Osip Ėmil'evič Mandel'štam (1891-1938)
Poesia e libertà oltre la morte
dalla lettura di ottanta poesie
a cura di Remo Facciani
Giorgio Einaudi Editore
Ho pensato di introdurre con
alcuni versi gli elementi componenti della poesia di Osip Mandel'štam.
Notte, forse di me non hai
bisogno;
dalla voragine dell'universo
io – conchiglia vuota senza
perle – sono
gettato sulla tua proda,
riverso
…
e il vano della fragile
conchiglia
nido di un cuore ove nessuno
alloggia –
ricolmerai di schiuma che
bisbiglia,
ricolmerai di nebbia, vento e
pioggia…
1911
Tende l'udito una vela
sensibile,
lo sguardo si dilata e si fa
vuoto,
e afono varca un mare di
silenzio
il coro degli uccelli a
mezzanotte.
Io come la natura sono povero
e ho la semplicità che hanno
i cieli,
e la mia libertà è illusoria
come
le voci a mezzanotte, degli
uccelli.
1922
Bibliografia
Libri
– La quarta prosa. Sulla
poesia. Discorso su Dante. Viaggio in Armenia, trad di Maria Olsoufieva,
presentazione di Angelo Maria Ripellino, De Donato, Bari 1967.
– Viaggio in Armenia,
a cura di Serena Vitale, Adelphi, Milano 1988, 1996, 2002
– Cinquanta poesie, a
cura di Remo Faccani, Einaudi, Torino, 1998
– Sulla poesia, trad.
di Maria Olsoufieva, con due scritti di Angelo Maria Ripellino, nota di Fausto
Malcovati, Bompiani, Milano, 2003
– Ottanta poesie, a
cura di Remo Faccani, Einaudi, Torino 2009
– Il rumore del tempo e
altri scritti, a cura di Daniela Rizzi, Adelphi, Milano 2012
– La pietra, a cura di
Gianfranco Lauretano, Il Saggiatore, Milano 2014, 2018
– Quaderni di Voronež:
primo quaderno, a cura di Maurizia Calusio, Giometti & Antonello,
Macerata, 2017
– Quasi leggera morte.
Ottave, a cura di Serena Vitale, Adelphi, Milano 2017
– L'opera in versi, a
cura di Gario Zappi, Grometti & Antonello, Macerata 2018
– Epistolario. Lettere a
Nadja e agli altri (1907-1938), a cura di Maria Gatti Racah, Giometti &
Antonello, Macerata 2020.
Nel Box approfondimenti
un saggio di Alberto Frisia su Osip e Nadezhda
Mandel'štam.
O cielo, cielo, ti vedrò nei sogni
Non sarà mai che tu divenga
tenebra
e il giorno avvampi come un
bianco foglio
soltanto un po' di fumo e un
po' di cenere.
1911-1915?
Osip Ėmil'evič Mandel'štam
nasce a Varsavia che all'epoca era parte dell'impero russo, nel 1891 e dopo la
nascita, si trasferisce a Pavlosk presso Pietroburgo. Ebreo di nascita, nel
1911 in Finlandia si convertì al Cristianesimo metodista per poter accedere
all'Università russa vietata agli ebrei. Il padre commerciava in pellami e la
madre era pianista e insegnava musica. Dopo il diploma nel 1907 si trasferisce
a Parigi e frequenta la Sorbonne. I suoi primi versi sono del 1907-1909. Sempre
nel 1911 aderisce alla “Gilda dei poeti” e partecipa alla formazione
dell'acmeismo[1].
Gumil'ev, amico di Osip fu fucilato nel 1921 accusato di attività
controrivoluzionaria e la sua poesia fu vietata durante il regime sovietico.
Ancora, nel 1911 Mandel'štam pubblica la sua prima raccolta
di poesie: KAMEN' (Pietra). In Francia nel Cabaret del cane randagio legge
i suoi scritti e incontra A. Blok, Benedict Livsic e frequenta Marina Cvetaeva
ed Anna Acmatova. Un anno basilare nella vita di Osip è il 1919 a Kiev dove
incontra Nadežda Jakovlevna che diverrà sua moglie. Unico grande amore di Osip
nato in una notte di maggio, rimasta colpita dai versi di Osip pulsanti vita e
sensazioni esulanti la realtà quotidiana.
Uomo nato per la poesia e che, per la poesia, avrebbe
vissuto. Ma nel cuore di Osip, Nadežda era soltanto e soprattutto amore a un
livello che non può nemmeno immaginarsi.
Uniti nella passione e in quella idea di libertà che trova
il suo status nella parola. Parola che porterà emarginazione, persecuzioni,
conflitti. La sopravvivenza di Osip è dovuta alla moglie.
In un articolo di Repubblica del 14 giugno 2024 di Elisabetta
Rasy: “ Nadežda Mandel'štam contro Stalin - speranza e poesia", si parla
di lei. Non abbandonò Osip presente nella vita e oltre la sua morte; preziosa
custode delle sue poesie che imparava a memoria perché non andassero disperse.
Quando Nadežda muore nel 1980, Josif Brodskij la descrive così: “Degli
ottantuno anni della sua vita Nadežda Mandel'štam ne ha vissuti 19 come moglie
e quarantadue come vedova del più grande poeta russo di questo secolo Osip
Mandel'štam”[2].
Gli scritti di Osip e, tra questi, ricordiamo Viaggio in
Armenia provocano nuovi attacchi polemici della stampa sovietica. Osip si
sente prigioniero, colpito dalla menzogna; il fango lo ricopre. Per lui è come
vivere un sogno atroce e delirante. Nell'anno 1934 è arrestato per una poesia
dedicata al “montanaro del Cremlino” inserita nelle poesie di Mosca. L'arresto
avvenne nella notte tra il 13 e il 14 maggio del 1934. Osip non negò la
paternità del testo e, dopo l'arresto, si preparò ad essere fucilato. Bukharin
lo difese ed evitò la fucilazione ma fu deportato a Cherdyn - Russia orientale
e poi a Voronež. Riporto una versione italiana della poesia presente tratta da
un articolo di Luigia Sorrentino in Internet…
Poesia
Viviamo senza fiutare il
paese sotto di noi
i nostri discorsi non si
sentono a dieci passi
e dove c'è spazio per mezzo
discorso
là ricordano il montanaro
caucasico –
le sue dita sono grosse come
vermi
e le parole, del peso di un
pud sono veritiere,
ridono i baffetti di
scarafaggio
e brillano i suoi gambali.
E intorno a lui una marmaglia di capetti dal collo
sottile
si diletta dei servigi di
mezzi uomini,
chi fischia, chi miagola, chi
frigna
appena apre bocca e alza un
dito.
Come ferri di cavallo forgia
decreti su decreti.
a chi dà nell'inguine, a chi
sulla fronte, a chi nelle
sopracciglia, a chi negli
occhi
ogni morte è per lui una
immagine
e l'ampio petto di osseiano.
A Stalin di Osip Mandel'štam.
Segue dopo Voronež un nuovo arresto a Samaticha. Sottoposto
a lavori forzati… Il 12 ottobre dello stesso anno viene internato in un lager
di transito e muore il 27 dello stesso mese e viene sepolto in una fossa comune
vicino al lager Vtoraja Rečka dopo essere stato sempre insepolto assieme ad
altri. Alla moglie ritorna indietro un vaglia postale in cui è annotato: “A
causa della morte del destinatario”.
Raccontano che “era semiassiderato, rosicchiava zollette di
zucchero e accovacciato accanto a un immondezzaio, recitava brani della Divina
Commedia e del canzoniere del Petrarca”[3].
Non è semplice parlare della poesia di Osip Mandel'štam. La
mia conoscenza e il mio entusiasmo li devo alle traduzioni, non conoscendo la
lingua russa. Posso senza dubbio affermare che quelle di Remo Faccami del
volume su citato, mi hanno colpito profondamente per l'armoniosità dei versi
(quasi tutti resi in tetrapodia e tripodia giambica) per la scelta esaltante
delle parole, per la cura esplicativa dei contenuti.
“Un tonfo cauto e sordo - un frutto/ dal ramo si è staccato
via/ tra l'incessante melodia/ del bosco che riposa muto…”. 1918
Alla sensazione auditiva del distacco di un frutto dal ramo
segue un salmodiare del bosco che però è muto nel suo riposo. Il poeta è
consapevole della sua tristezza. Comprende che perderà la sua libertà,
irrinunciabile e silenzioso nella sua quiete e lo raffigura come “cristallo
della volta celeste inanimata”. Si rincorrono pallidi azzurri; è tutto vago
“come un piatto, su una porcellana/ un disegno. L'artista persegue il suo
istinto, vuole fortemente fissare quel momento e renderlo eterno anche se poi giungerà
la morte. Ogni respiro, ogni suo fiato si posa sui vetri dell'eternità.
Immagini immortali in cui immergersi e affondare. Forza della parola e musica
illuminata dal chiarore impazzito del giorno. Potenza della parola da lui
definita schiuma o afrodite che - rifluisce in musica. Per lui, insopprimibile
il valore della libertà anche se ha davanti il vuoto. Si, illusoria ma preziosa
la sua libertà “come le voci a mezzanotte degli uccelli”; un universo… malato e
strano e il vuoto come meta.
Al suo anelito di libertà la patria è indifferente. Lui,
solo, privo di colpa e sulla sua solitudine di esule “un cielo dallo strano
riverbero”. Il dolore dell'universo è nebbioso ma la nebbia, procurando
incertezza, allontana da lui quell'amore che distruggerà la sua vita. Lui è
come una conchiglia senza perle. La notte gli giacerà accanto ricolmando “la
sua fragilità di schiuma... di nebbia, vento e pioggia…”. Nei suoi sogni il
cielo non sarà mai tenebra: “…soltanto un po' di fumo e un po' di cenere”.
Chiaro il riferimento alle componenti della persecuzione degli ebrei. Lui ha il
cuore colmo di amore ma non può amare; solo sperare che arrivi “il giorno che
aspetto/ sento un aprirsi d'ala/ Sarà possibile?... se no tornerò dov'ero/
conclusi viaggio e tempo;/ là amare non potevo,/ qui amare mi spaventa…”.
Riporto due poesie
descrittive dell'ambiente russo (pag.33 e 37 del testo):
“Ammucchiano i portieri a
badilate/ la neve fresca nei quieti sobborghi; io tra mugicchi dalle barbe
folte, passo viandante a cui nessuno bada./ Balenan donne avvolte in
fazzoletti, cani bastardi ruzzano impetuosi,/ dei samovàr fiammeggiano le rose/
scarlatte in ogni casa e in ogni bettola”.
“Strette di mano a celebrare
un rito/ che vie strazia, nelle vie baci notturni/ mentre l'onda si fa greve
nel fiume/ e ardono come fiaccole i lampioni./ Lupo da fiaba è per noi la
morte/ e morirà prima di tutti io temo, colui che ha labbra di un vermiglio
inquieto/ e una frangetta spiovente sugli occhi.” Parla di lui?
Irreparabile è questa notte;
da voi continua a esser
chiaro in cielo.
Gerusalemme alle tue porte
hai visto levarsi il sole
nero.
Il sole giallo ancor più
spaventa
(ninna nanna: su, dormi!). Le
esequie
di mia madre nel chiaro
tempio
celebrano i figli della
Giudea..... (pag. 59 del testo). Ispirata dalla scomparsa della madre che lui
rivide solamente da morta. In questa poesia si affronta il tema ebraico. Il
colore giallo-nero. Il sole nero quando nasce il poeta; il sole giallo, le
esequie della madre. L'amore per la Russia congiunto a una notte che porta
vuoto e morte si riscontrano in questa poesia (pag.81):
Noi ci rincontreremo a
Pietroburgo,
quasi avessimo lì sepolto il
sole,
e per la prima volta la
parola
sul labbro ci verrà, beata,
assurda.
Nel nero velluto della notte
sovietica,
nel velluto del vuoto
universale,
cantano sempre i cari occhi
di donne beate,
sempre sbocciano fiori senza
morte…
Ci sono diverse poesie che sicuramente descrivono la sua
situazione di prigioniero:
Mi lavavo all'aperto ch'era
notte;
di grezze stelle ardeva il
firmamento.
Il loro raggio è sale a fior
d'ascia; la botte
colma, orli rasi, ghiaccia e
si rapprende…
Si disfa come sale nella
botte, una stella;
più buia è l'acqua gelida,
più pura
la morte, più salata la
sventura,
ed è più onesta e paurosa la
terra.
Pag. 85
Cosa ancora di lui ricordare? L'enorme nostalgia al ricordo
di un passato che non ritornerà:
…Ricorderai la dacia, la
vespa,
l'astuccio sporco
d'inchiostro
o i mirtilli che mai
raccogliesti
da bambino nel sottobosco.
(pag.103).
Sono tornato nella mia città
che conosco fino alle lacrime,
fino alle venuzze, alle
gonfie ghiandole dell'infanzia.
Sei tornato – e alla svelta
manda giù l'olio di merluzzo
dei lampioni riflessi nelle
acque di Leningrado…
Pietroburgo, non voglio
morire – non adesso:…
Pietroburgo su di me gli
indirizzi io porto
che mi fanno trovare le voci
dei morti…
(pag.105)
Tu non sei morto Osip perché
la tua poesia, fiaccola lucente, vive in noi per sempre!
Anna Vincitorio
[1] Dal greco acmé - nel culmine - movimento poetico russo nato intorno al 1913. Ne fecero parte A. Acmatova, M. Kuzmin, N. Grimil'ev e S. Gorodesckij. “Contrastavano il simbolismo preferendo la fedeltà del mondo tangibile. Si esalta l'universo dell'uomo. Si può anche parlare di adamismo. Nel movimento si trovano anche il vitalismo estetizzante di Gumil'ev e la poetica della Acmatova…” - Enciclopedia di Repubblica vol. 1° pag 133.
[2] Ibidem – pag. 99.
[3] I contenuti sono tratti da L'opera in versi – Giometti Antonello, Macerata 2018
Mi compiaccio per il contributo interessante e colto di A. Vincitorio. Aggiungo una poesia di O.M. a me carissima:
RispondiEliminaPerché l’anima
Perché l’anima è così melodiosa
e così pochi nomi amati
e un ritmo istantaneo – ascolta solo
l’inatteso Aquilone?
Solleverà una nuvola di polvere,
comincerà a fare un rumore di fogli di carta
e non tornerà mai più – o
tornerà completamente diverso…
O, vento largo di Orfeo,
te ne andavi verso i paesi marini –
e, accarezzando un mondo ancora non creato,
io dimenticavo l’inutile “io”.
Ho vagato in un bosco fitto di giocattoli
e ho scoperto una grotta celeste…
possibile che io sia proprio qui, ora
e che davvero arriverà la morte?
La poesia degli esordi di O. Mandel’stam è già incentrata su tematiche che verranno sviluppate autonomamente nel tempo, in particolare sul tema della memoria e su metafore leggere, diafane, che si uniscono in un discorso analogico e sullo stupore di sentimenti universali, come la domanda iniziale che invita perplessa all’evasione.
È il tema della poesia che caratterizza e salva il grande Mandel’stam: ”il vento largo di Orfeo”che vaga verso i paesi marini, portandolo in un” bosco fitto di giocattoli”, trovando rifugio in una “grotta celeste” che allontanerà la morte, la bruta realtà che ci distoglie dal sogno dell’armonia universale, dall’inutile ed ambizioso “ io” che in un nugolo di polvere fa solo rumore, distogliendo il poeta dalla felicità primigenia, quella dell’anima.
È questa per O. M. la stagione del manifesto dell’acmeismo e della frattura con la precedente tradizione simbolista russa: la poesia si apre a un’inedita fluidità e a immagini concrete di grande melodia e implicita ricca cultura. Ricorda pensieri e atmosfere che compariranno in "Fedosia", dove M. coglie nel modo più intenso il legame col mondo di luci mediterranee. Sembra quasi anticipare l’immagine della Crimea che evoca in lui quella della antica Tauride greca.
(traduzione di Fiamma Giuliani) Osip Mandel’štam
(1911; da “Kamen’”, “Pietra”, 1913)