Nell'ambito della
Rassegna IPLAC
Wandering Italia, di
Manuel Chiacchiararelli
presentato al Caffè letterario HoraFelix di Roma
Il viaggio descritto in queste pagine da
Manuel Chiacchiararelli si snoda in due direzioni distinte e collegate: all'interno
e all'esterno dell'io. Il protagonista (l'autore stesso, novello Odisseo) racconta
la lotta ingaggiata contro se stesso nell'impervio tentativo di ritrovare se
stesso riannodando il cordone ombelicale che lo lega, come ogni altro vivente,
alla matrice da cui viene: Madre Terra. La titanica impresa si svolge nel campo
di battaglia di una Natura incontaminata, amica quanto avversa nello stesso
tempo. Una Natura selvaggia e verace, che nulla ha a che fare con il vezzo
letterario ed arcadico di chi, comodamente seduto in salotto o davanti al p.c,
o anche sdraiato tra i fiorellini e i soavissimi augelli di un prato, parla e scrive fantasticando di inesistenti
mondi idilliaci.
Wandering
Italia è
un diario autobiografico nutrito di riferimenti e citazioni importanti, perché
Manuel è un uomo colto, ma è soprattutto un libro scritto con il sangue. Esperienze
dirette e di prima mano, condotte fuori dai circuiti urbani, alla ricerca dello
smarrito patto di alleanza dell'uomo con il Creato che lo accoglie. Nel suo faticoso
cammino montano, l'autore attraversa balze e foreste, forre e vallate, antichi
borghi devastati dai terremoti e semi-abbandonati. E flora e fauna selvatica:
alberi secolari e uccelli, cinghiali, orsi, cervi lupi ed altri animali. Poi indigeni
fuori dal tempo, resistenti, tenaci. E giovani di passaggio, in cerca di punti
fermi da cui ricominciare. Un sogno comune: abbracciare la Terra per costruire
una vita più umana. Inversione non utopica per chi, come Manuel, fonda la
propria esistenza su di un concreto progetto di rinnovamento interiore.
La Terra è antica, ma la Terra è nuova.
Sempre sorprendente e attuale. Ansia di nuovo, pertanto, molto più che
nostalgia del passato. Retaggio vivo, pronto a rinnovarsi, e non tradizione
sepolta nella tomba memoriale. Tuttavia non si pensi all'utopia di un
controesodo teso ad invertire il colossale processo d'inurbamento avvenuto
lungo l'arco del ventesimo secolo per opera di sconfinate plebi rurali. Il
viaggio proposto da questo giovane e vivace scrittore, ambientato sui monti
anziché negli aridi e scontati agglomerati urbani, vuole essere squisitamente esplorativo,
alla riscoperta di quei valori che i figli e i nipoti dei cafoni siloniani scesi dalla montagna lungo l'arco del Novecento hanno
miseramente smarrito nella babele delle grandi metropoli. E' lo spirito del bosco, più che il bosco in
quanto tale, che Manuel vuole catturare.
Il suo suggerimento non è di tornare a vivere
nei boschi, ma di immergervisi per una rigenerazione morale. Lo spirito del bosco, infatti, è in grado di ricondurre l'uomo ai propri
valori essenziali, sempre e comunque, a prescindere da dove egli fisicamente si
trovi. Edificante, in proposito, il racconto della vecchietta incontrata nelle
zone terremotate: "Eravamo poveri, ma poveri veri e non avevamo niente...
ma eravamo felici e ricchi di tante cose più importanti della ricchezza. Sono
quelle le cose che devi cercare". Rivoluzione interiore da non confondere
in senso ideologico. Nessuna decrescita
felice, tanto per intenderci (a meno che non si tratti di scelte di vita
personali, rispettabilissime), bensì progetti di emancipazione spirituale che consentano
agli uomini di trovarsi, oggi come ieri e come sempre, all'altezza morale del
progresso raggiunto.
Una nuova cultura della terra che permetta di
tornare a comprendere - con le modalità di oggi, indubbiamente - una cosa
elementare che stiamo dimenticando: noi siamo terrestri, siamo figli della
terra e non possiamo rinnegare le origini da cui veniamo. Anacronismo? non
direi, visto che lo scrittore interpreta quell'attualissimo bisogno d'anima che
nasce dal cuore dei disagi postmoderni, megalopolitani. I valori proposti, per
quanto rivoluzionari, non vogliono essere alternativi, semmai complementari ai
nostri paradisi artificiali, alle nostre gabbie di cemento e di plastica. Tutto
nasce dal rifiuto di un modello di vita monotono e semi-robotizzato, quale
quello imposto da un lavoro alienante in fabbrica, soddisfacente sotto il
profilo economico, ma fallimentare sotto quello della realizzazione intima.
Manuel cade in depressione, in quel vuoto
d'anima che - come lui stesso racconta - è molto più dello sconforto e della
tristezza, e perfino della disperazione, perché nella disperazione l'uomo è comunque
vivo, mentre nella depressione è morto. Ma toccato il fondo, Manuel prova a risalire,
e la presenza di una figlia, Lara, è fondamentale per indirizzarne le scelte. Sa
bene che ha delle responsabilità nei suoi confronti, ma sa anche che, per darle
un padre degno di questo nome, deve finalmente prendere in mano la propria
esistenza e iniziare a vivere, rifiutando di lasciarsi vivere in balia degli
eventi. Non può più farsi rubare a se stesso e soltanto le solitudini montane
possono aiutarlo a conoscersi a fondo. Infatti, quando "sei solo, lontano
da tutti, non hai più né alibi né scuse per nasconderti e non hai motivo di
fingere e cercare di apparire quello che non sei".
Una scudisciata, dunque. Anzi, una serie di
scudisciate: di questo ha bisogno Manuel, ed è quello che da se stesso riesce
ad infliggersi per andare avanti. Andare sempre avanti, questa la sua terapia:
"camminare, salire, faticare e lottare con i propri muscoli e la propria
testa; farsi forza per andare avanti nonostante tutto, anche quando sembra di
non farcela; ancora un passo, ancora uno sforzo e poi finalmente la vetta, la visuale
libera in ogni direzione". Non c'è positivo senza negativo, né gioia senza
dolore. Non ci sarebbe conquista senza superamento di un limite, di un
contrario: "Scopriamo di amare così tanto la vita solo quando ci rendiamo
conto che stiamo per perderla". E Guido, un ciclista di settantacinque
anni che in un sol giorno ha percorso centocinquanta chilometri senza battere
ciglio, conferma: "Sai, sono arrivato al punto in cui ho benedetto il
giorno che ho scoperto di avere il tumore, perché solo allora ho iniziato a
vivere veramente".
"Nel corso degli anni, riflette Manuel,
ho imparato che abbiamo risorse illimitate e siamo realmente capaci di fare
tutto, se solo riuscissimo a controllare e gestire la forza illimitata dei
nostri pensieri". Sono questi i miracoli. Frutto, sì, della fede, ma della
fede in se stessi. Fede autocritica, s'intende, e senza spocchia, che solo la
Natura riesce a catalizzare. Perché "è in posti come questi, eletti a miei
templi religiosi, che ritrovo il mio Dio, il Grande Spirito a cui mi sono
sempre sentito particolarmente legato. Non ho bisogno di altri che si
frappongano tra me e chi o cosa ci sovrasta e ci governa". Ed è una
lezione di umiltà, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, dal momento che
l'autore è consapevole di essere "un piccolo grande uomo che un attimo si
ritrova a sovrastare l'infinito e subito dopo diviene nullità".
Franco
Campegiani
Il nostro Franco è stato uno dei due relatori di questo magnifico evento iplac che si è tenuto a Roma al Caffè Letterario Horafelix l'8 ottobre e al quale non ho potuto partecipare per motivi di forza maggiore. La vibrante esegesi del mio amico dimostra l'Altissimo valore di Manuel Chiacchiararelli, giovane che vive in simbiosi con madre natura e attinge da essa la forza per 'riprendersi ogni giorno la vita'. Come si evince dalla recensione appassionata di Franco il romanzo diaristico viaggia su flash -- back psicologici e filosofici che rendono piena l'idea di un'esistenza sofferta, conquistata, persa e ritrovata tramite la forza dei sogni e di quelle fede , che Franco definisce 'fede autocritica, senza spocchia, che solo la Natura riesce a catalizzare.' Un viaggio a ritroso condotto a cuore nudo, senza il timore di rompere gli stampi e di scoppiare a piangere durante il tragitto. Straordinaria l'Analisi di Franco e altrettanto straordinaria l'opera... Ringrazio il relatore e l'autore, li stringo forte al cuore nel segno del nostro Capitano e mi scuso ancora per l'assenza!
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