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Nazario Pardini: Dicotomie.
The Writer Editore. Milano. 2013. PP. 320.
Di Daniela Quieti
Nel profondo coinvolgimento emotivo e nel piacere
intellettuale che la lettura dei versi di Nazario Pardini raccolti nel volume
“Dicotomie” mi ha procurato, desidero aggiungere, alle tante prestigiose note
critiche, le mie amichevoli parole a commento. Il dettato poetico disvela uno
spirito vibrante di passione, dolore, sentimento. L’Autore attinge dall’unica fonte
in grado di far sgorgare il vero canto: il cuore. La dedica in esergo “A mio padre e a mia madre che hanno immolato
la loro vita sull’altare dell’amore” permea tutto il volume di sublime pietas, incancellabili memorie,
speranze, umana civiltà e inciviltà che, pur fra le stridenti ambiguità
contemporanee, restano incancellabili nell’anima. Una Musa, quella di Pardini
che freme, soffre, sboccia nei giardini del reale per decollare verso arditi
approdi dove convertire, forse, in gaudio le lacrime.
Non saprei dire quale dei componimenti sia il migliore:
tutti possiedono una nobile orma di purezza, schietta ispirazione, liricità,
raffinato labor limae, impronta che
sanno dare alla proprie opere soltanto i grandi scrittori e gli spiriti capaci
di risalire dal crudo materialismo verso gli alti cieli degli ideali. E che
siano ricordi di guerra sulla strada, in trincea, miti oppure fragranti
giornate di luce in una rinascente campagna, o ancora piane azzannate vicino al
mare, ombrelli di carta, barche di fuscello salpate da “coste opposte” verso il sogno di una “terra di pane e lavoro”, tuttavia un “raggio scampato alla sera” non si piegherà “agli artigli dell’ora”.
Sono immagini che sottendono inquietudini e raccontano
l’ansia del proprio e dell’altrui diverso destino con densa spiritualità,
libertà ed eroica meditazione: solitario privilegio dei poeti, semmai “in uno spazio vasto in mezzo ai platani”
di una campagna profumata di terra e mare “tra il chiarore di lame / che vanno all’infinito”
e respirano “aria d’eterno”.
La caducità dell’essere nel dualismo del “cemento che guasta la collina” fra i “detriti dell’ingordigia umana” e “quei giochi del tramonto sopra il campo”
s’incarna nella materialità di parole dense di pathos, raffinatezza intellettuale ed esperienza etica.
Il poeta condivide luci e ombre dell’umana sorte e dei
suoi misteri nel vasto universo senza mai perdere la percezione di un
originario, incontaminato stupore.
Se, come afferma Eraclito, “l'armonia delle cose sta
proprio nel perenne mutamento generato dal polemos tra gli opposti, così
le “Dicotomie” di Nazario Pardini
celebrano la meraviglia di un'empatia emotiva che illumina ogni opacità del
cuore. E nell’intimo tormento di un consapevole tragitto terreno, quando più
forte si fa il bisogno di confortarsi dai colpi improvvisi dell’esistenza e di
proteggersi dal freddo delle bare, “in
qualche luogo… l’alba nasce… là dove il gelo non arriva mai”.
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