DI MARCO DEI FERRARI
“NOVEMBRE”
nella magìa solitaria di Nazario Pardini
Staticità e dinamismo nello scenario del Poeta si
coinvolgono e reciprocamente manifestano moduli di sensibilità esistenziale
pluridimensionali.
Cielo e Terra soccorrono l’animo di Pardini e il suo
doloroso solitario osservatorio novembrino.
Solo il padre nel campo opera o sembra essere
vivente nel regno di “ombre” che tutto avvolgono dalle nuvole al vento (lontano),
dall'erba falciata agli uccelli (neri) che “volano alti”.
Anche la luce è isolata e si accompagna ai marmi di
immagini sepolte nel freddo brinoso e nei lamenti dei figli e delle madri.
L'atmosfera novembrina del Poeta si declina sul
ricordo che è vivissimo, quasi corporeo, degli assenti incardinati in perimetri
regimentati da ritualità e tentacoli oggettuali/coscienziali (panni, frullane…
che lisciano i marmi…) che dalla Terra si avvicinano al cielo ripulito dal
vento.
Ecco come la forza vincente della Natura si
ricompensa affiancandosi al percorso più logico di tutti i tempi tra vita e
morte; ecco come il Poeta intrecci ogni componente in un sudario di memorie,
simbologie (marmi), oggettistiche che vivono l'esistenza di un micro/tempo
concesso a ciascuna individualità di essere ora per allora.
È la creatività ricorrente di un pensiero ciclico in
Nazario relativo alla fluidità del “breve” per completarsi nel “lungo” periodo
della vicenda umana.
La testimonianza più evidente si può ricercare nella
realtà/verità poetica che si manifesta con la percezione totale del dinamismo
ontologico applicato a tutti i messaggi di questo pardiniano “Novembre”.
Ogni parola ha un proprio ambito di corrispondenze.
Il cielo sembra immobile, ma nel suo essere
tutt'altro che fermo: le sue presenze principali, tra nubi e vento, si
polarizzano personalizzandosi oltre ogni limite che solo un cimitero può
indicare ai mortali nei viventi.
E’ l'”essere” di ogni cimitero; è il sospiro
filamentoso di figli e madri: ma nulla in questo scenario sembra attualizzabile
nel vivente; tutto è ontologicamente ascendente solo nel cuore e nelle
profondità spirituali insondabili del Poeta.
Così come si affianca nell'elenco di cose, esseri
mortali, eventi, stati d'animo che appaiono estensivamente ad occupare le ombre
sceniche delle verità di Pardini.
Le verità delle parole interpretabili come
necessaria premessa al tema principale di un cimitero e di una sequenza di
tombe solitarie.
Così sembra interpretare il Poeta nel suo interiore
desiderio prospettico di articolare una indefinita spazialità in frammenti di
corrispondenze vive come le frullane che specchiano i raggi o i sagginali
viventi per il calore che sfida la brina o i panni che salvano il freddo.
Ecco come si auto decodifica Pardini che esce da
ogni vincolo di scuola per approdare alla libertà dell'intuizione artistica più
assoluta che si dilata mirabilmente sino all’incredibile di caratterizzare il
gelo e identificarne le “guance”.
La duttilità dei significati si connette quindi
nella metamorfosi di ogni contrario (l’indefinito ampliato nel definito).
Magìa di un vero artista.
Marco
dei Ferrari
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