Adriana Pedicini, collaboratrice di Lèucade |
Adriana Pedicini: I luoghi della memoria. (Racconti sul filo della memoria e altri racconti). Edizioni Il foglio. Piombino (LI). Pg. 150. € 12,00
Presentato dall'I.P.LA.C. all'Enoteca Letteraria di Roma
"I luoghi della memoria", di Adriana
Pedicini
Franco Campegiani, collaboratore di Lèucade |
Ventisette racconti
che sono un unico, grande racconto. Un affresco straordinariamente ricco, con situazioni,
aspetti, personaggi e risvolti assai variegati. "Un romanzo a più voci,
dice la stessa Adriana Pedicini in prefazione, un collage narrativo che vede
protagonista un intero villaggio ideale", risalendo "dal frammento di
ciascuna vita alla vicenda esistenziale dell'intera umanità". Il leitmotiv, il filo conduttore che
riannoda tutti i racconti è la scoperta di una spiritualità e di una fede che
nulla ha a che fare con l'ipse dixit delle
tradizioni religiose, pur potendosi con quelle amalgamare, e che nasce come
imprescindibile istanza d'amore dall'esperienza della vita, dalle pene, dalle
sofferenze, dalle negatività. Una fede pertanto piantata sulla roccia, non una
fede di facciata che al primo soffio di vento scompare.
Perché I luoghi della memoria? cosa sono questi luoghi della memoria? Molti dei racconti
sono radicati nel mondo contadino e ciò potrebbe far supporre che i luoghi
della memoria siano quelli del passato, quelli dell'infanzia, vuoi della
scrittrice, vuoi, più in generale, dell'umanità. Qui però non si parla di
memorie storiche, come potrebbe sembrare. Si parla di miti, di archetipi, di valori
universali che appartengono all'uomo di sempre e non ad un'età, ad un evo
determinati. Si parla di donne e uomini immersi in quella civiltà del pane, in fondo non ancora uscita dall'Eden, dove incanti
e disincanti sono fusi tra di loro. Si parla di quell'attimo sacro che in parte
vive fuori dal tempo, ma che in parte vive in noi e con noi nel tempo,
regalandoci frammenti di magica e fulgida pienezza.
Prendiamo Nonna
Andreana, la protagonista del primo racconto. Matrona d'altri tempi, si dirà.
Si, ma di quali tempi? Di tutti e di nessuno. Nonna Andreana è un archetipo, l'archetipo
della femminilità. Siamo fuori, badate, dalla retorica dell'angelo della casa. Nonna Andreana è
ruvida, ha mani nodose, callose, e ciononostante "morbide e carezzevoli
come piume, la sua parola sempre dolce e suadente, la sua anima colma sempre di
conforto per la famiglia". Gli archetipi non stanno nell'iperuranio,
stanno qui, tra di noi, nella nostra realtà. Noi possiamo porli fra parentesi,
ma non li possiamo cancellare. E prima riusciamo a togliere le parentesi,
riscoprendo la loro piena attualità, prima possiamo sperimentare una vita degna
del nostro essere umani. Non è un tornare al passato, ma un tornare alla nostra
essenza facendo tabula rasa delle
sovrastrutture che ci vogliono schiavi.
Fede, appunto: in se
stessi, nella propria spiritualità.
Prendiamo Teresina, una barbona che abita in una catapecchia, "nello
spazio lasciato libero dalle balle di fieno". Poverissima, emarginata,
schernita e tuttavia orgogliosa, "non incline all'elemosina", con un
suo senso altissimo della dignità: donna di grande ricchezza interiore e di
forte personalità. Mariantonia invece antepone l'apparire all'essere, le
convenzioni sociali all'amore, i beni materiali a quelli dello spirito. Risultato?
alla fine neppure i figli partecipano al suo funerale, la ignorano, preferendo
inviare fasci di rose. La scrittrice, in questi racconti, espone con la forza
dei fatti e degli esempi, senza prediche fumose, l'istanza dell'autenticità, dell'essere
conformi a se stessi, agli esseri alari che vivono dentro, capaci di regalare
momenti di sapienza e verità.
In uno di questi
racconti, la protagonista ricorda il meraviglioso attimo fuggente vissuto tanti
anni prima, nella sua adolescenza, quando semplicemente incrociando lo sguardo
di un giovane, tra la folla, provò "un amore profondo, terso e senza
scorie". Un vero e proprio shock nel bel mezzo di un coro di giovani
cantori: "un brevissimo intenso frammento d'amore sospeso tra ricordo
immaginazione realtà in cambio del quale era pronta ad offrire cento, mille
giorni della sua monotona esistenza". Ebbene, è di questa rivelazione d'anima
che si parla nel libro. Anima da cui ci si allontana, ma a cui sempre si torna,
inevitabilmente, tra burrasche e naufragi, in un viaggio di conquiste
coscienziali. Qualcuno soccombe. Come Eliana, ad esempio, che sogna il principe
azzurro e rimane vittima di uno stupro violento, finendo per farsi suora in un
convento di clausura.
Le sconfitte
tuttavia, per quanto cocenti, si superano, se si ha il coraggio di vivere prendendo
in mano la propria esistenza e rifiutando che siano altri a decidere per noi.
Tirar fuori la propria personalità, lottare, non restare vittime del conformismo
e dei luoghi comuni. L'educazione purtroppo ha le sue responsabilità. Si legga Esami di ammissione, con la descrizione
del plagio mentale e dello sterile apprendimento imposto dalle presuntuose maestrine:
"che l'allievo capisse non importava, importava invece che si recitassero
a memoria le pagine scritte onde dimostrare il rispetto sacro nei confronti del
sapere trasmesso e non modificabile, negando una possibilità importantissima:
vivificare attraverso il personale giudizio critico, la propria sensibilità, la
propria cultura, la propria personalità insomma, quello che altrimenti
rimarrebbe lettera morta, perché codificata una volta per tutte".
Caro Socrate, non
hanno ancora compreso la tua maieutica,
e forse non la capiranno mai! Le scuole non devono inculcare saperi, ma devono
aiutare il discente a tirar fuori il proprio sapere, ad affinare il sapere che
è in lui. Questo significa educare (da
ex-ducare: tirare fuori, appunto). Altrimenti
è tutto un bla-bla, un ripetere a
pappagallo, un appoggiarsi agli altri, al magistero altrui. Ovviamente questa
non vuole essere un'istigazione a non studiare, a restare ignoranti, a non
conoscere il sapere altrui. Ci mancherebbe altro! L'importante è non assorbire
passivamente, è essere vivi e reattivi nell'apprendimento, altrimenti è conformismo,
quel conformismo che può annidarsi dovunque: tra gli analfabeti non meno che tra
gli acculturati; nelle società tribali non meno che nelle società avanzate. Si
legga Banchi di legno, con la storia
di Nives, insegnante rivoluzionaria in un borgo di campagna dove la cultura è
temuta, ritenuta un pericolo per lo status
quo.
Ciò che conta è
mettere in moto le risorse interiori, lo spirito, le proprie radici, con
l'avvertenza che sono interne le radici, stanno dentro e non fuori di noi.
Tante storie in questo libro parlano di radici: Le margherite gialle, per esempio, con la celebrazione delle madri,
della femminilità; o anche, al contrario, Sulle
orme del padre, con la celebrazione degli archetipi mascolini. Per non dire
del racconto che espressamente s'intitola Radici,
dove Cary, nipote di nonno Carmine, emigrato da giovane negli Stati Uniti,
torna al borgo dell'avo, nell'appennino sannitico, per prendere consapevolezza
delle proprie radici. Non certo per tornare a fare la vita del nonno, o comunque
per rinchiudersi nostalgicamente nel passato, ma per assorbirne la spiritualità
e così poterla rinnovare nel suo mondo d'oggi. Le radici non sono il nostro
passato, sono il nostro presente, il nostro eterno presente e dunque la nostra
sorgente di vita, il nostro stampo archetipo, incarnato e disincarnato nello
stesso tempo.
Il tema del viaggio
è molto sentito dalla scrittrice, unitamente a quello delle radici. Si viaggia
in fondo per cercare se stessi, la propria celata identità. Emblematico il
racconto La Nomade, dove Josephine, scappata da un padre violento, viene accolta
in una comunità di zingari. Nell'accampamento conosce Pellegrino, un povero
demente che gioca con le biglie e tirandole in alto improvvisamente si accorge
che una di queste scompare. Allora la insegue e, nell'inseguirla, scompare
anche lui. Josephine a quel punto si pone sulle sue tracce, certa che, se non
troverà Pellegrino, troverà quanto meno se stessa. Ossia - così è scritto
testualmente - il proprio angelo custode. Un viaggio misterioso, surreale. Un
cammino verso le proprie fonti battesimali nell'assoluto.
Sono tanti i
racconti contenuti nel libro, e tutti suggestivi, tutti indirizzati alla
ricerca di questa energia vitale, di questa sorgente di inestimabile ricchezza,
che sempre risorge e spinge ad andare avanti nella vita, a dispetto di ogni
sventura. Non posso parlare di tutti, ovviamente, in questa succinta
presentazione, ma mi piace concludere accennando alla metamorfosi di Isaac, descritta
in L'amuleto. Agnostico nato, costui non
ha mai creduto in niente. Razionalista estremo (due più due fa quattro), gli
viene diagnosticato un tumore faringeo e improvvisamente, inaspettatamente, si concede
una follia. Si pone in mare aperto, sulla sua barca, senza meta, e nell'immensa,
liquida distesa, invece di avere paura, si accorge di poter godere di una
grande e profonda, benefica compagnia, "udendo come non mai le voci del
cuore". Ed è stupendo il dialogo interiore che intavola con il doppio di
sé: "In tutto io vedo me stesso, in me vedo tutto il creato, e in silenzio
anche la morte opera in me come tutte le cose che hanno un inizio e una
fine".
Franco Campegiani
Un grande onore per noi del gruppo Iplac romano ospitare l'Autrice beneventana Adriana Pedicini con la sua Opera "I luoghi delle memorie" e, onore ancor più completo è stato ascoltare la disamina del Poeta - filosofo e critico letterario Franco Campegiani, Amico antico e Uomo di capacità di analisi rare. Una serata memorabile, partecipatissima a livello di pubblico. Ringrazio loro, Paolo Buzzacconi, secondo, brillante relatore, e Loredana D'Alfonso, che si è calata negli estratti della cara Adriana...
RispondiEliminaMaria Rizzi
Carissimi Maria, Franco,Paolo e Nazario, il mio animo è ancora colmo di gratitudine, di gioia e di sinceri sentimenti di amicizia. Ho ricevuto fin troppe testimonianze di affetto e di stima, che mi gratificano ma non mi inorgogliscono nel senso della "tracotanza" non dico umana, ma neppure artistica. Maria, tu mi dici umile. Per un verso no..non sono umile, vale a dire debole o schiva per paura di chissà che cosa o timore di chissà chi. Sono umile invece nel senso che , come tutte le cose di questa terra, mi ritengo fragile, di breve durata, un minuscolo essere di un progetto più grande che è la Vita, che avverto in tutte le sue pieghe, di cui assorbo tutta la linfa anche quando è profondamente amara, e che tuttavia amo di un amore vorrei dire sacro. Questo senso del sacro lo estendo a tutto ciò che capita, ad esempio l'afflato che si è venuto a creare tra voi e me, perfetta sconosciuta sannita in terra romana. Certo attribuisco a voi, alla vostra cortesia, al vostro affetto la calda accoglienza che mi avete riservato..e quali sentimenti potrei nutrire o avrei potuto manifestare se non quelli comunque circondati di pudore, quel pudore che fosse sintomo di riconoscenza e gratitudine?
RispondiEliminaGrazie a Franco Campegiani della cui splendida recensione sono onorata, a Nazario Pardini per l'accoglienza come sempre affettuosa su Leucade, a Paolo, per l'affetto che traspare anche dalla sua benevola relazione, a te, Maria, Amica dinamica e superlativa in tutto; ti prego di salutarmi caramente tutti i presenti nel vostro prossimo incontro letterario di lunedì, compreso Tonino Puccica.
Un abbraccio a tutti
Adriana Pedicini
Carissimi Maria, Franco,Paolo e Nazario, il mio animo è ancora colmo di gratitudine, di gioia e di sinceri sentimenti di amicizia. Ho ricevuto fin troppe testimonianze di affetto e di stima, che mi gratificano ma non mi inorgogliscono nel senso della "tracotanza" non dico umana, ma neppure artistica. Maria, tu mi dici umile. Per un verso no..non sono umile, vale a dire debole o schiva per paura di chissà che cosa o timore di chissà chi. Sono umile invece nel senso che , come tutte le cose di questa terra, mi ritengo fragile, di breve durata, un minuscolo essere di un progetto più grande che è la Vita, che avverto in tutte le sue pieghe, di cui assorbo tutta la linfa anche quando è profondamente amara, e che tuttavia amo di un amore vorrei dire sacro. Questo senso del sacro lo estendo a tutto ciò che capita, ad esempio l'afflato che si è venuto a creare tra voi e me, perfetta sconosciuta sannita in terra romana. Certo attribuisco a voi, alla vostra cortesia, al vostro affetto la calda accoglienza che mi avete riservato..e quali sentimenti potrei nutrire o avrei potuto manifestare se non quelli comunque circondati di pudore, quel pudore che fosse sintomo di riconoscenza e gratitudine?
RispondiEliminaGrazie a Franco Campegiani della cui splendida recensione sono onorata, a Nazario Pardini per l'accoglienza come sempre affettuosa su Leucade, a Paolo, per l'affetto che traspare anche dalla sua benevola relazione, a te, Maria, Amica dinamica e superlativa in tutto; ti prego di salutarmi caramente tutti i presenti nel vostro prossimo incontro letterario di lunedì, compreso Tonino Puccica.
Un abbraccio a tutti
Adriana Pedicini
Ero presente alla presentazione di Adriana Pedicini a Roma ed ho vissuto una serata stimolante e ricca di riflessione come praticamente sempre accade agli incontri letterari che si svolgono all'Enolibreria di Tonino Puccica.
RispondiEliminaNella fattispecie, le due relazioni di Franco e Paolo mi hanno spronato a porre delle domande all'autrice, alle quali, la stessa, esaurientemente ha risposto.
Colgo l'occasione dell'annuncio sul blog di Nazario per ringraziarla, insieme a tutti coloro che si sono prodigati perché l'evento - come poi è avvenuto - riuscisse.
Sandro Angelucci
grazie, Sandro Angelucci, del tuo personale contributo culturale che ha arricchito la serata. Siete tutti nel mio cuore. Adriana
RispondiElimina