La sorpresa di Natale
O stanze fredde dove mi specchiavo
ancora immerso in rivoli di cielo
che non aveva nubi. O scaletta
mezzo diroccata che portavi
a soglie di speranza. O finestra
che aprivi ad orizzonti larghi e vasti,
o familiari stanchi
di povertà nascosta dentro il cuore
di chi conobbe stelle,
e lune a riposare dentro un pozzo
di una madre sfinita;
o padre, o fratello, o focolare
dove scaldai le quattro mie nozioni
prima di andare presto alla città
che mi voleva giovane. O tutti voi miei
cari
dove siete finiti? O mio Dio,
che cosa ho fatto mai della mia
giovinezza,
dei sogni che restavano aggrappati
ad un ragazzo nudo e solitario?
Eppure oltre il chiuso si giocava
mentre tu stavi a parte nel silenzio
a rimestare storie
in attesa di stanze
che diffondevano spifferi di gelo.
Dove, dove, quel pioppo solitario
con le fronde cullanti l’innocenza
di mio fratello piccolo occupato
a lucidare bici per tre bicci?
Non c’è più niente attorno a quella
casa.
E la finestra smilza e sverniciata
è rimasta nel cuore di colui
che è a rivivere con occhi semichiusi
giorni di un padre stanco
che spendeva la sua ultima fatica
ad attendere un figlio al superiore
e stare con lui
a gustare un panino
come fosse la sorpresa di Natale.
poesia eccezionale: amore, ricordi, infinito, di un genere umano che reta aggrappato al cuore per non morire
RispondiEliminaLa molteplice invocazione del poeta, reiteratamente introdotta da un semplice “o” (pudicamente mai accompagnato da punti esclamativi), spazia dalla vivida visione della casa d’infanzia tratteggiata da pennellate a forza di parole, fino all’intimo, toccante ricordo dei familiari che la abitavano, “stanchi di povertà nascosta dentro il cuore” in un viscerale ma composto climax che ha il suo acme nel tema classico dell’"ubi sunt?", non a caso scandito da punti interrogativi. “O tutti voi miei cari, dove siete finiti?” La domanda angosciata del poeta investe anche la sua stessa gioventù, quasi sdoppiatasi in un’esistenza a lui estranea e stupore e dolore sono così cocenti da dover invocare lo stesso Dio: “O mio Dio, che cosa ho fatto mai della mia giovinezza…?”. Lo sguardo della memoria nuovamente indugia sulla casa, sulle sue stanze “che diffondevano spifferi di gelo”, sul pioppo che non esiste più poiché “non c’è più niente attorno a quella casa”, laddove il dimostrativo “quella” dilania nella lontananza del tempo e dello spazio ogni brandello di ricordi.
RispondiEliminaSplendida la chiusa di quest’altrettanto splendida lirica: nel riquadro mentale di una “finestra smilza e sverniciata”, quasi un varco temporale, torna in vita la silhouette del padre che, prostrato dal lavoro e dalle pene, raccoglie le forze per donare al figlio la sua compagnia gustando insieme a lui un semplice panino “come fosse la sorpresa di Natale”, corollario di un’infanzia che, sia pur nella povertà, si fa gioiosa e trepida attesa di rinnovate speranze.
Lirica struggente, Nazario mio, avvolta dalla tua saudade che trascina in un vortice. Le isole dei ricordi sono così nitide che sembrano saltare fuori dal foglio... "Eppure oltre il chiuso si giocava": l'apertura d'ali giunge inevitabile e trascina lontano, nell'infanzia, che sa vivere di luce propria. Sempre. Non esiste fatica, povertà, lavoro, che sottragga i sogni e le ore liete ai bambini. Il tuo versificare, mio Vate, è come l'onda, andirivieni incessante di flash di "familiari stanchi / di povertà nascosta dentro il cuore" e dei "sogni che restavano aggrappati /ad un ragazzo nudo e solitario?" .Sulla riva del tempo la tua ode posa la nostalgia, "un sorriso di magia alla finestra del mondo, quello che vorremmo, bussando alla porta di quello che siamo.” - F. Pessoa. La chiusa è riassunto d'amore., un panino può divenire "la sorpresa di Natale". In tempo di risacca, Nazario mio, l'onda alta della tua Poesia investe e inonda di profumi e di senso. Sì, si ritrova il senso del nostro essere vivi. Grazie, oggi domani e sempre, Amico mio! Ti adoro.
RispondiEliminaComplimenti Nazzario. C'è un universo di affetti, memorie e radici
RispondiElimina