Marisa Cossu, collaboratrice di Lèucade |
Chiarori e notturni nella musica del verso
Questo il titolo
della silloge: Di ombra e di luce. Chiarori e
notturni, lucentezza e oscurità, albe e tramonti, primavere e autunni: tanti
polemos eraclitei che caratterizzano il corso della vita; come d’altronde ogni
strada che si percorre. Ogni cammino è costellato di ombre e di luci, di montagne
e di pianure, di muraglie e di
orizzonti: una simbiotica fusione di contrari che dà il senso, nella sua diacronica successione,
della complessità del vivere:
Quarta di copertina |
Qualcosa già mi chiama nella sera,
muta, velata dal groviglio stretto
delle passioni che per questa vita
camminamenti scavano nel vuoto
del lungo viaggio tra l’abisso e il sole.
Appare all’improvviso il mio ristoro,
quell’amore che solo
giustifica la vita:
solo alla fine lieve spicca il volo
il cigno che nel fango s’è smarrito
ed è Bellezza, adesso, che intravedo
(Attesa).
Raggiungere
una meta dopo un lungo viaggio è quello che si propone la poetessa; se poi
intravede il volto della Bellezza, di tutto ciò che è ristoro, alcova,
quietezza, la sera assume un colore diverso: quello dell’amore che giustifica
la vita. Partire da qui, dal significato risolutivo e indicativo con cui
l’Autrice ha intitolato l’opera, significa già andare a fondo, al cuore degli
intendimenti che Ella stessa nutre sul fatto di esistere; sul fatto, appunto,
che noi siamo stati destinati a questa
avventura di proteiforme valenza. E la Nostra la scandaglia in tutte le parti,
in tutti i più nascosti anfratti la sua storia, traendone linfa per un poetare
espanso, euritmicamente avvincente, e articolato. Tanti i tasti toccati sullo
strumento di cui è in possesso; sì, sullo strumento a cui la Cossu si affida
per dare armonia alla voce delle sue meditazioni; dei suoi patemi esistenziali;
delle sue modulazioni. Ed il “poema” si dipana su uno spartito di intensa forza
connotativa, dove appaiono visivi gli stati d’animo che contornano con ontologica
intensità lo scorrere del canto. Tutto è melanconicamente fluente; tutto è
oggettivamente rappresentato; tutto è estendibile alla vicissitudine di noi
mortali: il memoriale, la realtà contingente, l’oracolare, il senso del limite,
del confine tra noi e il nostro ambire, l’aspirazione ad un alcova di riposo
edenico, di amore oblativo, o a una simbolica isola prescelta dalla Dea: “tra
le rocciose grotte presso il mare”:
Ma il grido è ancora qui:
rifrange l’eco il pianto di un amore
immemore e consunto
e l’isola prescelta dalla Dea
verdeggia ancora intorno alla dimora
che s’affaccia silente e misteriosa
tra le rocciose grotte presso il mare.
A te perla Aethalia il dolce canto,
a
te il Tirreno guidi i suoi delfini.
Ti sia propizia l’onda
e lieve il Maestrale (All’Elba).
Gli
intrecci dei maestosi endecasillabi danno energia e sonorità al mitopoietico
abbraccio della Cossu.
Ed il verso, mansueto e collaborativo, si fa
concretezza di un sentire ampio e profondo; di una interiorità esperita di
fatti e vicende a volte gioiosi, altre tristi per i loro risvolti esistenziali;
pur sempre nella coscienza della esiguità di fronte al tutto:
Io, minima particola di eterno,
polvere di una stella che s’invola,
vorrei tornare a quel seno materno
che tutto abbraccia in una volta sola (Ecco
il mio cielo).
Ma è la parola, il verbo che da subito ci
colpisce per la sua capacità espressiva; per il suo forte senso
ultrasintagmatico: dacché il topos viene pensato, elaborato, vissuto, e dato
alla pagina con intenzioni di superare, sì, di oltrepassare il significato
della canonica morfosintassi; di allungare il tiro ad ambiti di poetica
ascensione. “La poesia vuole di più della semplice parola” mi sembra di avere
scritto in altra occasione. Un insieme di iuncturae che fanno delle
sinestetiche intrusioni il piedistallo da cui partire per slanci ultraverbali.
La vita è l’alimento primo del poièin; il suo dimenarsi tra colli e mari, tra
albe e tramonti, o tra giornate di pioggia e piane lucide di sole. Il saper
fare di queste visioni il corpo e l’anima dei ritmi cardiaci è mestiere della
Cossu. Nulla è lasciato al caso. Tutto è inglobato in un discorso di ampio
respiro, dove il cuore si aggrappa a scogli scivolosi per ascoltare il rumore
del mare:
Vivo tra i resti delle cose amate
all’ombra delle rose reclinate
nella calura estiva;
e tu, vita, mi sfuggi,
ritorni come il sole e come il mare,
ti ripeti, m’illudi
né rechi le risposte
al mio vano sentire
(Conosco solo il mare),
di
quel vasto piano che simboleggia con le sue lucenti scaglie l’aspirazione ad un
infinito fuori dalla portata umana. Forse proprio da qui lo splennetico
tormento che inquieta l’esistere, dacché Ella è cosciente della precarietà del
tempo; tutto ci sfugge a ritmi vertiginosi per poter vedere in faccia il
presente e chiedergli qualcosa sulla verità:
Tu, divina presenza,
all'apparire ti mostravi vera,
l'essere nell'assenza nascondevi.
Nel divenire incerto della vita,
anche l’ombra svaniva con la sera
e ti inseguivo invano,
mentre l’essere altrove ti spiegava
(Verità),
su
quei perché irrisolti e irrisolvibili che tanto ci rendono mortali. “La musica
è amore in cerca di una parola” afferma Sidney Lanier. “Cos'è un uomo nella
Natura?/ Un nulla davanti
all'infinito,/ un tutto davanti al
nulla,/ qualcosa di mezzo tra il nulla e
il tutto.”, scrive Pascal. Perché queste citazioni? Perché io credo che
condensino nel loro significato quelli che sono gli aspetti fondanti della
poetica della Mussu:
vita e
amore:
Se tu ci fossi, amore,
ti chiederei perché tagli quei rami,
perché sorridi quando grida il mare,
quale ossimoro strano
sul terrazzo del sole ti commuove (Il
terrazzo),
musica
e classicismo:
Se vuoi, vieni con me,
indossa la tua veste profumata,
la
trasparenza vaga come il tempo,
ti
sia leggiadro il vento.
Sono già qui dove l’Antico batte
sulle rive sabbiose la sua forza;
passano stormi sulla rupe bianca.
Oh
Lefkas, ferma il volo in una rete! (Saffo),
quale
messaggio più lirico di un riferimento alla Poesia nella veste di Saffo o alla
rupe della dimenticanza della mia Lèucade?
rien e
tout; il niente e il tutto nelle mani del tempo:
E così passa il tempo.
L’Eternità trascorre
in labili ritorni; indugia a volte
sulla retta infinita,
ma poi si curva in concentrici cerchi
dove ogni inizio tocca la sua fine; (E
così passa il tempo),
l’impiego
di un significante epigrammatico nei volti della natura:
Si accese per incanto una mattina
Il rosa intenso dei ciliegi in fiore
immerso nel mio tenero stupore
e in quel ricordo ritornai bambina.
C’erano rose e viole nel giardino:
(Canzone di Primavera),
o quel
senso di malum vitae che s’insinua nel sottofondo dell’opera dandole corpo e
organicità con la misura dei nostri passi incerti:
E
navighiamo in oscuri silenzi.
Il
canto è la risposta, la poesia
che
origina dal cuore
e reca
impronta d’amorose braccia.
Il
ritrovarsi stanchi e senza vita,
nel
dubbio avvolti da un nemico male,
è
illusione evocata,
è misura dei nostri passi incerti
nell’infinita
logica del tempo (Ma non si vede).
D’altronde
non si può di certo includere la poetica dell’Autrice fra quelle attinenti alla
riforma prosastica, alla maniera del correlativo oggettivo di stampo eliotiano
per intenderci, che ha contagiato alcuni scrittori dell’altro e di questo
secolo, quanto piuttosto fra quelle di stampo realistico-lirico alla Capasso,
dove a dominare sul tutto c’è il sentimento, la musicalità, la misura ritmica
del verso, il memoriale, la cultura, e l’abbandono ad un naturismo che tanto
dica delle nostre inquietudini. Un classicismo, dunque, rivisitato, attualizzato,
reificato in un endecasillabo fluente e generoso, capace di contenere nelle sue
vaste espansioni il cuore di un mondo che ci vuole presenti; magari con un
canto che, sapido d’autunno, tanto si avvicini al madrigale della vita:
Sulla
battigia il mare si riversa
mentre
l’autunno adombra le sue sponde
di
schiuma bianca subito dispersa
e
incanta ancora quella antica voce
di
sciabordio ansimante delle onde,
che si
discioglie in ritmo più veloce;
ma
questo mare genera il pensiero
di un
distaccato tempo terminale
dove
l’autunno riconduce al vero
il
tempo e le stagioni e in alto sale (Mare autunnale).
E il tutto
si dipana in una versificazione cólta di studi prosodici attenti e disciplinati:
odi pindariche, strofi saffiche, canzoni in ABBC ABBC CDDCEE, doppi settenari –
endecasillabi, strofi alcaiche, stanze di canzoni...: un mix di strutture
metriche che offre una chiara visione della valenza polimetrica della Cossu; il
suo dedicarsi alla Poesia con anima e corpo, in un abbraccio di vitale
generosità.
Nazario
Pardini
Eccomi ancora sull'Isola con il mio nuovo libro impreziosito dalla splendida prefazione del carissimo Nazario Pardini. Nazario, volendomi generosamente tra i suoi,ha acceso un faro sul mio peregrinare di poeta, sull'esperienza della mia scrittura, del comporre, da sempre insicura e dubbiosa, piena di domande senza risposta. In questa zona di amichevole sostegno e cmpartecipazione, trovo ora le motivazioni a ricercare la forza, la luce e le ombre delle parole che forse diverranno poesia, librandosi sul foglio bianco e nel mio pensiero visionario. Il caro e amato Nazario Pardini, come persona e come intellettuale, rappresenta al meglio la figura del poeta capace di donarsi e di coinvolgere gli altri nell'amore per la Poesia, verso l'umanesimo di cui essa è portatrice oggi e sempre. Grazie maestro.
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