mercoledì 22 novembre 2023

Lettura della silloge “Fiore di vetro” di Stefano Massetani a cura di Patrizia Stefanelli

 

L’amore è un bisogno? è illusione, corpo, realtà o sogno?

 La poesia che intitola la silloge e la apre, Fiore di vetro, evoca immediatamente in ogni lettore la parvenza di una fragilità preziosa, la vulnerabilità e la delicatezza dell’amore. Un amore che “al soffio del tempo” è diventato scheggia che ferisce la carne. La delicatezza ferisce in un ossimoro crudele in cui il dolore si palesa. L’uomo/poeta non ha più lacrime, accetta di conservare “i resti di questo fiore di vetro” nella sua nostalgica visione con profonda premura. La stessa premura che gli consente una grande intimità, sempre elegante e lieve. Lei dorme, lui la guarda e respira il suo respiro. Corpo e anima sono uniti (Ti ho guardata pag.13).

Desiderio e consapevolezza dell’amore che si perde, sembrano viaggiare all’unisono cercando il   punto di congiunzione tra l’inizio e la fine. Eros e Thanatos lavorano in continua reciproca tensione riuscendo a tenere in equilibrio il piacere amoroso e la malinconia vera o presunta della perdita: “Quando la luce del nostro sole volgerà al tramonto…”; “basterà la speranza di un solo tuo sorriso, ed io ci sarò.” (Io ci sarò pag. 15).

Credo che la poesia di Stefano Massetani, adottando un linguaggio espressivo efficace, riesca a far obliare alcune delle stranezze compositive attuali, spesso senza alcun costrutto o evocazione. Al di là della retorica su quanto e come debba “arrivare” una poesia, a quali materne radici debba allattarsi il verso, questa poesia supera, con la sua semplicità, attraverso regole semantiche e sintattiche e con l’eleganza del sentimento, ogni plausibile divergenza strutturale. Il suo è un linguaggio che coniuga realtà e simbolo con preziose analogie: “È stato come pioggia fredda che ti sorprende senza scampo in mezzo alla campagna.” (L’abbandono pag. 18). Il suo stile di scrittura combina il linguaggio poetico, che è fatto di musicalità e immagini, alla narrazione riuscendo a coinvolgere emotivamente il lettore. S. Massetani usa la lingua colloquiale quotidiana ricca di metafore e di correlativi oggettivi, così come ci insegna T. S. Eliot, per parlarci d’amore. C’è bisogno di poesie d’amore. Di un amore che rispetti le scelte dell’altro, che si slarghi oltre i confini dell’ego in un’osservazione che si fa ascolto dei particolari. Questa sinestesia è evidente nella poesia “Controluce” in cui  la luce del sole è il correlativo oggettivo della conoscenza. Ma la conoscenza è frugale e limitata; così come la notte segue il giorno essa lascia l’esperienza interna del Nostro e poi ritorna per altri luoghi, per anafore ed epifore: “quella luce che mi illuminava il passo,/ ma che ormai si allontana,/ lasciandomi in penombra, con gli occhi gonfi, /sconfitto come un pugile al tappeto e solo,/ infinitamente solo,/ come soltanto io so di essere.” (Giorno dopo giorno pag. 35). E ancora: “Quando ho capito che anche l’amore può morire,/ ho visto il sole spegnersi all’improvviso,/ ed ogni riverbero di luce sparire…” (Anche l’amore può morire pag. 45). Nella sua poetica il tema dello sguardo è onnipresente a significare la solitudine interiore; l’io lirico riflette e narra l’essenza percepita del mondo: “La luce dell’alba che sorge alle mie spalle,/ riduce, inesorabile,/ tutte le ombre del mondo che appare davanti agli occhi.” (Impronte sulla sabbia pag. 38).

 La poiesis procede per immagini che sono parole e prendono vita da una memoria primigenia interagente con esse, anche in contraddizione. È così che si creano le figure fondanti la composizione poetica: “Si mescolano e cozzano tra loro, nel vano tentativo di uscir fuori,/col crepito sordo che fanno i sassi agitati in un barattolo.” ( Le parole non dette pag.27).

Il climax delle poesie che vanno a chiudere questa raccolta sorprende nelle chiuse. Ad un incipit crudo in cui  la consapevolezza della perdita, esperienza universale, conchiude il senso del vuoto e del lutto amoroso, subentrano tentativi di rinascita e la speranza di andare avanti nonostante il dolore personificato dalla polvere [lenta ed inesorabile…]  che si posa,  nei versi di Voglio innamorarmi ancora.

 

 

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