Poesia intensa, dove
la natura con tutto il suo contributo visivo abbraccia l’anima della poetessa
per cristallizzarne le emozioni. L’euritmica musicalità dell’endecasillabo è
distesa su uno spartito di vaghezze semantiche, dove presente passato e futuro
si embricano vicendevolmente dando forza alla plurivocità del dettato lirico.
L’ardore allusivo di metafore fa sì che l’atmosfera della notte acquisisca
caratteri di rara sfumatura ad esaltare le inquietudini dell’esistere, il
polemos tra gli opposti di memoria
eraclitea: il giorno la notte, la luce e l’oscuro, la vita e la morte, la
primavera della vita e l’autunno del suo sfiorire. Tutta la complessità
dell’esistere vi è contenuta. E la civetta, l’usignolo, lo scrosciare di una
fonte a rompere i silenzi si fanno simboli di perspicua sapidità disvelatrice; simboli di un vissuto
consegnato ad un realismo lirico di grande efficacia. E il memoriale, esondando
ex abundantia cordis, s’impone come spartito di una pucciniana romanza; di una
romanza che, con tutto il suo potere rievocativo, e con grande resa poetica, concretizza
il suo patema nella similitudine di un cane che latra per un abbandono. Ma anche
se il ricordo lontano di un primo bacio, e il pallido chiarore dei lampioni sembrano
rischiarire in parte la notte della Nostra, pur tuttavia:
“Prosegue incerto il passo del mio andare,
vorrei svegliare stelle vagabonde,
vorrei cercar la luce che rincuora
… ma la civetta sta cantando ancora”.
Nazario Pardini
POESIA VINCITRICE DEL PREMIO HISTONIUM (SEZ. INEDITO)
NOTTURNO
Scende la
notte solitaria e stanca,
dita oscure
s’abbassano, vagando,
nel
ricoprir di nulla la natura
dispersa
in brezze e in bisbigliar di fonti.
Il canto
di civetta, sopra un ramo,
agghiaccia
di paura un roditore,
che con
dolenza e sempiterna pena,
ricerca il
suo rifugio tra le zolle.
E quanto è
ammaliatore, invece, il trillo
dell’usignolo
che accompagna e guida
storie
d’amore e pur di nostalgia,
decaloghi
di vecchi e nuovi amanti.
Notturni
che conoscono le storie
di mille
amori e mille tradimenti,
di lotte e
di promesse, poi, mancate,
di magici
segreti inconfessati.
E s’ode,
ancora, il sussurrar di fonte,
ove la
rana sguazza tra le foglie,
nell’incertezza
di rumori alterni
vaganti
nelle gemme dell’oscuro.
Inseguo il
mio destino nella notte,
ma tutto
sembra, a un tratto, allontanarsi,
forse… i
rimpianti sono a me vicini,
tanto
vicini da toccar con mano.
Un soldo
per un attimo di luce
che mi
rischiari, appena, un desiderio,
che mi
riporti in mente il primo bacio,
nascosto
tra un pensiero ed un sospiro.
È sempre
più profonda questa notte,
un cane
latra e mi fa compagnia,
forse,
anche lui è in cerca della mano
che gli
faccia scordare l’abbandono.
Si
scorgono lontano dei lampioni
a
rischiarar, timidamente, strade
e le
sembianze delle vecchie case
hanno il
sapor dei giochi trascurati.
Prosegue
incerto il passo del mio andare,
vorrei
svegliare stelle vagabonde,
vorrei
cercar la luce che rincuora
… ma la
civetta sta cantando ancora.
Ringrazio sentitamente il Prof. Pardini per aver, con tanta attenzione,sottolineato la lacerante tristezza espressa nei versi di ''Notturno''. Fulvia Marconi
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