Ubaldo de Robertis, collaboratore di Lèucade |
Questa la sintesi dell’intervento del
Prof. Franco Donatini alla manifestazione, molto intensa e partecipata, degna
del ricordo del grande amico Ubaldo de Robertis, tenutasi il 3 luglio alle ore
17 presso il Comune di Pisa.
Vorrei parlare di noi, dei nostri viaggi, delle
foto insieme davanti la casa di Machado a Segovia, condividendo il ricordo di
questo grande poeta spagnolo, ma l’emozione è ancora forte e non ne sarei
capace.
Vi voglio invece parlare delle nostre discussioni
su dove va la poesia, fatte nella sua biblioteca, o nei ritrovi cittadini,
perché credo che Ubaldo abbia detto qualcosa di nuovo su questo tema, come gli
riconoscono molti critici, tra cui Nazario Pardini e Giorgio Linguaglossa.
E allora parlerò del rapporto tra poesia e scienza,
un aspetto apparentemente singolare che tuttavia è alla base della sua poesia.
Ubaldo è riuscito a coniugare insieme questi due campi solo apparentemente
inconciliabili, anche facendo riferimento alla sua cultura professionale, ma
soprattutto a un modo di sentire molto comune ai poeti molto più di quanto si
possa pensare.
Scrive De Robertis, nella poesia “L’Universo e gli
anelli”: che avete appena ascoltato «parto da una teoria cosmologica precisa
quella dello “spazio ad anelli”, (di cui è ideatore l’amico Carlo Rovelli), che
si contrappone alla teoria dello “spazio a stringhe” forse più accreditata e
diffusa. Nella poesia tratto della relazione tra frequenza suono e colore e
accenno a Kandinskij che si era occupato per molto tempo della relazione tra
colori e musica». Relazione di cui anch’io ho scritto in alcune biografie di
artisti come proprio quella dello stesso Kandinskij in una sintonia di visione
che ancora oggi mi commuove. La poesia, quindi, vista come un intersecarsi di
discipline che dalla scienza si allarga all’arte e alla musica di cui la
scienza attraverso la matematica ne rappresenta l’essenza profonda. Vedete
quante verità scientifiche sono presenti in questa lirica trasferite con il
linguaggio lieve ed empatico della poesia. Verità e insieme dubbi, certezze
suscettibili di essere superate in una sintesi progressiva. Un conflitto
razionale ed insieme esistenziale che attraversa allo stesso tempo la scienza e
la poesia.
La presenza della scienza è pregnante nella poesia
come in quella del suo grande conterraneo Giacomo Leopardi. Nella Ginestra
l’inevitabile degrado della materia a cui si accompagna l’umano destino si collega
al concetto scientifico di irreversibilità a cui sono sottoposti tutti i
fenomeni naturali, così come la nostalgia del ricordo nel Sabato del villaggio
si lega all’irreversibilità del tempo.
Ma è la percezione dell’infinito che sta alla base
contemporaneamente della scienza e della poesia il dramma dell’incapacità umana
di catturarlo ed insieme l’ammirazione stupita della grandezza e del suo
mistero. Ma, come nella poesia appena letta, il poeta De Robertis non rinuncia
a tentare di catturare l’infinito a guardare oltre “questa siepe, che da tanta
parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude” per parafrasare, forse
immodestamente, il grande poeta marchigiano e lo fa proprio usando modelli
scientifici che sono alla base della complessità trasversale della percezione,
visiva, uditiva e insieme immaginifica.
Ma la scienza è soprattutto presente nella poesia
moderna a cominciare dal suo capostipite Baudelaire. In Correspondance
Baudelaire afferma che a poesia parte come la scienza dall’osservazione della
natura, da cui si sviluppa il processo creativo della “poiesis”. La natura ci
offre quella che lui chiama “la foresta dei simboli”. Questi riferimenti
divengono così simboli del linguaggio poetico alla stregua della scienza che
opera anch’essa con un linguaggio simbolico. E’ indubbia questa corrispondenza,
semmai si potrebbe dire con Rimbaud “la scienza è troppo lenta” e la poesia
l’ha anticipata partendo addirittura dal sommo poeta Dante Alighieri quando
dice che “il sole e le altre stelle” sono mosse dall’amore, dandoci una sorta
di tentativo di teoria cosmologica. Ma sempre Rimbaud ci dice che la via sulla
quale camminano poesia e scienza è la stessa, è “l’appassionato inseguimento
del Reale” come diceva Oscar Milosz.
Ubaldo aveva perfettamente chiaro questo legame su
e su questa linea si stava muovendo nelle sue ultime liriche che sono la
conferma pregnante di questa visione e allo stesso tempo sublimi composizioni
di rara bellezza.
Non
voglio dire altro anche per non togliere spazio agli altri interventi e
soprattutto a quelli dei familiari, degli amici che sono intervenuti numerosi a
questa manifestazione. Ma soprattutto preferisco che parlino di lui le sue
poesie.
Franco Donatini
Lettura della poesia "Pisa"
Introduzione di Marco
Filippeschi, sindaco di Pisa
Lettura della poesia
"Isole"
M. Paola Ciccone, presidente
onoraria del Gruppo Internazionale di Lettura
“Ubaldo de Robertis e la sua
poesia”
Lettura della poesia
"Universo e gli anelli"
Franco Donatini, scrittore,
docente universitario
“Scienza e poesia, un connubio
felice”
Lettura della poesia "Io
che"
Sauro Pasini, ex-responsabile
del Centro Ricerca Enel
“Ricordo di un amico e di un
collega”
Lettura della poesia "Se
la luna fosse un aquilone"
Massimiliano Antonucci, poeta
“La condivisione di un
percorso poetico e umano”
Lettura della poesia
"Biscuit"
Conduce Maria Fantacci,
giornalista, direttrice del Fogliaccio
Letture Massimiliano Barsotti
e Carlo Michelassi, attore della Compagnia del delitto
Per l’occasione la Istos
Edizioni presenta in anteprima C’è Rembrandt fuori le Mura di San Paolo,
breve romanzo postumo di Ubaldo De Robertis scritto per la collana Centopagine.
Il ricavato dalla vendita del libro sarà devoluto al Gruppo
Scuola dell’Associazione San
Vincenzo de’ Paoli di Pisa
Interventi degli amici
presenti
Condivido quanto ascoltato all'incontro commemorativo ed aggiungo qualche riflessione per l'amicizia che mi legava ad Ubaldo unita alla profonda stima e ammirazone; concordo nell'affermare che nei suoi versi, ultimamente più densi e dilatati, si carpiva il nuovo, attraverso le incessnti domande e il pensiero filosofico di chi scrive analizzando le cose, osservando con occhio scientifico/poetico, quindi originale, il mondo. Era un cantore, Ubaldo,"canto il lamento dell'anima/che si scioglie dalle esecrate grate/per solcare instancabile l'infinito" (da Diomedee)che tra versi e prosa aveva la bontà di ascoltare gli scritti di amici (compresi i miei)e conversare amabilmente nel suo studio, zeppo di libri e di storia. Nella sua poesia, spesso mi sono specchiata e ritrovata, nella ricerca di un improbabile equilibrio tra realtà e sogno, perchè il poeta ama "uscire dalla propria natura/deporre l'anima per essere finalmente/immortale." (cit. da Diomedee). Ubaldo,per me che ho avuto la fortuna di incontrarlo e per tutti, ha lasciato un'immensa eredità... e per questo dobbiamo essere grati.
RispondiEliminaCristina Lastri