reale d’amore che ci circonda. Una dimensione di infiniti che può essere piacevolmente totalizzante e che per questo “sconcerta”, generando nell’animo stupore e meraviglia che talvolta minimizzano e rendono essenziale la parola stessa, fino quasi ad ammutolirla e annullarla, quando il pensiero richiede un‘ “epoché”, una sospensione del giudizio che pretende l’autorità del silenzio per lasciar spazio e tempo a una densità di emozioni inesprimibili che non hanno più confini, proiettando la realtà della coscienza umana, in cui questi infiniti per ostinazione e volontà crescono e “divengono”, verso l’onda perfetta e poetica di un immaginario “sguardo” leopardiano. È lo stesso bisogno e tensione che colgo e ritrovo nei versi riflessivi e luminosi del poeta Nunzio Buono, magistralmente illustrati e significativamente analizzati da Cinzia Baldazzi. Complimenti sinceri ad entrambi per gli stimolanti spunti di riflessione.
RispondiElimina🔹 Giuseppe Guidolin
Questa esaustiva e preziosa lettura ci riporta a lidi di infinito non altrimenti percepiti da chi ha un approccio emotivo (sia pure logicamente fondato) alla poesia, da chi percepisce la musicalità delle parole, da chi cerca empatia nello scritto.
RispondiEliminaL'approccio emotivo non è soltanto quello delle persone non avvezze alla letteratura: è una ricchezza che permette di leggere e interpretare il messaggio del poeta. Hölderlin e Leopardi, citati nel saggio, ne erano rappresentanti, così che la loro poesia divenne universale e condivisa da (quasi) tutti.
Nunzio Buono ha forse un approccio razionale, cosa che può non essere condivisa da chi ha vissuto la scala penosamente cromatica dell'annullamento del sé: il riferimento è alla depressione, ai pensieri di suicidio, all'angoscia.
Stati dell'essere che non permettono riflessioni ontologiche da affidare ai versi.
Luisa Sisti
Ancora una volta, la dott.ssa Cinzia Baldazzi, con maestria, ci porta con la lettura di “Un infinito ancora” di Nunzio Buono, a riflettere sulla nostra caducità, su quello che siamo, che vorremmo essere e che forse, mai riusciremo ad essere. Il primo verso del Buono, è quello che più salta agli occhi, “L'argine fermo”. A mio parere, proprio quell'argine fermo, freddo, invita a scrutare oltre l'argine stesso, qualcosa di ignoto, qualcosa in cui spaziare liberamente. Quante volte si ha paura di voltare l'angolo; l'angolo, insormontabile muro o amenità. Cinzia, sapientemente, cita L' Infinito di Leopardi. Un infinito quello leopardiano che scavalca la siepe, che supera la triste realtà, un infinito eternato nel silenzio che non ha spazio né tempo, è solo immenso. Immenso nella natura, nel pensiero, nel sentire, nel capire i limiti della condizione umana. Ecco, allora, che attraverso l'immaginazione, quest'infinito, diventa slancio vitale, viaggio interiore capace di regalare l'illusione di essere in grado di oltrepassare i confini della realtà. Giordano Bruno, non aveva siepi davanti a se. Per lui, l'universo è un infinito formato da un'infinità di parti, da infiniti pianeti che ben danno l'idea di qualcosa che non ha fine. Nella Bibbia, l'infinito, cioè Dio, indica l'assenza di imperfezione, non ha inizio né fine. Che l'infinito aleggia tra noi e in noi, penso non ci siano dubbi . In un verso, in una piccola parola, c'è la capacità di trasportarci lontano, d'impregnarsi, di materializzarsi d'infinito. E che dire degli occhi. Uno sguardo fresco, tenero, profondo, maturo, ti catapulta senza pietà in un infinito che abbandona la realtà per vivere di sogni. Ti amerò fino alla morte e anche oltre non si riferisce forse ad uno stato di infinito? L'anima anela l'infinito. L'infinito, filo sottile che unisce e divide, viaggio di sempre dell'uomo affamato di conoscenza. Personalmente, penso che l'infinito, è simile a un diamante dalle mille sfaccettature; non ha se né ma, né quando o dove, esso è quell'eterno mistero che dalla notte dei tempi ha affascinato e angustiato l'umanità alla ricerca di qualcosa, qualcuno che sovrasta tempi e ragione, quel quid in più per animare il nostro cammino. Splendidi i versi di G Pascoli: ”E TU CIELO, DALL'ALTO DEI MONDI SERENI, INFINITO, IMMORTALE D'INFINITO”. Ecco, la lettura, le parole di Cinzia, ci spronano e in un certo senso, quasi ci sfidano ad andare oltre quel filo che unisce e divide l'orizzonte, quel filo che è vita e eternità. Grazie Cinzia.
RispondiEliminaAntonietta Siviero
Indubbiamente molto sapiente e sottile la recensione di Cinzia Baldazzi alla lirica di Nunzio Buono , che tocca corde molto profonde dell'animo umano e verte, io credo, su tre aree semantiche di particolare intensità: la finitudine umana, lo sgomento a fronte di quell' "argine fisso" che è al contempo limite ed elemento propulsore, la sacralità della parola scritta che travalica il tempo, trascende a suo modo quel limite e realizza la più profonda aspirazione dell'uomo: quella all'Eterno. Emerge, pertanto, una concezione laica ed umanissima dell'Infinito, che attraverso il pensiero che si fa parola diventa il dono con cui costruiamo nuovi mondi e dimensioni appaganti per noi e, verosimilmente, anche per gli altri.
RispondiEliminaIn un'epoca in cui il materialismo soffoca la spiritualità e in cui si è persa la nostra più autentica essenza, l'arte ed il pensiero creativo possono restituirci ad un Umanesimo perduto ma che ci appartiene da sempre, attraverso cui recuperare valori e riscoprire persino una scintilla del divino che ci abita e che ci proietta oltre l' "argine", indipendentemente dalle ideologie o professioni di fede. Che non sia Infinito l'arte stessa e la potenza immaginativa che la alimenta ?
Giuseppina Dibitonto
Il tema dell’infinito ha pervaso la filosofia e la letteratura da tempi immemori, posizionandosi al centro dei ragionamenti più alti già dei presocratici, che tentarono di coagularlo intorno al concetto dell’archè. Affrontarlo all’ombra del materialismo dei tempi moderni, limitati dall’immanentismo razionale ed empirico che li impoverisce di qualsiasi slancio verso il trascendente, è un atto di generosità e di coraggio.
RispondiElimina'Nelle strofe di Un infinito ancora tocchiamo con mano la visione utopica, ma efficace, di eliminare l’empasse del dolore in una sorta di redenzione dell’umanità costruita sulla cura: ciò avviene nel «segno» lasciato dallo scrittore «tra pagine già scritte".
RispondiEliminaQuanta verità in queste parole.
Il nostro attraversare i confini del tempo, dello spazio, del visibile e dell'immaginabile attraverso la scrittura: è tutto qua. Scrivendo ci curiamo e curiamo gli altri, almeno proviamo a farlo. Scrivendo resteremo quando non saremo più. Scrivendo saremo ricordati da chi vorrà leggerci con l'occhio interessato, non necessariamente critico. Grazie Nunzio per questa bella poesia e grazie professoressa Cinzia Baldazzi per la sua interpretazione.
Flavio Provini
L'infinito è anche la sensazione di essere parte di qualcosa di più grande di noi stessi. È la consapevolezza che siamo connessi all'universo, alla natura, agli altri esseri umani. È la sensazione di appartenenza, di essere parte di un tutto infinito. Questa connessione ci dà un senso di significato e di scopo, e ci aiuta a superare le difficoltà della vita.
RispondiEliminaValentina Coccarelli
"Un infinito ancora": Nunzio Buono, nella presente lirica, è consapevole di rifarsi, almeno nelle intenzioni, al capolavoro di Leopardi; la sua poesia però prende un altro percorso già dal quarto verso, ed il termine "infinito" finale, in un certo qual modo, vuole chiudere questo percorso, ma non in senso circolare, semmai lobulato, se non frastagliato. Pertanto la similitudine non inganni: la poesia del Buono non è contemplativa, sognante, trascendente, è piuttosto la testimonianza della paura - umanissima - della sua, della nostra fine, non tanto idealizzata, quanto fisica (la chiusa è possibilista, come se "donarci ad altri luoghi un infinito" - si badi bene, non "l'infinito" leopardiano - sia una scommessa più che una speranza, o un'aspirazione). La paura non tanto della morte in sé, ovvero del cosa - tutti siamo consapevoli che moriremo - quanto del come, del dove e del quando. Questa è la nostra vera angoscia, ed è per questo che cerchiamo di esorcizzarla, perché se è vero che le medicine, gli antidoti a questa angoscia sono molteplici - l'Arte è forse la più bella, se non nobile, di questi rimedi, ma molti trovano conforto nella religione, nel desiderio di giustizia, di pace, di eguaglianza e di libertà, nel vivere la vita in senso sfrenato, o, in contrapposto, nella meditazione, nella fuga dalle passioni, o viceversa nella loro esaltazione. L'infinito non è una certezza, ma è un pensiero che ci può dare conforto ai dolori che viviamo in questa vita, se immaginato come un' aspirazione al bello, al buono, al piacere eterno; "un" infinito è una possibilità - umana, troppo umana, parafrasando F. Nietzsche - che è meno idealizzata, forse con un connotato più pessimistico, perché più realistico, perché l'unica realtà che conosciamo è la nostra, non scevra di difetti, di dolori, di limiti. Questa è, per lo meno, la mia interpretazione, sono gli interrogativi che anch'io mi pongo, avendo ormai raggiunto l'età in cui si vede la nostra parabola umana verso l'inevitabile discesa. Complimenti alla bellissima poetica di Nunzio Buono, e complimenti alla magnifica, magistrale critica di Cinzia Baldazzi, intessuta di preziosissime citazioni filosofiche e filologiche. Finché esisterà tutta questa bellezza, la nostra vita avrà un senso, sarà preziosa e ricca.
RispondiEliminaNicola Foti
Cara Cinzia, leggo con interee il tuo saggio su questo "infinito contemporaneo " che a ritroso si confronta con le voci più significative che ne hanno percepito ed espresso l'immensità , per giungere (e come tacerlo?) all'incommensurabile Leopardi. Cosa aggiungere ancora?Nulla, il godimento consiste tutto nella lettura e nella inevitabile riflessione.
RispondiEliminaComplimenti alcaroPardini. al poeta e a te.
Eugenia Serafini
Non è stata la poesia ad avvicinarmi al tema dell’infinito ma è stata la matematica. Forse fu Bertrand Russel a farmene leggere ed apprezzare una definizione che cito a memoria: “… quando una parte è uguale al tutto” es: Quanti sono i numeri? Infiniti Quanti sono i numeri pari? Infiniti; i dispari? Infiniti ecc. ecc. fino all’infinito.
RispondiEliminaQuando mi arrivò dalla poesia me lo sentii suggerire da un questo paragonato ad un quello nella poesia di Leopardi che, nell’ eco tra questa comparazione, naufragava in una struggente estasi come ultimo appiglio al suo bisogno di avere una trascendenza in questa vita dopo la morte di dio.
Oggi ci vedo un confine che sfugge all’essere nel suo definirsi, quasi fosse una geniale intuizione di quel che sarebbe diventato il cardine su cui ruota la filosofia esistenzialista.
Insomma Leopardi è sempre Leopardi ed è un peccato che troppe volte se ne ricordi solo la poetica: lui è molto di più.
Torno al tema e riparto dalla parte e dal tutto dal questo e quello per affermare che tutto è “infinito” e invoco la mia esigenza di avere anche una trascendenza verso il basso delle piccole cose, che a ben guardare sono piene di infinito senza scomodare la quantistica: è il sentirsi vivere ogni in questo naufragio pieno di infinite domande che trovo oggi il senso della vita.
Sono anche queste le cose che avverto leggendo sia la poesia di Nunzio che le considerazioni colte di Cinzia.
È sempre bello trovarsi in sintonia con gli amici con cui condividi un percorso ed a cui auguro una serena giornata alla luce della poesia.
Valerio Di Paolo
PS: Oggi rileggerò “voli a matita” …
Ho ordinato poco fa TRASMIGRAZIONE legge Nunzio Buono è una gioia.
Di Paolo Valerio