mercoledì 15 marzo 2017

SANDRO ANGELUCCI : PRESENTAZIONE DE "IL COLORE DEL FIUME D'INVERNO" DI SANDRO BILEI

PRESENTAZIONE DE IL COLORE DEL FIUME D’INVERNO
(EDIZIONI HEIMAT. GROSSETO, 2016) DI SANDRO BILEI

Sandro Angelucci,
collaboratore di Lèucade


       Il romanzo di cui ci occupiamo questa sera richiede una necessaria premessa (com’è giusto che sia per il genere cui appartiene). Principierò, dunque, col presentare il quadro storico nel quale è calato.
Siamo alla fine del XIX secolo: sul concludersi delle tre guerre d’indipendenza, combattute dalla monarchia sabauda contro l’impero asburgico, si è appena formato il Regno Unito d’Italia.
       Il protagonista dell’opera è Antonio Pighero, un giornalista della Gazzetta di Torino di estrazione borghese e benestante: un “conservatore illuminato” (come correttamente lo considera il Prefatore Saverio Renzi) fautore degli ideali risorgimentali della libertà, dell’unità e della democrazia. Fede che, però, inizia a vacillare proprio a seguito e a causa di un suo impegno di lavoro: inviato ad Arco di Trento per svolgere un’indagine sulla popolazione che ancora risente della dominazione straniera, egli si troverà di fronte ad uno di quegli imprevedibili e inaspettati casi della vita che, spesso, fanno cadere anche le certezze e quelli che sembrerebbero i punti fermi sui quali costruire il futuro.
       Sono due gli incontri che, durante il soggiorno in Trentino, lo influenzeranno tanto intensamente da indurlo a rivedere le sue posizioni sia in ambito politico e sociale sia sul piano personale e sentimentale;
meglio, sarà soprattutto la conoscenza di Teresa (la figlia del proprietario dell’albergo che lo ospita) a dare un autentico scossone alle sue convinzioni. Ascoltiamo questo dialogo – uno dei primi –  fra i due (p. 42 per chi già possiede il libro): …………………………………….
       Ho scelto lo stralcio per una ragione: è indicativo, lo stesso, della direzione che prenderà il rapporto e di come si svilupperà il romanzo; quali saranno le linee-guida dell’intero narrato.
       Basterà al fruitore scorrere le poche pagine che conducono al termine del capitolo per rendersene pienamente conto.
       Per ovvi motivi, non starò qui a svelarne i contenuti ma tutto prende vita dai dialoghi riportati e da un incontro, che risulteranno di fondamentale importanza. I dialoghi sono quelli che s’instaurano tra Antonio e Teresa, contraddistinti da un’evidente e forte attrazione; l’incontro è con il duca di Castro, alias Francesco II di Borbone, re delle due Sicilie sotto mentite spoglie.
       È questo il binario de Il colore del fiume d’inverno: due storie – una d’amore e l’altra d’impegno patriottico – che sembrano procedere parallelamente (e lo fanno anche) ma, anziché incontrarsi all’infinito s’intersecano più volte sovrapponendosi e nutrendosi delle reciproche esperienze. Così, il sentimento che – nel giornalista – sboccia irresistibilmente per la giovane ostessa è prorompente tanto quanto rivelativi e intensi sono i discorsi che, a più riprese, si rinnovano con il sovrano in esilio.
       Teresa, per la sua età, è una ragazza già matura, con le idee chiarissime, determinata a vivere secondo i propri principi, nei quali crede fermamente; la sua spiccata personalità incanta Antonio, che se ne innamora perdutamente.
       Tuttavia, ciò che è rilevante ai fini di un’ermeneutica che non si limiti alla mera constatazione dei fatti, risulterà la trasformazione, la messa in discussione di alcuni pregiudizi di origine borghese e conformista da parte del personaggio principale del romanzo anche in campo amoroso.
       Ho detto “anche” perché il cambiamento si verificherà coinvolgendolo totalmente: basta pensare (e qui l’interesse si sposta sul piano rigorosamente storico) al vacillare del senso patriottico cui inizialmente si è fatto riferimento.
       I frequenti e ripetuti appuntamenti che Francesco II gli accorderà per raccontare fatti meno noti o addirittura sconosciuti del suo governo, contribuiranno all’insorgere di una revisione critica delle posizioni maturate. Il Risorgimento perderà, se non tutto, massima parte del suo fascino, di quegli ideali che tanto avevano risvegliato, in un Italia divisa e sottomessa, il desiderio di appartenenza ad un’unica, vera nazione.
       Ma – si sa – quasi sempre gli ideali non si traducono in realtà, e la scoperta d’intrighi di potere, che antepongono mire utilitaristiche al bene della neonata comunità non può che provocare disillusione e sconforto.
       Nulla di nuovo – o sbaglio? – quante volte questa storia si è ripetuta, e continua a ripetersi, in ambiti ridotti e su larga scala? Ecco: inviterei a riflettere proprio su quest’ultima considerazione sostenendo una mia ferma persuasione; intanto è indispensabile distinguere: l’ideale è un’aspirazione autentica e legittima; l’idealismo è una forma degenerativa di quella stessa ambizione.
       Se l’uomo non parte da qui, dal fare chiarezza – dentro di sé – su quali siano i suoi desideri – diciamo così – non inquinati, si perde e rischia di fare confusione, di non trovare più la spinta originaria e genuina dei suoi sogni.
       Sto insistendo sul concetto perché – dal mio punto di vista – è il colore (parafrasandone il titolo) basilare dell’intero romanzo.
       Antonio si trova di fronte ad un bivio, al bivio della sua vita; e sceglie il percorso non alterato, e fondamentalmente istintivo, che lo porterà dove davvero vuole. E dove, sostanzialmente, vuole arrivare? Alla piena realizzazione spirituale della propria natura, consapevole che non ci sono altre vie, migliori di questa, che recano beneficio tanto a se stesso quanto agli altri.
       Si può decisamente asserire che il giornalista non si accontenta più; tutto passa in secondo piano: la propria professione (comunque importante), il fervore risorgimentale (cui tanto aveva creduto), l’aspettativa di un futuro quasi scontato (seppure ambìto) acquistano nuovi significati; come se una fotografia in bianco e nero diventi improvvisamente a colori; e, tra questi, il preponderante: quello che assume il fiume in inverno.
       Senza Teresa, tuttavia, l’acqua si sarebbe soltanto schiarita un po’, mentre ora è trasparente e riflette la luce del Sole.
       Solare – parimenti – è lo stile narrativo di Bilei: uno stile che non ha bisogno di ricorrere a stratagemmi o ad altri effetti speciali per creare un climax: l’atmosfera anarchica che si respira, soprattutto nei dialoghi, porta una ventata d’aria nuova, mai così violenta – però – da scoperchiare i tetti del buonsenso e dell’equilibrio.
       Buona lettura.


                        Sandro Angelucci


3 commenti:

  1. Ero in sala anch'io, all'Enoteca Letteraria, in occasione della presentazione del libro di Sandro Bilei e ho condiviso le parole del critico, soprattutto nel punto in cui ha sottolineato - autore compiacente - che "l'ideale è un'aspirazione autentica e legittima; l'idealismo è una forma degenerativa di quella stessa ambizione". C'è bisogno di libri coraggiosi che interrompano la tessitura della tela, sempre più scontata e retorica (conformista persino nell'anticonformismo), dei cosiddetti sani e corroboranti valori civili. Le idealità sono un conto; le ideologie sono diaboliche e, a ben guardare, rappresentano la loro contraddizione.
    Franco Campegiani

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  2. Ero in sala anch'io, all'Enoteca Letteraria, in occasione della presentazione del libro di Sandro Bilei e ho condiviso le parole del critico, soprattutto nel punto in cui ha sottolineato - autore compiacente - che "l'ideale è un'aspirazione autentica e legittima; l'idealismo è una forma degenerativa di quella stessa ambizione". C'è bisogno di libri coraggiosi che interrompano la tessitura della tela, sempre più scontata e retorica (conformista persino nell'anticonformismo), dei cosiddetti sani e corroboranti valori civili. Le idealità sono un conto; le ideologie sono diaboliche e, a ben guardare, rappresentano la loro contraddizione.
    Franco Campegiani

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  3. Come Franco ero in sala quella famosa sera... e mentre Sandro scandiva le parole della sua superba recensione ho visto gli occhi dell'Autore, Sandro Bilei, inumidirsi di lacrime. Un'emozione grande. Un premio alla dedizione di queste persone che, da volontari, con entusiasmo e professionalità, si dedicano alla causa IPLAC. Se a Roma si riesce a svolgere un evento a settimana è per merito di persone come Sandro, Franco, Paolo Buzzacconi, Loredana D'Alfonso, Laila Scorcelletti e tanti tanti altri che si prodigano interpretando la cultura come missione. Va precisato che Sandro Angelucci viene da Rieti... Lo ringrazio ancora da tanto pulpito e, con lui ringrazio Sandro Bilei, Franco e l'Immenso Nazario!
    Maria Rizzi

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