SU "IL CANTICO DELLA CAMPAGNA" DA "CANTICI"
Questo cantico d’amore e di nostalgia mi prende il cuore. Dimostra tutta la forza poetica e la consapevolezza espressiva letteraria dell’Autore.
Un canto musicale e bucolico che sa diventare incisivo, il canto della vita, e sa unire e fondere armonicamente gli elementi paesaggistici che sono più cari al nostro Pardini: la campagna, il mare, il fiume, unendoli e fondendoli inestricabilmente come solo il cuore sa fare: l’onda bianca del sole che dilaga , la battigia verde delle vigne, le ombre frantumate delle cime dei cipressi, la gioia degli alberi da frutto… che bevono la primavera, mentre la lucertola verdeggia sul muro assolato.
Sono i colori del mare, i suoi movimenti che si fondono come in una rievocazione onirica nelle vigne e nei campi biondi di grano.
La campagna antica e fedele porge il suo richiamo misterioso ed imperioso: bisogna riprendere l’aratro del padre e dissodare nuovamente il campo per ritrovare alla stagione giusta il ruscello del grano e il pane modellato dalla madre.
Le radici, la storia lontana individuale e sociale, il canto del figlio poeta vengono unite. Come le madeleines proustiane ritornano sapori, colori, odori, spazi, orizzonti, memorie che zampillano sgorgando dalla fontana fresca degli avi, dove si erge la casa antica e custode, nel sole troneggiante, quasi frustata dal sole regale.
Le memorie perdono la carica di dolore, il canto aspro diventa melodia.
E poi c’è tutto il bagaglio tecnico-artistico del poeta: gli endecasillabi, i preferiti, le assonanze, l’invenzione del vocabolario dalla importante forza espressiva, l’invocazione, l’evocazione, il ritmo sostenuto, le sinestesie…: il bagaglio del poeta quale Pardini è in toto.
Maria Grazia Ferraris
Il cantico della campagna
L’onda bianca
del sole dilaga sulla piana,
sulla battigia
verde delle vigne.
Frantumano le
cime dei cipressi
le loro ombre
mentre fanno i fiori
il pèsco,
l’albicocco ed il ciliegio;
gioiscono del
chiaro e fra le fronde
il merlo sfrega
il becco sullo stecco
in attesa dei
frutti. Tutti quanti
bevono primavera
e la lucertola
verdeggia sopra
il muro soleggiato.
Dentro di me
riprendo il legno curvo
dell’aratro di mio padre e rompo il fianco
del campo. A giugno sarà biondo
il ruscello del
grano, si darà
al forno ardente
per donare pane
che straripò
felice al pugno chiuso
che nella madia
modellò mia madre.
Ho ritrovato i
semi ed i sapori,
ho ritrovato i
voli, e i solchi aperti,
ho ritrovato
spazi ed orizzonti,
le barbe fonde
delle mie radici.
E voi
fate che il
canto mio sia sempre fertile
di una storia
lontana. E che si abbeveri
alla fontana
fresca dei miei avi
che zampilla
vicino. È là che splende
con frustate di
sole la mia casa;
è là che il sole
troneggia regale
sull’aspro canto
delle mie memorie.
Coinvolge e commuove profondamente questa nota della Ferraris sulla poetica di Pardini. Lei insiste giustamente sulla capacità della nostalgia di divenire "canto della vita", sottolineando il vigore di "memorie che zampillano sgorgando dalla fontana fresca degli avi". La vera memoria è viva, non seppellisce nel passato. E' quell'attimo sacro che spinge a "riprendere l'aratro del padre e dissodare nuovamente il campo". Tutto ciò è detto splendidamente nel mito di Mnemosyne (la Memoria), nome di una delle due fonti cui non è consentito attingere senza bere anche all'altra fonte, intitolata a Lete (la dimenticanza) che fa scordare le cose del passato.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Che bella poesia!!! Pasqualino Cinnirella
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