I simboli del mito - IL CROCO I quaderni di Pomezia-Notizie (ottobre 2013)
(riferimento
Primo Premio Città di Pomezia, 2013 al poeta Nazario Pardini)
Parlare di mitologia attraverso l'atto, di per sé
mitologico e creativo, di Nazario Pardini, poeta, saggista, nonché animatore
del blog Alla Volta di Lèucade, quotidianamente presente per proporre
nuove notizie culturali ai
suoi lettori, esposte con dedizione
e commentate sul web, non è un'impresa facile, soprattutto per una persona come
me, che, pur seguendo la poesia da diversi anni, non ha intima dimestichezza
con l'antico culto mitologico
contemplato con il vezzo della conoscenza, azzardata - al limite di quei
confini estetici - più volte percorsi coraggiosamente dal nostro poeta.
Nelle
sue molteplici esplorazioni linguistiche, infatti, il Nostro si muove abilmente
all'interno dei meandri di una catarsi espressiva intrisa di riferimenti
riconducibili alla cultura classica. Egli dimostra di fare buon uso sia dei formalismi,
sia delle parole misurate con la contemporaneità. Come giustamente commenta la
poetessa Ninnj Di Stefano Busà, nella prefazione, non si può negare l'alto
livello di formazione culturale del nostro autore:
Vi si
riscontrano ancora,… le caratteristiche precipue della sua oggettivazione
pooetica, il suo reticolato linguistico, la sua naturale vocazione a far
riemergere dai primordi della storia le figure mitiche rappresentative della
classicità, come ad esempio, Ifigenia e poi Semele, Giove, Dioniso, Apollo,
Edipo, Saffo, Calipso ecc. Mettono in risalto la sua tendenza a scrivere versi
con un corpo e un'anima, ma sempre con intensità espressiva da terzo millennio,
seppure i miti, le simbologie inneggino al passato, gli esiti felicemente
raggiunti appartengono alla post-modernità senza fregole, senza falsificazioni,
senza orpelli, né eccessi di stampo "modernistico d'assalto" come
avviene in molti autori contemporanei che respingono "tout court" la
classicità del passato senza proporre modelli nuovi, solo per il gusto di
respingere l'antico (tratto da Il CROCO - I simboli del mito, i quaderni
letterari di Pomezia Notizie - Prefazione a cura di N.Di Stefano Busà pag. 2).
Nei
suoi versi, Nazario Pardini, dimostra di usare e piegare la parola; la
trasforma a seconda della sua sensibilità, della sua capacità di seguire i
ritmi e i tempi delle emozioni, delle sofferenze, dei suoi desideri e della sua
immaginazione. La sua opera diventa quindi un messaggio che si trasmette
vivacemente con il ritmo della parola mediata dalle figure mitologiche; in
questo caso addirittura, la sua poetica descrive il simbolo che attraversa il
simulacro delle suggestioni estetiche, nella forma vivida del racconto epico.
Prende corpo la sua verità ma, non per questo dobbiamo illuderci di diventare
come gli dèi, perché come sostiene il nostro poeta, ogni uomo è osservato con
indifferenza forse per via dei superbi occhi che vorrebbero guardare il cielo,
senza scorgere in basso gli errori:
Indifferenti ci
guardano gli dèi
Non sperare
perdono,
solo lo
scherno
proviene
dall'alto (...)
Indifferenti ci
guardano gli dèi
e invano gli
porgiamo gli occhi,
quando tocchi
superbi
ci rapiscono
l'animo;
cova l'eterno
sopra sassi e marmi,
sopra statue
immortali
tra flebili
luci di passi di luna (tratto da: Indifferenti ci guardano gli dèi - I SIMBOLI DEL MITO - pag. 8).
Nella poesia dedicata a Giovanna D'Arco, emerge
questo soliloquio interiore, intimamente connesso al limite (se pur eroico)
della condizione umana. Specialmente in questa poesia, Nazario Pardini tratta
il tema del sacrificio ed immagina Giovanna d'Arco a Donnery, nella casa della
fanciulla che fu capace di affrontare, con forza spirituale, gli eserciti invasori:
Quanti anni
che bruciò
questa ragazza!
Restano quattro
mura
un po' a
dispetto
che vanno oltre
gli eroi,
sorpassano la
Storia
e vincono la
vita
(tratto da: A
Donnery sui Vosgi - I SIMBOLI DEL MITO - pag. 12).
Se la letteratura nobilita l'oggetto del desiderio
e l'affranca all'agonismo militante di una identificazione proiettiva, c'e' da
chiedersi se in queste poesie dedicate ai simboli del mito, l'eroina, il sogno,
il desiderio diventino oggetto privilegiato di una nitida manifestazione di
fede nei confronti di un Paradiso perduto; inteso anche come - mondo idilliaco
- dell'Arcadia. Nei canti epici della
nostra storia civile e culturale si manifesta coraggiosamente (come già scrissi in merito alla silloge Dicotomie - di Nazario Pardini ) una
coincidenza storica con le forme impalpabili della bellezza; perviene
dall'interiorità e dalle metafore che il nostro poeta utilizza nei colori e nei
suoni della sua poetica. Si fanno sentimento le sue parole e, non dipendono
unicamente dalla forbita costruzione letteraria cinta di aulico
"alloro" e mi riferisco alla poesia dal titolo Al
lauro:
Oltre la terra
la virtù che serbo,
al tuo potere
vada e che gli umani
salvi dall'ira
siano dei cieli (tratto da - I SIMBOLI DEL MITO - pag. 26).
Ad inventare costruzioni poetiche non è quindi solo
l'abilità linguistica e letteraria, è soprattutto l'intima sua ricerca che si avvia nella profondità di reminiscenze risanate da
quei valori mitologici che ben si riconciliano con la memoria dei padri. Sì, i nostri padri che ritornano
manifestamente e metaforicamente nelle parole di Nazario Pardini - sui margini
dei sepolcri - e ci parlano di onestà e di affetti sinceri:
Escono dai
marmi freddi
sulla loro
terra
e tra l'odore
di cera
e il fumo della
notte,
tra l'esalare
di rose,
di gigli ed
orchidee,
parlano di
affetti e di ricordi
ai bordi dei
sepolcri;
li puoi vedere:
ecco mio padre
con mia madre
ed ecco mio
fratello
che sorridente
per l'agognato
arrivo
vola di gioia (tratto
da - Oltre quel muro - I SIMBOLI DEL
MITO - pag. 20).
Con queste parole, concludo, dicendo che tra le
braccia di Nazario Pardini sopravvive il tepore di una poesia che non ha senso
se perde l'incanto dell'ultimo dono che la rappresenta. Questo dono è sopratutto
l'affetto di chi condivide il nostro bene che si manifesta nel "mito"
fulgente.... della sua bellezza.
e ti rivivo...
è l'ultimo dono
che mi resta
tra i simboli
dei miti
che uniti noi
ascoltammo
fulgenti di
bellezza (tratto da -L'ultimo dono - I SIMBOLI DEL MITO - pag. 28). [Miriam
Luigia Binda, 25 ottobre 2013].
Unire la poesia al mito è un passo verso la classicità. I modelli antichi avevano il coraggio di recuperare non soltanto le antiche forme di bellezza, ma anche la razionalità e l'equilibrio morale che quelle forme esprimevano, partecipando in questo degli ideali tipicamente illuministici. La classicità, soprattutto greca, fu vista come una mitica età dell'oro, in cui l'umanità viveva in armonia con la natura ed il bene coincideva con la bellezza. Con questa presentazione mi intrometto nel dire proprio questo che è interessante riscoprire questo specifico campo di espressioni poetiche di Pardini che ha scritto molto sul mito. .
RispondiEliminaAnche un libro della Sturma fa questo genere di prefazione che come dice la Binda apre la porta alla memoria dei padri.
Il libro è di Laura Sturma La Parola che nomina gli dei.
Laura
Cara Laura Sturma ho già accuratamente selezionato la tua opera che, ha lascito una ricerca, ricca di testimonianze e di traduzioni di testi che citano soprattutto Ovidio. Ho seguito, solo in parte le tue ricerche (mi dispiace non aver potuto proseguire) ma, sempre con affetto, ti ringrazio per il tuo puntuale intervento, anche in merito a questo testo del poeta Nazario Pardini.
RispondiEliminaBuon lavoro. Miriam Binda
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