Carla Baroni, collaboratrice di Lèucade |
Carla Baroni: Il segreto di Dafne. Blu di Prussia editrice. Piacenza. 2015. Pag. 72. € 10,00
Carla
Baroni in questa nuova impresa letteraria dona tutta se stessa ad un incontro
di amorosi sensi, di dolci illusioni, di poematiche estensioni in cui mito e
armonie, armonie e allusioni si fondono e si confondono. Il mito dei miti,
Apollo e Dafne, l’amore mancato, non corrisposto, scivolano su un tessuto di
perfetti endecasillabi che offrono un ritmo piacevole al diluirsi della storia;
al dipanarsi di una vicenda zeppa di sinestetici accordi, di metonimici
andirivieni, di accenni autobiografici. XLIII stanze più un epilogo a chiudere
un viaggio sapido di classicità rinnovata, attualizzata, personalizzata dal
tatto di una scrittrice che con il suo poliedrico ingegno sa coprire a raggiera
ogni branca del dire letterario. La solitudine, la dolce saudade, l’allegrezza
melanconica, il mal di vivere, trovano consenso in giri di comete, in lenti dipanarsi
di maree, in mancate primavere, in elicrisi privi di risacche, in vittime
dall’Alto già segnate. Persino gli aironi assumono significato simbolico di non
ritorno “… il nostro credo/ si svuota d’ogni sillaba di fede.”; e le lucciole
“… il lume/ della piccola lucciola che muore/ sui prati verdeggianti della
sera.”. Una vera incursione panica, un vero accaparramento di immagini che
possano in qualche maniera dipingere gli stati d’animo della Baroni; i suoi
mancati incontri, le subite sottrazioni, i segreti più nascosti, le illusioni
senza soluzione, le fughe per selve dafniane, le metamorfosi in lauri profumati di verde per rincorse di Apolli. E
quello che convince, oltre al simbolismo direi baudelairiano, è un dizionario ricco di faune e di flore, di
artifici lessicali di robusta stesura, di un linguismo che con tutta la sua
potente dolcezza sa abbracciare effluvi
sentimentali; sa farli fluire in ruscelli di chiare acque naturali; di
gorgoglii sonori in cascate di endecasillaba musicalità.
E’
l’illusione che ci tiene in vita
quella
che a noi ridà ogni speranza.
Anche
nel dubbio lievita l’aurora
di
quel rosso infuocato, della fiamma
nella
cui gloria avremo ricompensa.
(XXXV)
Nazario Pardini
Caro Nazario, non mi potevi fare sorpresa più bella perché, anche se questo non è il mio ultimo nato, è un libro che amo molto in quanto in esso, con varie metafore, sono riuscita a dire molto di me, a mettermi a nudo come si suol dire e non è stato assolutamente facile.
RispondiEliminaLa tua recensione poi è, come sempre, bellissima, puntuale, azzeccata anche se non so se merito tutti gli elogi che mi fai. Comunque mi hai visto "dentro" e questo volevo che fosse.
Ciao, grazie ancora.
Carla Baroni
Concordo con la recensione di Pardini: davanti a questa “nuova opera” di Carla Baroni si resta, allo stesso tempo, piacevolmente spiazzati e stupiti. Nello scegliere il tema della metamorfosi di Dafne, solo in apparenza, la poetessa compie un'operazione di tipo archeologico; in realtà prosegue nella sua linea di condivisione-comunicazione con il lettore di sue personali riflessioni sulla vita e sul mondo. Il tema richiama lontani echi ovidiani che si possono effettivamente scorgere nella filigrana del tessuto poetico.
RispondiEliminaQuesta opera di difficile definizione può essere considerata più che un poemetto un vero e proprio “polittico”. Il tessuto sonoro e linguistico creato dall'autrice, infatti, richiama più che mai alla mente la vecchia definizione oraziana ut pictura poesis. Si tratta di un' autentica narrazione plastica che si svolge sotto i nostri occhi in ciascuna delle tavole di cui si compone. L'autrice ci pone di fronte ad una sua personale lettura del tutto si trasforma e di come l'incessante metamorfosi sia la legge che governa il mondo. Se anche l'Io poetante sembra coincidere con il punto di vista di Dafne, con l'evolversi della trasformazione assistiamo ad un radicale cambiamento di prospettiva in cui con subitaneo capovolgimento, la vittima inseguita si fonde e si identifica nel cacciatore inseguitore. Da questo momento si procede verso l'abolizione di ogni confine fisico dei corpi portando, infine, ad una sorta di scioglimento dell'Io nell'anima cosmica, con accenti dal sapore ecologista.
La lingua, apparentemente senza tempo, è plasmata con notevole perizia che trascende le difficoltà tecniche del verso mostrando una stupefacente capacità di creare una magnifica fusione fonosintattica in cui si aggirano, con mirabile leggerezza, anche le asprezze causate dall'uso di alcuni termini scientifici che, in mani meno abili, avrebbero potuto rompere l'armonia dell'effetto complessivo. Proprio la leggerezza costituisce l'aspetto peculiare di questo polittico e rappresenta, forse, la vera eredità ovidiana all'interno dell'opera. Si tratta di quella leggerezza che Calvino indicava come una delle caratteristiche fondamentali della futura letteratura e che trova nei versi di Carla Baroni un'insospettabile applicazione.
Spinto da tante sollecitazioni, mi sia permessa una divagazione fra alcune delle molte declinazioni del mito. Penso subito al celebre gruppo scultoreo del Bernini Apollo e Dafne del quale si riporta in copertina una derivazione in avorio. La statua nasce come commissione del cardinal Scipione Borghese (1622) che incarica lo scultore di tradurre in pietra i versi delle metamorfosi ovidiane. Per giustificare la sensualità dell'opera sul basamento è stato posto un distico latino del cardinale Maffeo Barberini, poi papa Urbano VIII, che ci ricorda come chiunque segua amando i piaceri della bellezza fugace si ritrova in mano verdi fronde e bacche amare: “ Quisquis amans sequitur fugitivae gaudia formae / fronde manus implet baccas seu carpit amaras”. Questo mito è stato più volte trattato da Giambattista Marino in diverse occasioni i cui versi sono stati accostati da molti critici al gruppo del Bernini. Penso alla descrizione della metamorfosi tratta dalla terza delle Egloghe boschereccie che narra appunto la storia di Apollo e Dafne: “quando repente (o maraviglia) vide / vide cangiarsi in nova forma, e strana / la bella Dafne e verdeggiar le chiome / di mille frondi / e volgersi le braccia / in rozzi tronchi / e stabilirsi in terra, / fatto radice il piè (...)”.Con un certa forzatura mi sembra di poter scorgere in questi versi un eco non troppo lontano dell'ambiziosa concezione mariniana della poesia come arte capace di trasmettere una visione onnicomprensiva della realtà e al contempo di generare in noi la stupita meraviglia che nasce dal contatto con l'opera d'arte.
Tito Manlio Cerioli
Caro Tito, bellissima la tua recensione ed anche molto colta che mette in piena luce le tue radici. Mi hai fatto un graditissimo regalo perché la condivisione nel bene e nel male di quanto ci accade denota la vera amicizia. Ancora grazie.
RispondiEliminaCarla Baroni
Carla Baroni
RispondiEliminaIl segreto di Dafne
Il poemetto Il segreto di Dafne trasfonde la creatività e gli strumenti tecnici della poesia di Carla Baroni in una dimensione narrativa, pure dal punto di vista dell'estensione del testo. La composizione poetica è solitamente di breve dilatazione, di intensità copiosamente analoga a quella di un poema, ma quest'ultima di notevole ampiezza, e a tal proposito mi sovvengono i poemi omerici o quelli ariosteschi.
Leggendo le opere di Carla Baroni, non posso che pensare a Giacomo Leopardi, inevitabilmente, e per due semplici motivi: per la ricchezza delle immagini, le quali valgono una vera e propria illustrazione, e per la musicalità dei suoi versi, perfetti per quanto riguarda la metrica. Non dobbiamo confonderci, pensando che siano sufficienti l'identico numero di sillabe per la composizione di un verso, poiché, come tutti ben sappiamo, è la ineccepibilità degli accenti che determina la perfezione e quindi la grande capacità di rendere musicale il componimento stesso.
Chi non conosce Carla Baroni e legge le sue opere – e in particolare questo meraviglioso poemetto – è forse portato a pensare che la poetessa sia perennemente vissuta tra foreste, laghi, fiumi, in breve, immersa nella natura, e sono esemplari questi versi che troviamo a pagina 16: Le foglie non han voce. Solo il vento / dà loro i suoni e le parole, il vento / che si intrufola quasi a tradimento / nei recessi nascosti dove l'ombra / s'incupisce ancor più se ad occidente / reclina il sole dietro l'orizzonte. / Ed è silenzio allora tutt'intorno, / solo talvolta lo stormire lieve / è un sussurrare al cielo una preghiera / mentre la luna in girotondo affronta / il quotidiano viaggio.
La nostra poetessa, al contrario, vive da sempre a Ferrara, una deliziosa città, senza dubbio, dove tuttavia non mi risultano foreste, né laghi, né fiumi, se non il Po, il quale dista però una decina di chilometri dal centro stesso. Tale riflessione mi porta quindi a concludere quanto alto sia il pensiero e l'acutezza di Carla Baroni.
Luciano Montanari
Sì, caro Luciano, sono vissuta sempre in città ma amo in modo sviscerato le piante, se esiste la metempsicosi devo essere stata in passato una di esse. Forse un cardo dato che mi chiamo Carla e la Carlina è un piccolo cardo pungente, oppure un'ortica. Ho una predilezione per questa erba come del resto Luisa Spaziani che intitolò un suo libretto dedicato appunto a questa pianta "I fasti dell'ortica".
EliminaIntanto grazie anche a te, mio compagno di cordata nella difficile arte della letteratura, per tutti gli elogi di cui mi hai gratificato.
Carla Baroni