PRIMO MAGGIO:
FESTA DEL LAVORO
IL MIO PRIMO GIORNO
DI LAVORO
ALLA TERMOMECCANICA
Pagina della memoria
di Paolo Bassani
In occasione di questo I Maggio 2013 , Festa
del Lavoro, o meglio, dei
Lavoratori, desidero ricordare su
“Alla volta di Leucade” il mio primo
giorno di lavoro, che avrebbe cambiato la mia vita dando speranza e certezze al
mio futuro.
Mi arrivò, inattesa, una cartolina postale con una
comunicazione altrettanto inattesa: “La preghiamo di presentarsi per notizie
che la riguardano”. Mi giungeva da un mittente per me, allora, quasi
sconosciuto: Termomeccanica Italiana S.p.A. Cercai di sapere qualcosa di più. “E’
quel grande stabilimento metalmeccanico di Via del Molo, vicino al cimitero” mi
dissero, aggiungendo: “Hai fatto qualche domanda di lavoro?” “No,
assolutamente.” risposi. “Ti conviene, in ogni caso, andare e sentire
che cosa vogliono” mi fu consigliato. E così, il giorno dopo, mi presentai
all’azienda. Non avevo faticato a trovarla, sia per la vastità del complesso,
sia perché conoscevo la strada dei Boschetti: due mesi prima l’avevo percorsa
accompagnando mia madre al cimitero, morta improvvisamente in giovane età.
Quando giunsi davanti all’entrata della Termomeccanica
rimasi colpito dal grande portone bronzeo su cui campeggiava una grossa T
scolpita e, dall’ampia elegante portineria che assomigliava al salone di
ingresso di un grande albergo. Fui fatto
accomodare in una saletta attigua in attesa che il direttore amministrativo si
liberasse. Mi ricordo che sulla porta del suo ufficio c’era una sorta di
piccolo semaforo: la luce rossa significava che non si poteva entrare. Quando
apparve il giallo il portiere, tenendo tra le mani la mia cartolina, mi introdusse nell’ufficio. Dopo una breve
presentazione il direttore spiegò le ragioni della convocazione: “La nostra
società ha deciso di ringiovanire il proprio ufficio paghe. Abbiamo preso
contatti con il vostro istituto scolastico e, poiché lei risulta tra i
diplomati meglio classificati, le facciamo la seguente proposta: Sarebbe
interessato ad iniziare un rapporto di lavoro con la nostra società? Inizialmente
sarebbe collocato all’ufficio paghe, come tirocinante… in seguito, in base alle
sue qualità, potrebbe anche migliorare
il suo percorso professionale all’interno dell’azienda.” Non mi aspettavo
quella richiesta e, quindi, non seppi dare una risposta immediata. Invero, ero
ancora immerso in quella incerta atmosfera subentrata alla morte di mia madre.
Non avevo ancora deciso che fare. Mi sarebbe piaciuto continuare gli studi, ma
non avevo ancora valutato le impreviste difficoltà che si affacciavano. Al
direttore non sfuggì la mia incertezza e, quindi, mi disse (ho qui stampate
nella mente le sue parole): “Comprendiamo che dobbiamo chiederle di prendere
una decisione importante per la sua vita”. Dopo un attimo di pausa
aggiunse: “Le diamo una settimana per rifletterci. Se, poi, la proposta non
le interessa, non è necessario che torni
di persona a riferirlo: ci dia una telefonata e noi contatteremo altri…” E,
così dicendo, mi allungò il suo biglietto da visita.
Tornato a casa, pensai tutto il giorno a quella
proposta senza approdare ad alcuna decisione. La mattina seguente, però, mi fu
tutto più chiaro. Fu sufficiente un semplice ragionamento a farmi decidere. La
Termomeccanica era una grossa azienda che contava oltre mille dipendenti.
Pertanto, disponeva di una mensa aziendale. Evviva! Avrei risolto metà del mio
problema: a mezzogiorno
avevo un pasto assicurato; soltanto la sera, quindi, sarei andato alla mensa dei ferrovieri. Già,
non ho detto che con la morte di mia madre la nostra famiglia si era ridotta a mio padre ed io. Mio padre era
ferroviere e, quindi, faceva spesso i turni del giorno e della notte. Ecco
perché anch’io spesso, per stare insieme con lui, andavo a mangiare alla mensa
dei ferrovieri. Mi tornano alla mente le parole dello scrittore Giovanni Petronilli:
“La sofferenza maggiore non è tanto vivere soli, quanto mangiare in
solitudine”.
La vita è fatta di momenti vissuti. Alcuni di essi
restano a segnare per sempre il percorso. Uno di questi è per me il 9 dicembre 19 57:
il primo giorno di lavoro. Alle 8 ero già in attesa in portineria. Con mio
stupore e piacere trovai Renzo, un mio amico di scuola, anch’egli in attesa di
entrare all’ufficio paghe. Aspettammo quasi un’ora, poi finalmente il direttore
ci chiamò e, personalmente, ci accompagnò all’ufficio paghe. Mi ricordo che,
aperta la porta, tutti gli impiegati
scattarono in piedi: “Vi presento i vostri due nuovi colleghi” disse con
voce solenne. Incominciava così il mio primo giorno di lavoro. Ero talmente
felice che mi pareva di vivere un sogno. Ritrovo vivi come allora i nomi dei colleghi:
Figari, Filattiera Zignani, Garetto, Monti, Baldi, Tanzi e, naturalmente Michi,
l’amico entrato con me; poi, qualche tempo dopo, Calamai (nuovo capoufficio) e successivamente
Sommovigo e Barcellone.
L’ufficio paghe
si era davvero ringiovanito: eravamo in sei “ragazzi”, tutti provenienti dalla
stessa scuola. E’ bello, dopo i tempi dello studio, ritrovarsi insieme in uno
stesso ufficio! Per me, poi, lo era ancor più, perché il lavoro e gli amici
colmavano il grande vuoto di solitudine che la morte di mia madre aveva aperto
(come ho detto, ero figlio unico e mio padre era spesso impegnato nel lavoro).
Ero così contento di lavorare, d’essere in un ambiente amico, che l’impegno non
mi pesava, anche quando mi fermavo, oltre l’orario, per imparare ad usare
(senza guardare i tasti) la calcolatrice
meccanica. Pensate! La felicità di quel lavoro mi faceva trovare perfino in
disaccordo con il buon Leopardi. Vi ricordate?
Egli, pensando alla domenica,
aveva scritto: “Diman tristezza e
noia/ Recheran l’ore, ed al travaglio usato/ Ciascun in suo pensier farà
ritorno”. No! Non era così per me.
In quei tempi, invero, io mi sentivo quasi contento la domenica. Pensavo che
l’indomani sarei tornato in ufficio, tra gli amici, in “famiglia”.
Oggi, ricordando il mio lavoro,
a distanza di tanti anni,
io, non più giovane,
dei giovani sento
e interpreto le attese
nella sofferta ricerca di un lavoro
che possa dare dignità e speranza
alla loro vita.
FORTUNATO…
Fortunato
chi ha un lavoro
che
dà speranza al suo futuro:
un lavoro stabile
sicuro.
Fortunato
chi non deve
lasciare
la sua terra,
andare
lontano
pellegrino
come profugo
in cerca del domani.
Fortunato
chi vede
dischiudere
il germoglio
del
seme gettato
e fiorire
il sogno dell’attesa;
chi
nel lavoro sente realizzata
la
sua dignità di uomo
e finalmente libero
può
farsi una famiglia,
avere
una casa,
giungere
all’autunno
con
la giovinezza in cuore.
Paolo Bassani
Racconto tratto dalla pubblicazione "Dai miei 12622 giorni alla Termomeccanica", stampata in occasione del Centenario della Termomeccanica (1912 - 2012)
RispondiEliminaL'autore
Racconto riportato sul mio nuovo libro "RIVERBERO" stampato in questi giorni
RispondiEliminaPaolo Bassani