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GUIDO
MIANO EDITORE
NOVITÀ
EDITORIALE
È uscito il
libro di poesie:
SCORIE d’ESPERIENZA di FRANCESCO ROSSI
con prefazione di Floriano Romboli
Pubblicata la raccolta
poetica dal titolo “Scorie d’esperienza” di
Francesco Rossi, con prefazione di Floriano Romboli, nella prestigiosa collana “Alcyone
2000”, Guido Miano Editore, Milano 2022.
Dare un senso alla vita: il coraggio, la
fatica e la rabbia di un poeta
Si ritiene generalmente
tramontata l’idea, legata in special modo alla stagione estetica e critica del
Romanticismo, secondo la quale l’arte coinciderebbe con l’immediatezza
intuitiva, farebbe tutt’uno con la schiettezza e la spontaneità
fantastico-sentimentale, e sarebbe tanto maggiormente coinvolgente e riuscita,
quanto meno appesantita da ingombranti bardature intellettualistiche, quanto
meno subordinata a estrinseche finalità ideologiche, ad astratti presupposti
culturalistici.
A ben vedere da sempre la
poesia è sublimazione di cultura, frutto di attenta elaborazione
stilistico-formale, occasione privilegiata per un confronto ponderato e
sollecitante con figure e opere della tradizione storica e letteraria coeva o
passata, momento impegnativo di una aemulatio
rivolta alla precisazione di un nuovo punto di vista, alla prospettazione di
opzioni ideal-problematiche diverse.
Infatti non casualmente la
prima sezione della raccolta consiste nel richiamo sistematico a titoli della
produzione lirica di Pier Paolo Pasolini menzionati nella loro specificità
referenziale, da Le ceneri di Gramsci
(1957) a L’usignolo della Chiesa
Cattolica (1958), da La religione del
mio tempo (1961) a Poesia in forma di
rosa (1964) a Trasumanar e organizzar
(1971); a Francesco Rossi lo scrittore di Casarsa appare intimamente
contraddittorio, diviso fra il rigore della razionalità argomentativa e la
passionalità immedesimante, istintivamente e vivamente partecipativa: «…/ In
teatro strenuo s’esibisce / il voler che il viscere lacerato, / l’intelletto e
il sentire rappresenta. // Vasta delle esistenze la distesa, / il brulicare di
vite e passioni / onde il cerebro la tragedia incarna. /…» (A miglior vate le ceneri…).
Soccorrono dei versi
compresi nel poemetto eponimo del primo libro pasoliniano rammentato poco
sopra: «Mi chiederai tu, morto disadorno, / d’abbandonare questa disperata/passione di essere nel mondo?» (corsivo mio, come sempre in
seguito); il nostro autore vi si richiama esplicitamente («…/ Disperata
vitalità s’afferma / il valore del personale obiètto, / onde nell’Inferno / si
brucia e perde / d’autostrade e di città degradate, / burelle orrende al
brulicare ostesse. /…», Trasumanar in
forma d’inerte rosa…) e ne fa spunto per un interessante approfondimento
della contraddizione alla quale si è fatto cenno: Pasolini è testimone invero
vigile («…/ ma nella condizione fuor di speme / s’assedia al proprio tempo il
Testimone, / scontrosa erma di corrucciato orgoglio / contro il reo disperdere
armonia», La religione del tempo),
non nasconde la propria forte vocazione pedagogica: «Smania il Poeta di parlare
al mondo, / di raccontare, di offrire se stesso, / a un contesto sociale di
valori! // Religioso oscuro cerimoniale, / lugubre cattolico sensuale / per
l’ossessione di barocca tinta, / involve ìtere d’Ideologia, / dai riti della
tradizione avita, / attraverso la colpa per il vizio, / fino alla scoperta
d’agito Vero. /…» (L’usignolo che stonato
canta…); nondimeno approda infine a una condizione di disorientamento, di
ripiegamento etico-intellettuale, di scacco: «L’abiura scocca come al giovanile
/ errore, al mondo perso d’ideali, / belle bandiere per sempre vanite. //
Rimorde allor l’oratoria all’impegno, / trasumanar organizza l’esistenza, /
flusso che non s’arresta al personale / d’occasioni e d’incontri all’abbandono,
/ polemica riflessa condizione / di qual difficile uman sia salto» (Trasumanar in forma d’inerte rosa…, op.
cit.).
Anche la riflessione sulla
passione, sulla morte e sulla resurrezione del Cristo è svolta da Rossi sotto
il “segno della contraddizione”, ricondotta fin dall’inizio alla duplice natura
– umana e divina – del Redentore; l’ultima fase della vita di Gesù è seguita
con interesse e ammirazione in componimenti caratterizzati da un maggiore
respiro narrativo: «Primo caso dell’animo divino:
/ lo spirito umano incespica in dosso
/ di debole resistenza all’errore, / errare in qualità di pellegrino / verso il
sacrario della sofferenza, / Gòlgota pei tormenti della carne, / non per
rinunciare alla divinità. // Un sentiero intricato di minacce / è quel che fa
da scorta al condannato, / salutato da beffe e acclamazioni: / “Chi sarà questo
re che il boia serve, / che porta gli arnesi del mestier truce, / il legno non
piallato della colpa…”» (Cristo cade la
prima volta).
La vicenda del Salvatore
implica la determinazione di un gioco di forze contrastanti e soprattutto si
risolve in un rovesciamento delle precedenti, consolidate tavole di valori: «…/
Stoltezza per i sapienti e sapienza / per i fedeli nell’ispirazione / del muto
ostendere assenza di nuovo / prodigio dell’indeterminazione, / di quanto il
silenzio sorpassi il tempo / e lo riduca a norma di passione / per specie d’intelligenza
in azione! /…» (Cristo cade la
seconda volta). L’ultimo corsivo sottintende la sottolineatura di un
concetto ben focalizzato dallo scrittore nella sua rilevanza basilare: il
sacrificio del Figlio di Dio, meditato altresì alla luce del formulario del
latino sapienziale («…/ nomine ex salute
totìus mundi, / spiritu ex Uniusgeniti rege. /…», Cristo crocifisso), ha consentito la via della salvezza; tuttavia
può solo valorizzare, ma non sostituire la positiva cooperazione individuale e
collettiva degli uomini celebrata mediante il ricorso all’antitesi “buio/luce”: «…/ Ecco,
sulla croce Vittima asperge / del suo sangue e il carnefice immerge / nel bagno
lustral della confessione, / lavacro spirituale di Umiltà / che ciò che salva
l’uomo è la Verità, / il mistero della Nuova Libertà / quel miracolo mostrato
d’ovvietà, / disarmata docile insegna Vita, / lume che arde quando il sole si spegne / sulla Terra d’esperita identità / di ragione, che a sé
prova domanda / e si rimette al dubbio dell’assurdo, / tenebra che splendore d’astro
schiude» (ivi).
Come credo che risulti pur
dalle limitate citazioni proposte, i testi compresi nella silloge Scorie d’esperienza sono contraddistinti
da un linguaggio cόlto e ricercato. Ne è
indizio palese innanzitutto l’aulicismo lessicale quale, ad esempio, si
riscontra in passi come questi: «…/ Nel poema coevo religioso / mòlce la
purezza della Natura, / incontaminato animo a passione / …» (La religione del tempo, op. cit.); «…/
non per contesa rivolta a uno stupro / santificata con sangue ferace / che alla
fauce sconta la sua preda, / ma perché s’assida senza cesura / di plasmata
vicenda in funerale / la trasposizione della Verità / in iconòstasi di
celebrata / tra primordia in deposta
deformità /…» (Cristo cade la terza volta,
cors. nel testo); «…/ Il cristallo dell’azzurro non si apre / al miracolo del
senza confine, / pèlago d’acquòrea indistinzione / in spazi colorati d’opinione
/ perché le fughe della prospettiva / sono una benché misera attrattiva / al
pensiero che tenta di scalare / le cime in precipizio ascensionale…» (Il cielo della Marca); «Tutto quanto è
tornato come prima: / che qualche avanzo di liberalismo / sfiorisse pria del
suo rigoglio / e fosse obrùto dalla
reazione / di mastini addestrati alla battaglia. /…» (Grazia privata, cors. nel testo); oppure lo attesta una sintassi non
lineare, rallentata e icasticamente tesa dall’anastrofe o dall’organizzazione nominale del discorso lirico: «…/
repentina vicenda di conquista, / rivoluzione di costumi regi / svirilizzati al
dominio dei servi / ribelli a dell’eleganza autorità. // Sotto il lucernario
della memoria / una fiaccola flebile il silenzio / accende d’ombre…» (Decadenza infra la storia); «…//
Stinto l’incanto del nativo mondo, / luminosi paesaggi, figure / di natura e
umane specie solari, / ma anche inquietanti forme minacciose…!» (Predicatore visionario).
Vorrei d’altra parte porre
in risalto la vivace inventività linguistica connaturata allo stile compositivo
del poeta marchigiano incline a significative arditezze sintagmatiche, a
inattese soluzioni combinatorie, a mix sorprendenti:
«Non avrei mai più pensato che l’odio / fosse un’anima d’acciaio, corazza /
loricata sul viver quotidiano, / sulle incombenze del sèrmo ordinario / che sconta la sua ripetizione. //…// Viva allora
l’alieno che dentro me / arde e prospera muto per un gesto / che al cògito risulti solutore /…» (Poltrone su misura).
In siffatti procedimenti
formali è insito il rischio della costruzione intellettualistica sterile e
meccanicizzante, una situazione che l’autore sa spesso evitare attraverso
l’impiego intelligente dell’enjambement
(«La libertà s’attende dopo un lungo /
patire fatto dalla costrizione /
attraverso un calvario di dolore, /…// Dove finisce il pianto e inizia il lieto / sollevare il calice del dovere, / se il veleno che si beve risana /
e il filtro del benessere ci perde / in fondo al suo contrario di sempre, / più
che ora esteso in vero di profondo / gorgheggio su volute d’alchimia? //…» (Cristo incontra la madre); «…/ Globi,
sfere d’edenica autorità / disegnano geometrica un’era, / la strada coi lampioni
che fan luce / sulle illusioni della giovinezza, / il ciclo che si chiude della
sagra / paesana, carnevale e rivista / dell’umanità che si pavoneggia / e
si trastulla nella sua infanzia, / la prova generale d’un maturo / salto al
trapezio in ordine di fila» (“Amarcòrd” (Vita allo schermo)) e di un sistema di rime in grado di assicurare varietà e ritmicità alla
versificazione: «Non vedo prospettive definite / in questa particella di
meschina / approssimata al civile decoro / figura in sagoma di sciatteria. //
Il bellimbusto del can da guardiano / è un avviso a chi entra a stare lontano,
/ ché non morde, ma il puzzo sa di strano / corrotto ventrume da deretano. //
Eppure lo si misura cereo / come un bassorilievo intirizzito, / come un anello
incorporato al dito / che non si scalza se non amputato, / che non si schioda
se non imputato. /…». Ho citato da Attenti
al cane!, un componimento ben indicativo dell’animus complessivo della terza parte del volume intitolata Ozio di Marca e sovente contrassegnata
da una chiara nota polemica. Le liriche di questa sezione sono il risultato di
una considerazione libera e penetrante della realtà naturale e storica (persino
dell’attualità), corrispondono a molteplici, differenti momenti della
puntualizzazione di una vision du monde,
all’interno della quale è vibrante la protesta contro l’ipocrisia
dell’ufficialità meschina e ingannatrice, contro l’impostura pseudo-ideologica
e l’imbroglio passivamente accettato dal conformismo di comodo, da sempre
nemico dell’autenticità
culturale-morale.
Non è possibile nell’àmbito,
di necessità limitato, di una nota prefatoria seguire l’ampia articolazione
tematica della ricerca artistico-letteraria di Rossi, che spazia da episodî più antichi a vicende recenti (dal ricordo
del martirio di Giacomo Matteotti per mano di sicarî fascisti alla strage di
via Rasella durante il secondo conflitto mondiale, dall’assassinio di Aldo Moro
alle gesta criminali del terrorismo al “caso” drammatico di Enzo Tortora): il
tono è di frequente indignato («…/ L’indignatio
sarebbe troppo forte / anche per un Giovenale dal pelo / corto…» (Poltrone su misura, op. cit.), e dinanzi
alla problematica politico-sociale la resa stilistica conosce esiti di vivace
espressionismo: «…/ Giù allora quella maschera deforme / che vi occulta il
volto, ma il deretano / è troppo tardi per rifarlo sano, / dopo virtuosi agoni
all’imbottitura / col decoro del Popolo Sovrano / e la speme in Progresso del
villano / che fidava almen nel Comune pagano! /…» (Un posto a tutti!). Lo scrittore dà poi di sé una definizione che
solo parzialmente mi persuade: «…// Sono acuminato d’indifferenza: / per questo
forse il tempo e il luogo sferza / come al solito chi non ha tendenza / a
specchiarsi nel fonte di narciso /…» (Loco
metafisico); mi trovo d’accordo circa la notevole acutezza
dell’osservatore, meno relativamente all’indifferenza: questa non si esaurisce
nella presa di distanza dal malvezzo del narcisismo, bensì coesiste con una
spiccata passione intellettuale che alimenta la vena filosofica della sua poesia, metodicamente e criticamente rivolta
alla ricognizione coraggiosa dei dati dell’esperienza storico-umana e della
vita naturale, di cui sa apprezzare fin dall’inizio lo stimolante vitalismo: «…/ Guardia d’un passato che non conosce / specchio della Natura che la
investe, / insegna del rigoglio che la impone / la quercia espande il suo
“Serro” al Tempo, / il suo mistero all’esposizione, / all’aere denso d’ogni
vapore / che s’intride ai muscoli del robore, / corteccia che un’anima tende al
cuore / della pianta che è legno linfa umore, /…/ anche se un seme contiene
potenza / che non muta, ma cresce distanza, / e la forma è tutta in propria
esperienza…!» (Chioma di maestoso legno).
Ad ogni modo il rigore analitico dell’autore coglie il tratto sfuggente e
labirintico dell’ordine delle cose, che induce in lui un atteggiamento di
ineludibile, costituzionale perplessità cognitiva e assiologica:
«Non sono più neanche una funzione; / chi potrà salvarmi seriamente? / Mi trovo
sempre al punto di partenza, / ogni volta Sisifo dell’umiltà / a scalare pareti
immaginarie, / la lubrica mediana tonalità / che inclina la luna calante
d’ombra / della mia inesperienza globale. //…// Forse vari pesi e varie misure
/ posson cambiare il corso della vita / oppure è l’esistenza che rilutta / alla
sua macra definizione, / anziché evento riveli possanza / di sua incoercibile
frequenza…? //…» (Metro scazonte).
La fondamentale ambivalenza del vivere permea
altresì la sensibilità estetica, il lavoro poetico; e all’enfatica
caratterizzazione positiva segue il dubbio riduttivo e limitante: «Un poeta non
nasce e non muore mai, / vive nell’Eterno a se stesso eterno, / oltre il fisico
decadere esperto / di malanni, ma non della coscienza, / non dell’animo che
apre all’esistenza. //…/ Non stimo la scrittura, o Poetessa, / o voce del
nostro poetico evo; / non mi ritengo un vate, ma non vedo / come possa la
Poesia un credo / rivelare, un Vangelo dalle note / con una disarmonia per
tempo, / come il braccio che non tiene séguito / al nervo panico da epilessia.
//…» (La veste del poeta).
Floriano Romboli
L’AUTORE
Francesco
Rossi è nato nel 1973 a Jesi (AN); nel 1997 si è laureato in Lettere Classiche
presso l’Università degli Studi di Perugia. È docente di Materie Letterarie e
Latino c/o il Liceo Scientifico Leonardo da Vinci di Jesi (AN). Ha al suo
attivo in campo letterario le seguenti pubblicazioni: Controcanto pasoliniano (antologia poetica); Il cerchio dell’ombra (antologia poetica), 2010; CredereRicordareRiflettere!
(romanzo storico), 2010; Eccezioni del
tempo (racconti), 2011; Il gigante di
Dio (antologia poetica), 2012; La
divisa del prefetto (romanzo storico), 2012; Immemoriale (romanzo autobiografico), 2012; Proprietà transitiva. Autobiografia su commissione (romanzo
autobiografico), 2015; Anch’io sono
figlio della Crisi (romanzo autobiografico), 2015; L’assalto al treno e oltre (romanzo storico), 2019; Una medicina per l’anima (romanzo
giallo), 2021.
Francesco Rossi, Scorie d’esperienza, pref. di Floriano
Romboli, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 188, isbn 978-88-31497-90-9,
mianoposta@gmail.com.
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