Marzia
Serpi: Lo specchio e l’anima.
BastogiLibri. Roma. 2017
Vita,
illusioni, delusioni, saudade, rievocazioni, amore:
“Ho
un attimo di cielo/ da dividere con te,/ voglio essere regina/ donna, amante e
molto più./ …/ Ed io, aquila reale/ che ha paura del suo volo/ e tu compagno mio/ in ogni cielo da solcare/
nell’azzurro, tra le nubi/ o nella notte cupa…”. (Da un attimo…) Un amore
totale, pieno, che l’anima nel focus della sua ispirazione dona alla liricità
della parola.
Tutto
questo nella silloge di Marzia Serpi che, con grande efficacia visiva, è volta,
in una ricerca verbale, a concretizzare la sua ontologica vicenda. I versi
scorrono fluenti, puri, con euritmica inclusione, ora ampi, ora brevi, per seguire il ritmo di
un’anima tutta presa dal dire di sé, del suo amore per i figli, il padre, la
madre, l’uomo della sua vita. Non meno hanno una incisività poetica i canti
rivolti agli animali, visti con antropomorfico afflato, e verso i quali la
Serpi rivolge un affetto di estrema
forza trascinante. Ma quel che più risalta è la rappresentazione di una realtà
che a volte si fa immediata e conclusiva, a volte traslata, piede d’appoggio
per un volo verso l’alto, al di là delle micragne della vita. In oniriche
vertigini, anche, che tanto sanno di respiri autunnali o di abbracci
primaverili. D’altronde il sogno fa parte di questa nostra storia caduca e
fragile, e la poetessa è cosciente della sua fragilità. Per questo si attacca a
sentimenti forti e generosi, quasi con l’intento di portarli sempre con sé fino
al guado della corrente, rivelando tutta la sua fierezza di donna che prosegue
il cammino nelle primavere illusorie del mai finire. In aiuto al suo verseggiare
si propone una natura fresca e generosa, policroma e oggettivante, che con
tutti i suoi polivalenti messaggi, si fa involucro degli abbrivi emotivi della
Nostra: “Fresca la foglia al color di lattuga/ che al mattino sorprendi il mio
sguardo. / Primavera è arrivata,/ solo ora mi accorgo di lei/ e con lei, mi
sento più vera./…./ Il papavero agli argini spicca allo sguardo/ c’ovunque si
posa s’allieta di tanta bellezza/ scordando ogni sua vanità”. (In viaggio) Uno
spirito che chiede libertà, e che tale libertà trova in una primavera di
scoperte e meraviglie in una navigazione
fatta di scogli e di bonacce; di marosi e di orizzonti luminosi, verso mete di
umana consistenza, dove le ampiezze dei limiti portano anche a sperdimenti o a
naufragi meditativi di memoria leopardiana. Sì, tuffi in voragini d’infinito
dove è facile perdere la nostra identità. Ma Marzia, col suo stile
semplicemente complesso, col suo linguismo in progress, in cerca di una consistenza che convalidi il suo pathos,
non si arrende di fronte all’ignoto, e vola, con iperboli o con agganci retorici
di significante valenza, verso riposi familiari, verso memorie di intime
stagioni: “Noi, per un mondo migliore/ noi, popolo in movimento/ noi, figli del
vento/ noi sabbia/ allo scorrer del tempo./ Noi,
amati da Dio”. C’è questa inquietudine del tempo che vola, del momento
inafferrabile, ma c’è anche la fede verso un Dio che ci ama. Una silloge
completa, direi, che tocca tutti gli angoli dell’umano vivere; una narrazione
che pretende qualcosa di più, che ambisce ad una poesia ancora più aderente,
più consona alla pluralità di un mondo interiore, polivalente e plurale, perché
la Serpi ama il canto, e vorrebbe che si perpetrasse foscolianamente ai
posteri; al tempo a venire per trasferire all’eterno uno sprazzo caduco di
vita, una solitudine, una notte di mezza estate:
(…)
Notte di mezza estate,
io e questo bianco foglio
stasera è tutto ciò che ho
ma non è ciò che voglio. (In
sol-itaria)
Nazario
Pardini 17/05/2017
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