IL POZZO E L’OCA
IL pozzo, centimetro più
centimetro meno, si trovava al centro del cortile. Era un pozzo di quelli
belli, molto profondo, con una cinta in muratura fatta di mattoni rossi e
pietre, alta circa un metro, tutta intorno al buco. Un indolente secchio,
appeso in alto al traliccio di ferro nero, aspettava pigro che qualcuno lo
calasse nelle viscere per raccogliere un po’ del dissetante liquido incolore. L’oca, invece, di tre anni, era vivacissima,
fatta di bianche piume sormontate da tante penne…bianche. Insomma, quasi un batuffolo di cotone
starnazzante. Non andateglielo a dire, però, che starnazzava. Vi risponderebbe
immediatamente: “Signor mio, che dice? Non lo sa che i cani abbaiano?” Sì, la
nostra Paperina, così si chiamava l’oca, si credeva un cane! La prima cosa che
aveva visto infatti, appena rotto il guscio e uscita dall’uovo, era stata
Mastra, la bellissima cagnetta di razza San Bernardo. E lei aveva cominciato a
seguire Mastra; sua madre, perbacco! Dunque Paperina pensava che i cani
nascessero dalle uova. Non c’era stato
verso, per gli abitanti dell’aia, di convincerla del contrario. Ci aveva
provato dapprima Osvaldo, il maiale. Poi anche il caprone Arturo. Arturo aveva insistito anche troppo, col
risultato di sentirsi rispondere: “Vai, vai a mangiar sale, invece di star qui
a proferir sciocchezze”. Un’altra volta Nefertiti, la gallina faraona, le aveva
assicurato: “I cani non depongono uova. Giotto non fa le uova!”. “Bella forza!
Ma lui è un maschio, cosa c’entra?” E una volta ancora la stringente logica di
Paperina aveva avuto la meglio. Insomma,
tutti i tentativi erano caduti nel
vuoto. Anche il lunedì in cui Paperina era caduta
nel pozzo, ella non aveva abbozzato il minimo tentativo di scrollare le ali per
librarsi sull’acqua quel poco sufficiente a posizionarsi meglio sopra il
secchio che, di malavoglia, l’aveva raggiunta, prontamente calato dai suoi
amici preoccupati. Niente da fare, nonostante i consigli anche del vecchio e
saggio Velinovski, l’asino (nessuno lo chiamava mai per nome, Stanislao, quindi
anch’io seguo la tradizione). L’aveva
dovuta raggiungere e recuperare Giotto, il cane meticcio di due anni guardiano
dell’aia, riuscendo brillantemente nell’impresa. “Ah! Non ci fossimo noi cani!”
aveva detto Paperina non appena uscita dal pozzo, dopo che il secchio, carico
dei due animali, fu svuotato e rimesso al suo posto, sul traliccio metallico.
L’unico dubbio che visitava la testolina della piccola bestia, di tanto in
tanto, riguardava quel nome: “Perché mai mi avranno chiamato Paperina? Non è un
nome da cane”. La vita della nostra scorreva comunque spensierata per tutti gli
angoli del cortile, dove lei giocava con i suoi amici, come la mucca Mafalda,
la papera Paolina o Gigino il pavone, oppure si divertiva a rincorrere,
adeguata occupazione per un segugio, quelle stupidissime galline.
Qualche patema d’animo l’aveva
però pure lei, dopotutto. Dovete ben sapere che, credendosi un cane, ed essendo
femmina, la nostra ochetta si era innamorata di Giotto, il suo salvatore. Il
quale, dal canto suo, non si può dire che ricambiasse in toto tutto
quell’affetto. Lei non era proprio, capite bene, il suo tipo. Forse a causa di
quelle due…..,di quelle due ali, voi che ne dite? I giorni, nella fattoria, passavano comunque felici
e veloci, con i vari animali in mille faccende affaccendati. Asino Velinovski,
qualche rara volta, cercava di insegnare a Paperina nuovi vocaboli:
“Tempestivamente vuol dire subito, o comunque prima che succeda un guaio” “Ah,
ho capito; prima che scoppi la tempesta, certo!” Paperina era intelligente,
imparava di colpo (molto tempestivamente). Ed è proprio grazie alle sue doti
intellettuali che la nostra amica aveva fatto una straordinaria scoperta: un
bel giorno, per puro caso, un pezzo di pane che lei teneva in becco (pardon, in
bocca) le era caduto nella ciotola dell’acqua, dove bevevano lei, Giotto e
Mastra. L’aveva immediatamente
recuperato, naturalmente, ma il pane si era bagnato ed ammorbidito ed aveva un
gusto …..insomma, era buonissimo. Paperina aveva scoperto la zuppa! Da quel
magico istante immergeva sempre col becco (sì, ho capito! Con la bocca) i
pezzetti di pane raffermo nell’acqua. Diventavano prelibati. Siccome, come diceva Victor Hugo, si può
resistere all’invasione degli eserciti, ma non a quella delle idee, e siccome
nessuna barriera può fermare quelle felici, Mastra e Giotto furono messi al
corrente della scoperta. I cani della nostra fattoria, da quel giorno,
mangiarono per cena sempre la zuppa (o il pan bagnato, fate voi).
Un’altra nozione, scientifica
questa volta, Paperina l’aveva appresa dall’asino Velinovski. Un dì, appena
sceso l’imbrunire, i due compagni si trovavano sull’orlo del pozzo. “Stai attenta a non cadere di nuovo nel buco”
“Sto molto attenta, non preoccuparti. Guarda! C’è la luna sull’acqua, là in
fondo” “Non è la luna. E’ l’immagine
della luna. Sai, l’acqua, in certe condizioni, riflette le immagini degli
oggetti. La luna è sempre lassù in alto, vedi? Ma la sua brillante immagine
compare anche sulla nera distesa d’acqua. Ma è una falsa luna. Una sola è vera,
quella nel cielo” Il colto Velinovski
continuò poi tranquillamente: “Ti faccio vedere un’altra cosa: prova ad …ehm,
abbaiare 2 volte nel pozzo” E Paperina, convinta di esclamare BAU BAU, disse
forte QUACK QUACK. Dopo un attimo, una
voce dal fondo del pozzo rispose:
“QUACK, QUACK, QUACK, QUACK”
Strabiliata, l’oca si volse verso l’asino, che le disse:
“Senti? E’ l’eco. Non soltanto
la superficie immobile dell’acqua riflette la luce e ti fa vedere due lune al
posto di una, raddoppiando l’immagine, ma raddoppia anche le parole che tu
dici. Se abbai una volta, il pozzo abbaia due volte, se fai tre guaiti, il
pozzo risponde con sei! E’ l’eco”
“Non l’ho mai sentito!”
rimarcò Paperina.
“Non si avverte facilmente.
Qui lo possiamo sentire perché il nostro pozzo è profondo circa 20 metri
(l’asino Velinovski era un pozzo di
scienza) e quindi le onde sonore impiegano poco più di un decimo di secondo per
ritornare a noi. Se due suoni non distano almeno un decimo di secondo, noi non
riusciamo a distinguerli. In pozzi poco profondi l’eco non si sente”
“Ma allora il pozzo, se
raddoppia ciò che io dico, mi può aiutare ad imparare la tabellina del 2!” notò
la furba ochetta.
“Giusto. Io ho fame; vado in
cerca di cibo”
E mentre il pozzo
rispondeva con 8 QUACK ai 4 di Paperina,
oppure con 12 ai 6 della piccola oca, Velinovski si avvicinò all’orto per
racimolare un po’ di cardi.
Qualche giorno dopo,
invece, un elegante stormo di cicogne attraversò il cielo terso, librandosi
alto sulla fattoria. Il gruppo era formato da uccelli magnifici, dal collo
lungo e flessuoso, che si muovevano lentamente scuotendo le grandi ali.
Paperina e Velinovski li guardavano estasiati.
“Ah! Non poter volare
come loro!!” scappò detto all’oca.
“Beh, forse tu,
impegnandoti…” la incoraggiò il
quadrupede.
“Ma che dici? Noi cani
siamo impossibilitati a volare; come voi asini, d’altronde”
“Sì, però io penso che
un giorno lontano, chissà, i nostri padroni umani, grazie alla loro
straordinaria intelligenza, riusciranno a solcare l’azzurro come quello stormo
di cicogne.”
“Ma cosa dici?! Gli
uomini non hanno le ali; non possono volare”
“Se è per questo,
conosco qualcuno che anche fornito di ali non riesce a volare”
“Ah! Le galline, già”
“Veramente…..;
comunque, gli uomini riusciranno a costruire marchingegni che, muovendo ali
meccaniche, li alzeranno in aria. Vedi, poiché le ali devono sostenere il peso
di un uccello contro la forza di gravità, le leggi del volo dipendono da un
sottile equilibrio tra forze, velocità, superfici alari, densità. Una formula
che possiamo utilizzare è….ce l’hai una penna?”
“No! Ah, aspetta. Te ne
do una delle mie” E così dicendo, Paperina con una zampa si strappò una
bellissima, lunga penna bianca dalla schiena e la porse al suo amico.
“Grazie, ma non ho
inchiostro”
“Umh…vediamo…ho
un’idea. La ciotola!” Paperina bagnò
la parte iniziale dell’anima della penna nel contenitore dell’acqua e la
ridette a Velinovski.
“Hai sempre idee
brillanti. Complimenti! Ecco, vedi, possiamo scrivere che…” E l’asino
incominciò a disegnare strani scarabocchi d’acqua su un piccolo pezzo di pelle
di montone che si portava sempre appresso, a mò di taccuino. Paperina seguiva incantata quelle
spiegazioni, anche se molte cose le parevano..arabo. Alla fine l’asino
concluse:
“Sì, io credo che un
giorno l’uomo volerà. Anzi, secondo me, arriverà addirittura sulla Luna”
“Sulla Luna?!” chiese
Paperina, stralunata.
“Ne sono certo. La Terra è la
culla dell’umanità, ma non si può vivere per sempre nella culla!”
L’oca rimase fulminata da
questa bellissima proposizione, che le tolse letteralmente le parole di
becc..di bocca. Intanto Velinovski, guardando verso il cielo, indietreggiò
lievemente, andando ad inciampare su Annalisa, una vecchia anatra con
l’artrosi, e cadde a terra tra l’ilarità generale. Camillo , il tacchino, fece
subito una croce sul suolo, a memoria di quell’evento. Subito dopo esclamò:
“Ecco, qui casca l’asino!”
Camillo voleva forse
sottolineare due cose: il punto esatto della caduta, ma anche il fatto che il
colto asino era passato dalle stelle alle stalle (quelle della sua fattoria,
con tanto di Beppe, il bue) così come era successo anticamente ad un altro
sapiente, un certo Talete di Mileto, che nel tentativo di seguire con lo
sguardo le stelle cadde un dì in un fosso (o forse era, vista la nostra storia,
un pozzo?)
Un bel giorno, anzi, un brutto
giorno di quell’anno di grazia 1527,
in quel cortile della bassa pianura lombarda capitarono i Lanzichenecchi. Una
vera disgrazia! I Lanzichenecchi erano soldati tedeschi
mercenari, che si resero famosi per gli atti di barbarie che commisero. Questi
gentili signori, che erano armati di alabarde, daghe, spade, spadoni, schioppi
e pistole, requisivano tutto ciò che incontravano nelle loro scorribande,
prediligendo in particolare gli oggetti d’oro e le derrate alimentari. Non
appena si sparse per l’aia, assieme ai chicchi di mais, anche la notizia che la
banda era in avvicinamento, Paperina pensò con terrore alla provvista di cibo,
vari sacchi di pane secco, custodita nella dispensa. Fulmineamente ebbe
un’idea! Non c’erano nascondigli, disseminati per la fattoria, a meno che
…. Immediatamente l’oca si diresse verso
la cucina e, facendo velocemente la spola tra questo locale ed il pozzo,
trasportò tutte le pagnotte in mezzo al cortile, gettandole poi nel profondo
buco. Lì sarebbero state al sicuro. Quelle brave persone non le avrebbero mai
trovate. Paperina era molto fiera della sua brillante soluzione. Il padrone l’avrebbe
sicuramente lodata e di certo le avrebbe anche dato un premio.
Ma le cose non andarono in
questo modo. I Lanzichenecchi arrivarono ed incominciarono a rovistare per ogni
dove in cerca di denari o gioielli, ma queste erano due cose, al contrario di
salsicce, latte e uova, delle quali la fattoria era di molto sfornita. Non
trovando le pietre preziose, quegli audaci signori, forse perché di fretta, si
accontentarono di tirare il collo a due innocenti e magre galline, per poi
partire di gran carriera. Il nostro caro agricoltore, invece di ringraziare il
cielo, ci rimase male (per le due
galline mangiate, intendo). Era infatti una persona estremamente oculata (non
fatemi dire taccagna), che dava la giusta importanza ai conti economici della sua
fattoria. Pensate che, poiché il tempo è denaro, si alzava sempre sul far
dell’alba, ed aveva per questo comprato apposta due sveglie. E non solo aveva
acquistato i due galli che con il loro chicchirichì lo svegliavano, ma per
essere sicuro di destarsi in tempo anche se le due sveglie si fossero rotte, si
sognava sempre, verso le sei del mattino, un gallo che cantava a squarciagola. La
terza sveglia, di riserva, suonava in sogno. Per parte mia, non lo critico,
conoscendo quanto fosse difficile l’esistenza in quegli anni bui (l’ho letto in
un libro sul Medio Evo). Sono certo che neppure voi, sapendo che la fame mette
appetito, lo biasimerete. Ed ancor peggio ci rimase quando venne a conoscenza
che tutto il pane della dispensa era finito nel pozzo. Fuori di sé dal rancore, si precipitò ad
imbracciare il fucile che teneva nel ripostiglio e, armato di tutto punto, cioè
di proiettili e di rabbia, si mise a ricercar Paperina, mentre le tre pecore,
Bianchina, Albina e Candida (nessuna di loro era una ..pecora nera), brucavano
avidamente la verde erba di un prato lì vicino. Finalmente la vide, giusto in
mezzo a quel prato, ed incominciò a sparar proiettili all’impazzata.
“Ti rischiaro io le idee, te
le rinfresco io, stupida oca! Quintali di pane bagnato, inutilizzabile!”
Qualche pallottola, esplosa
dalle canne del fucile, sfiorò il capo di Paperina. Il contadino intendeva
rinfrescare le idee del piccolo animale proprio in quel modo: con dei
proiettili che, entrando da un orecchio di Paperina fuoriuscissero poi
dall’altro. Nel frattempo, avrebbero rinfrescato, con il movimento d’aria del
loro veloce passaggio, il cervello dell’oca. Il quale cervello, in quegli
attimi pericolosi, stava pensando: - Perché mi chiama stupida oca? Io non sono
un’oca, e men che mai sono stupida. Noi San Bernardo, anzi, siamo bestie
decisamente intelligenti. Ho capito: STUPIDA OCA è un modo di dire; deve essere
proprio arrabbiatissimo, il mio padrone! Qualche cane randagio gli avrà
attaccato la rabbia- I suoi occhi videro proprio allora, sulla destra, un
enorme cespuglio di Pyracanthas, potato a formare una lunga e folta siepe.
Repentinamente si diresse verso quel cespuglio e s’intrufolò al riparo,
incurante di tutte quelle spine. Il suo padrone non la vide, e passò oltre
correndo e imprecando ancora. L’aveva scampata bella! Uscita dai Pyracanthas mezza scorticata e
tutta sanguinante, visto che ormai si allungavano le ombre della sera se ne
andò a dormire con l’animo triste. L’indomani, nel pomeriggio, venne a sapere
che il padrone l’aveva perdonata. Non perché, come pensava lei, avesse
realizzato quanto a cuore il palmipede tenesse il bene della fattoria, ma
poiché, questo sono in grado di dirvelo io, gli era balenata l’idea di usare
tutto quel pane bagnato per ingrassare per bene Paperina (lei ne era ghiotta!)
ed ingozzarsi poi a Natale di salame
e fegato d’oca. Dal canto suo, Paperina aveva mal digerito il pericolo affrontato, ed
aveva preso una decisione:
“Cari amici, ieri ho rischiato
di morire. Sono arrivata alla
conclusione che è necessario che io faccia testamento”
“Ma non sei poi così vecchia!”
la incoraggiò Massimo, il topo.
“La vita ai nostri tempi, cari
miei, è piena di pericoli. Devo fare testamento, non si sa mai. Voglio
lasciarvi qualcosa”
“Va bene, se proprio lo desideri. Fungerò da
notaio” si candidò il cavallo Timoteo.
“Ma cosa puoi lasciarci? Non
possiedi nulla!” constatò Giotto.
“Fammi pensare. ….. Ci sono!
Ho sempre avuto delle bellissime penne. Vi lascerò le mie penne, ed anche le
mie piume, se le volete”
“Oh, sì, le gradiamo molto.
Saranno un bel ricordo. Quando sarai morta, diremo che ci hai lasciato le penne! Portatemi un foglio di carta, un
testamento va fatto secondo le regole”
E così Timoteo scrisse (con
una penna di Paperina che lei stessa aveva intriso come al solito d’acqua) il
desiderio dell’animale su di una grande pergamena che Davide, lo scoiattolo,
aveva scovato in cucina.
“Dunque…Io, Paperina, nel
pieno possesso delle mie capacità mentali, lascio tutte le piume e tutte le
penne del mio corpo ai miei amici della fattoria. Pavia, 22 ottobre 1527. ….Firma qui!”
E Paperina fece un bellissimo
scarabocchio ufficiale, per la gioia di Timoteo, notaio improvvisato.
Così, su quel finire dell’anno
del Signore 1527, finisce anche il nostro racconto. Paperina riuscì a riempire,
con grande dignità, quella nicchia di pochi anni che il Tempo le aveva
sorteggiato, senza pretendere chissà cosa. Era vissuta serena insieme ai
compagni sull’aia della fattoria del suo padrone, con il quale era stata
onesta, servendolo sempre da bravo cane fedele. Aveva trascorso una vita proba rincorrendo le galline, abbaiando (si fa
per dire), beccando mais, ripassando la tabellina del 2, mangiando pan bagnato
(o zuppa, come preferite), stando attenta a non ricadere nel pozzo (bisogna
sempre far tesoro dei propri errori) e deponendo uova (come ogni buon cane che
si rispetti). Aveva cercato addirittura
di capire un po’ di più del mondo circostante, grazie anche al caro asino.
Certo, si era creduta un cane. Può essere un neo, questo? Beh, penso di no.
Molti di noi ritengono di essere qualcuno che non sono e passano la vita, come
attori consumati, ad interpretare ruoli non propri. No, l’esistenza di quell’oca era trascorsa
piena, direi anzi perfetta. Pensate un po’: aveva fatto perfino testamento!
Avremmo potuto raccontarvi
un’altra storia: la storia una fattoria cento miglia più a sud, magari in Toscana,
la storia di un rospo , o di una papera, e magari eventi accaduti nel 1589, o
nel 1602, ma queste storie di campi di grano e di animali domestici, sapete, si
assomigliano un po’ tutte. Più o meno, sarebbe stata la stessa solfa: sapete
come si dice, se non è zuppa è pan bagnato! Noi abbiamo scelto quella
di Paperina. E potete darle la fine che preferite, e pensare che l’oca abbia
finito serenamente i propri giorni di vecchiaia, oppure sia morta in un
incidente, od ancora che il suo padrone l’abbia cucinata arrosto per le feste
di Natale, non ha molta importanza. L’ultima
immagine di quei lontani giorni ci riporta comunque a quel meriggio illuminato
da un sole accecante; un sole che si sorprende a scorgere nel cortile gli
animali intenti a commentare il testamento dell’oca. Un sole che di lì a poco
avrebbe asciugato l’umido liquido con cui Paperina aveva vergato le sue
volontà. “Hai avuto veramente un’idea
felice. A scrivere con l’acqua il documento, intendo; la scrittura risalta
benissimo” approvò Samanta, la capretta. E mentre Miagola, il gatto, faceva le
fusa e sui verdi prati in lontananza il pollo Gallo cercava lombrichi, il
saggio e vecchio asino disse gravemente: “ Certo. Siamo intelligenti noi! Io,
per esempio, Stanislao Velinovski, non sono mica un’oca!” “ Sicuro! Ed io, Paperina, non sono mica un
asino!! Oh! Scusa, Velinovski”.
Pietro Rainero
I miei complimenti all'autore per la sua prosa agile, e per il contenuto ammiccante e coinvolgente.
RispondiEliminaOsvaldo da Siena