<RIBALTAMENTI>
Democrazia dell’Archè e Assolutismi della dea
Ragione
di Franco Campegiani
Presentazione
per la Rassegna IPLAC - Enoteca Letteraria
Roma
14 ottobre 2017
«Se
Dio non c’è, tutto è possibile» quest’affermazione sintetizza l’atteggiamento
etico nichilista, razionalista, di Ivan Karamazov, nel dialogo che egli ha col
fratello Alëša, che
introduce a “Il Grande Inquisitore”, dal famoso romanzo “I Fratelli Karamazov”
di Fëdor Dostoevskij. “Il Grande Inquisitore”
è una metafora inventata dallo stesso Ivan,
ambientata nella Spagna ai tempi
dell’Inquisizione, in cui si parla del ritorno di Cristo sulla terra dopo
quindici secoli dalla morte. Gesù ricompare senza clamori, in incognito, ma è
inspiegabilmente riconosciuto da tutti. Il popolo lo acclama di nuovo come
salvatore; tuttavia, egli viene subito arrestato dal Grande Inquisitore, un
attimo dopo aver resuscitato una bambina. Il Grande inquisitore si reca nelle
prigioni dove è rinchiuso Cristo e gli comunica la sua condanna a morte,
dichiarandolo colpevole di aver seminato disordine, ché il popolo non sa che
farsene di una follia irrealizzabile come la libertà. Il Grande Inquisitore spiega a Cristo che,
per il quieto vivere, è necessaria un'autorità forte, quella appunto da lui
rappresentata, capace di dare al popolo i suoi veri bisogni materiali,
pretendendo obbedienza, in modo che sia realmente felice. L'Inquisitore termina
il suo discorso comunicando al condannato che non lo teme, che la sua
esecuzione avverrà l'indomani e che il popolo ne gioirà; attende poi una
replica a quanto ha detto. Cristo rimane sempre in silenzio e, come unica
risposta, si avvicina al vecchio Inquisitore e lo bacia sulle sue vecchie labbra esangui. « Il vecchio sussulta…va verso la
porta, l'apre e gli dice: "Vattene e non venire più... mai più, mai
più!" E lo lascia andare per le oscure vie della città ».
Questa lunga premessa, ispirata al genio letterario di Dostoevskij, è per sottolineare come in arte, oltre che in filosofia, in teologia ed in
altri ambiti del pensiero, sia dibattuto e di scottante attualità il tema
dell’allontanamento del sacro dalla coscienza dell’uomo. E’ la “morte di Dio”,
annunciata da Nietzsche assieme alla fine delle illusioni metafisiche, che
segna, di contro, la nascita del “superuomo”; ma, a
mio avviso, la scomparsa del divino può essere ricondotta anche all’occultamento
volontario della spiritualità che prende avvio con la rinuncia dell’individuo
al dialogo interiore. L’essere umano, dietro la spinta del convenzionalismo e
dell’omologazione, frutti della Rivoluzione Industriale, ha collocato la
ragione su di un piedistallo di arrogante supremazia e quindi non parla più con
il se stesso immateriale, non cerca più il contatto con l’irrazionale, con il
proprio alter-ego, con il divino. Questo è uno dei temi focali di <Ribaltamenti>,
il nuovo saggio filosofico di Franco Campegiani, che ho l’onore di presentare,
insieme a Sandro Angelucci, in questa prestigiosa cornice firmata IPLAC ed
Enoteca Letteraria. Proseguo con le parole dell’Autore:
<Ascoltare noi stessi
significa contattare la nostra libertà, la nostra facoltà di essere quello che
siamo secondo costituzione divina o cosmica. Certo, noi non potremo mai essere
totalmente liberi, considerati gli ingombranti condizionamenti in cui viviamo,
ma possiamo tendere verso quella libertà, superando le tentazioni del libero
arbitrio che ci vuole schiavi di noi stessi. Scegliere secondo coscienza
dunque. Ovvero scegliere l’essere che siamo, scegliere di non scegliere. E ciò,
in fondo, accomuna l’uomo ad ogni altra creatura vivente la quale gli è
inferiore perché non ha la possibilità di sperimentarsi come persona, ma gli è superiore in quanto non conosce
le deviazioni della persona stessa,
che spesso pensa alla libertà come affrancamento dalla propria natura>.
<Ribaltamenti>
non è soltanto un testo letterario ma anche, e soprattutto, un’esperienza di
vita, un percorso spirituale. Quest’opera di pensiero, originale, nasce dalla
necessità dell'autore di realizzare se stesso attraverso un dialogo interiore
mai interrotto, ostinato direi, alla ricerca del proprio pensiero profondo,
puro, non contaminato dai convenzionalismi, libero dalle sovrastrutture sociali
e culturali. Un impegno non da poco. Ma comprendere quelle regole, quei
principi spirituali impressi dentro se stesso e riconoscerli in ogni individuo,
come in ogni essere vivente, non basta: bisogna applicarle quelle norme.
Infatti, qualsiasi pensiero per quanto illuminato e persuasivo, se non è
seguito da un’azione corrispondente, un comportamento coerente, resta nel
migliore dei casi un puro esercizio intellettualistico, dell’ottima ginnastica
mentale, utile forse a superare blocchi psicologici, smarrimenti momentanei
della ragione. Non è certo il caso di Campegiani, che per essere in linea con
le proprie convinzioni, ha operato nella vita scelte non facili, come per
esempio, negli anni settanta – quando la maggior parte dei giovani come lui
abbandonava il lavoro dei campi per quello d’ufficio – egli contravvenendo ai
consigli paterni, e non soltanto a quelli, rinunciò al posto in banca per
andare a fare il viticoltore. Torniamo al testo.
Dunque
la prima cosa che ci può colpire di <Ribaltamenti>, intendo dell'oggetto
libro, è che si presenta come un volumetto snello, esteriormente simile a
tanti, ma appena se ne inizia la lettura sorprende la densità dei contenuti, il
rigore argomentativo, mitigato tuttavia da una rara grazia espositiva, che
spesso si avvale dell'immagine poetica, della metafora, dell'ossimoro. Sono 170
pagine dense di riflessioni e suggestioni, quasi un compendio del pensiero
dell'umanità, dalla notte dei tempi ai giorni nostri. Emerge il continuo
confrontarsi di Campegiani con l’evoluzione, o involuzione, del pensiero più
rappresentativo. Dell’epoca, o dell'argomento filosofico preso in esame - senza
pregiudizi, con uno sguardo asciutto e neutrale, secondo un metodo originale
d’indagine - ci restituisce un modello filosofico “visivo”, quasi tangibile,
utilizzando una forma letteraria accessibile al pubblico più vasto. Con questo
non voglio dire che la lettura di <Ribaltamenti> sia paragonabile a
quella di un racconto, il libro è comunque un saggio di natura filosofica, che
richiede un minimo di attenzione, di concentrazione, ma non esige, a mio
avviso, particolari prerequisiti, è sufficiente la curiosità letteraria e “amare la comunicazione fine a se stessa ”,
come scrive l’autore nell'esergo che anticipa la prefazione al testo.
Soffermandoci attentamente su alcune pagine, riusciamo a distinguere una sorta
di tracciato e mentre leggiamo all’improvviso compare una filigrana, la
mappatura di un territorio attraverso il quale il lettore è libero di scegliere
il percorso tematico maggiormente in linea con i propri interessi, siano
essi di natura sociologica, o antropologica,
piuttosto che storica o filosofica.
Propongo
alcune riflessioni dell’autore.
<Con la Rivoluzione
Francese, innestata alla già fiorente rivoluzione industriale, prese avvio la
morte del popolo, immolato sull’altare della società di massa dei tempi
attuali. Dalla distinzione dell’uomo dalle cose durata in secoli, millenni di
razionalismo, si arriva al novecento, all’irrazionalismo affermatosi in ogni
ambito della cultura (ivi compreso l’ambito scientifico tecnologico). Dove
l’intellettualismo dei secoli passati aveva fatto dell’uomo il despota del
creato, il vitalismo contemporaneo è approdato a una sorta di reciproca
fagocitazione. L’uomo ottiene il dominio del mondo a patto di rinunciare a se
stesso e di lasciarsene sopraffare. E’iniziato così il processo di
massificazione, dell’omologazione e del totalitarismo, la storia del pensiero
unico sviluppatosi dai semi del razionalismo antico, che ha trovato
nell’odierna globalizzazione la sua realizzazione ottimale. Il villaggio
globale mette forzatamente l’una accanto all’altra le varie culture, si vengono
così a creare situazioni di attrito che spesso sfociano in azioni violente>.
Prosegue
Campegiani:
<La relativizzazione dei
valori cancella ogni illusione sulla possibilità di trovare punti di
riferimento assoluti nel piano orizzontale della cultura. Questa consapevolezza
dovrebbe spingere l’individuo verso l’analisi interiore, verticalmente tesa
alla ricerca di valori assoluti dentro se stessi, anziché nell’esteriorità.
L’individuo non è una monade,
in altre parole un’unità indistinta della massa umana, è un soggetto, ma anche
oggetto, di esperienze, di relazioni, a partire però dalla relazione con se
stesso. Se salta questo primo anello, salta tutta intera la catena relazionale
e i contatti sociali si fanno inautentici>. Così
dicendo l’Autore ci mette in guardia dal pericolo di noi stessi.
Gianni
Vattimo, in accordo con altri autorevoli filosofi contemporanei, ha configurato
il cosiddetto pensiero debole nel quale viviamo, in virtù dei suoi caratteri
elastici, dinamici e liberi dai punti fermi del moralismo antico, in
alternativa al pensiero forte e dogmatico che per secoli o millenni ha dominato
nelle culture umane. In questo contesto s’inserisce la scomparsa di Dio,
riallacciandomi a quanto detto in apertura. La fuoriuscita del sacro dall’umanità,
è un argomento di cui è imbevuta la cultura contemporanea e sul quale
Dostoevskij si è soffermato più volte, ma senza scomodare ulteriormente il
grande scrittore russo, più vicino a noi troviamo Pasolini che descrisse
lucidamente le cause della desacralizzazione e ne profetizzò gli effetti.
L’uomo ha abbandonato il sacro, o meglio, ha spostato il proprio interesse da
ciò che riteneva un tempo essere il sacro – valori come la religione, la
natura, la famiglia, il rispetto dell’altro, la parola data, eccetera –
dirottando questo sentimento verso il denaro, la scienza, la tecnologia. Ma il
sacro non ha mai abbandonato l’umano, siamo noi che l’abbiamo ricacciato nei
più profondi recessi della nostra anima, come fosse un elemento da estirpare,
da rimuovere, perché ci chiede di fare cose sproporzionate alle nostre
capacità, ci chiede di metterci continuamente in gioco, ci chiede di essere
liberi, ci chiede di esporci anche a rischio della nostra incolumità. Ci chiede di essere umani, ma per la maggior
parte di noi questo è troppo.
<…dobbiamo iniziare da noi
stessi, cercando la nostra essenza, quel pensiero che ci pensa, dal quale siamo
pensati e che è, in fondo, il nostro stesso pensiero extracorporeo,
sovra-razionale, al di fuori degli schemi, diverso dal pensiero che noi
pensiamo e che scaturisce da noi, dalla nostra scatola cranica, eminentemente
razionale, plagiata dai pregiudizi e dalle sovrastrutture culturali>.
Le
ricerca scientifica contemporanea ci rivela dettagli sconcertanti della natura,
spesso molto lontani dalla reale esperienza del quotidiano, che credo siano
utili per capire anche fenomeni come la comunicazione tra se stessi e il
proprio alter-ego, ovvero il rapportarsi del cervello materiale con la nostra
natura spirituale, immateriale, pura energia. Per esempio: dalla teoria della
relatività di Albert Einstein apprendiamo che tempo spazio e gravitazione non
hanno un’esistenza separata, vale a dire che stanno in relazione tra di loro,
quindi, il tempo, per esempio, non ha un valore assoluto. Ancora: “Gli oggetti
in movimento creano increspature dello spazio-tempo, ossia onde
gravitazionali. Richard Feynman, premio
Nobel nel 1965 per la Fisica dello sviluppo della teoria dell’elettrodinamica
quantistica (QED), dopo numerosi esperimenti nei quali particelle subatomiche
percorrevano lo spazio procedendo avanti e indietro nel tempo, dichiarò che “la
meccanica quantistica descrive la natura come qualcosa di assurdo per il senso
comune”. In base alla ultime scoperte
della fisica quantistica e delle neuroscienze, alcuni ricercatori
sono giunti a postulare l’esistenza di un nucleo di energia, una forza
originale e individualizzata, esterna alla materia cerebrale (quel pensiero che ci pensa)“…omissis… che
influisce notevolmente sul mantenimento della salute e sullo svolgimento del
programma di vita”…dalla quarta di copertina del saggio “La dimensione
onto-psiscosomatica” di Francesco Facchini psicologo-psicoterapeuta, Armando
Editore 2005.
Concludo
con questo breve brano tratto fa una recente comunicazione di Mario
Silvestrini, con il proprio alter-ego.“L'eco è l'alter
ego. Questo dovrebbe l'atomo incarnato ascoltare. Mettersi in aperta campagna,
urlare e risentirsi. Questo è l'alter ego, una riflessione immediata,
simultanea. Ecco che la mente si apre, si dona ai raggi del sole, alla
campagna, al profumo dei fiori, al canto del gallo, al fischio dei merli.
Un'esplosione di allegria, di gioia, che l'atomo in quel momento, nella sua
esaltazione vera, scaglia al centro dell'Universo. Ed ecco che Madre Terra,
gioiosa come mamma, si commuove nel vedere questo suo figlio ricoprirsi di
lussureggiante verde mentale”.
Pio Ciuffarella
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