Anna Castrucci legge
AD OGNI NUOVO GIORNO
di GIOVANNI SCRIBANO
Edito nella collana Parallelismo delle Arti
da Guido Miano Editore, 2019
“Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno
di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità,
è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che
resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare
nell’ammirazione. E questo grazie alle vostre mani… Ricordatevi che siete i
custodi della bellezza nel mondo”. (Paolo VI, Enchiridion
Vaticanum, 1, p. 305).
La
poesia di Giovanni Scribano incontra, nella silloge Ad ogni nuovo giorno, una vera e propria galleria di Artisti: maestri,
pittori e scultori come Marcello Antonelli, Giovanni Conservo, Henri Fehr,
Franco Manzoni, Franco Ruggiero ed uno straordinario maestro fotografo
Michelangelo Miano. Si ripete così il fruttuoso accostamento tra Artisti e Poeti,
consuetudine dell’Editore Guido Miano, per la prestigiosa collana Parallelismo
delle Arti. L’intento resta sempre quello di cogliere di volta in volta,
ed in modalità sempre differenti, l’incontro tra l’ispirazione del Poeta con
quella dell’Artista nella comune volontà di trasmettere l’universale messaggio di
armonia e bellezza. Di tale messaggio l’umanità intera non può fare a meno, pena
il disperato sprofondare nell’afflizione e nell’angoscia. Compito dei Poeti e
degli Artisti è perciò custodire e svelare i luoghi della Bellezza e dell’Armonia
poiché è qui che brilla il divino. Il poeta lo fa con l’intelligenza della
parola scritta o declamata, scultori, pittori ed oggi anche fotografi, figli
prediletti della settima arte, lo fanno con l’intelligenza delle loro mani e
del loro sensibile occhio, strumento privilegiato per esprimere e fermare i pieni
sensi di una Vista interiore. Ogni poeta ed ogni artista, quasi sempre per
trovare Bellezza ed Armonia, sa di dover pagare un ‘fio’ cioè di dover
percorrere le strade dell’esistenza umana, accompagnandosi tra mille vicissitudini
con l’amore ed il dolore. Mi piace affermare con Fëdor Dostoevskij che il
connubio tra questi sentimenti e la loro condivisione ne genera sorprendentemente
un altro, la compassione, che innegabilmente dona potere salvifico e grande
forza di ispirazione. Poeti ed artisti, più di altri, conoscono e vivono la
compassione. Essi la manifestano non solo avvertendo il male altrui, ma sentendo
anche il desiderio di alleviarlo pur restando testimoni incantati eppure
partecipi dello scorrere eracliteo di una realtà mutevole in cui è arduo, oggi
più che mai, cogliere il Vero. È in questo continuo scorrere che nella lettura
del libro Ad ogni nuovo giorno, si incontra il singolare paesaggio poetico
di Giovanni Scribano. Autore complesso ed antitetico, capace di rivelare, con
abilità da maestro, il suo personale gioco di luci ed ombre, gioie e sofferenze,
emozioni idilliache, impeti di rabbia e di cinerea tristezza. Questo crogiuolo
di emozioni e sentimenti, danno vita ad una poesia che indubbiamente è specchio
della vita di Scribano. Egli sembra avvezzo ad esperienze di vita sofferta, non
solo patita, ma anche semplicemente incontrata e come oggetto osservata. L’essere
solo testimone, consente a Scribano di introdurre il lettore, in atmosfere che
a tratti, si aprono a luci e trasparenze di vera poesia : “La luce nutre la
vita, l’acqua le zolle; / un’umida fragranza spira dal monte / ove stupefatto
mi coglie la brezza.” (Meditazione)
per ricadere poi nel trasmutarsi
grigio, ma per questo non meno poetico, della realtà quotidiana che nel buio
della sorda sofferenza può ridurre tutto al silenzio poiché “La parola è cenere
/ quando ormai la campana rintocca / su un mondo di mattatoi. / Gli alberi son
già segnati / dalla nascita.” (Avvisaglie
d’Apocalisse).
A
questi stati d’animo ambivalenti il lettore attento accosta agevolmente “Colloquio” 1983, opera in legno di Giovanni
Conservo. Qui l’anima umana, personificata e distinta in ombra e luce, appare
tra gli alberi a colloquiare con se stessa. Sta sulla soglia di una magica
porta che potremmo definire anche specchio immaginario in cui rifrange e contempla
i suoi lati opposti. Il tema dell’uomo e della sua ombra oppositrice, si
ripropone ancora in Conservo nella “Figura
con ombra ed agnello” 1978 a cui in parallelo, fanno eco i versi
contrastanti di Scribano: “Un uomo che finalmente s’ascolta, / un uomo ferito,
esiliato dalle pene./… Ho attinto alle secche fonti del peccato / e alle
limpide acque della purezza. / … Ora la mia vita è ombra / ombra che grava /
sui miei sogni e sulle mie speranze.” (Caduta)
La
poesia di Giovanni Scribano, ripropone queste riflessioni, in un suo intimo
personale combattimento in cui coinvolge la memoria, il suo presente e la
natura che lo accoglie e protegge. Nella poesia È stato inutile, ad esempio, l’alone nostalgico della memoria imprigiona
un’immagine di donna inutilmente amata “Fra i ricordi ingialliti /…/ ho fermato
un momento: / ti rivedo… splendente danzare fra i fiori frementi,” e se si potesse dare un colore ed un viso
alla donna, così lontana nel tempo come appare, certamente potremmo accostarla
alla “Giovane Fanciulla” di Franco Ruggero, suggestivo pastello del 1958, dove
colore e tratto creano abilmente l’atmosfera nostalgica del ricordo. Nella
lirica Parole in gabbia invece, Scribano
sembra scomporre le varie fasi del processo in cui si formano i suoi pensieri e
le sue parole, dapprima ingabbiate nella penna, poi sospese nei pensieri mentre
attende una pagina vuota. Il poeta sa che dovrà togliere “…la calce che ricopre
il cuore” solo così “…i versi s’allungano / e l’accento ricade / su vocali
d’occasione.” Gli occhi che guardano con amore superano ogni perplessità e
accettano di scrivere lettere anche d’occasione a chi possono recare gioia. Versi
che sembrano davvero specchiarsi nell’opera “La Lettera” 1968 del maestro Saverino
Galassi.
Il
profondo scontrarsi e incontrarsi dell’emozioni e delle sensazioni in Scribano
produce versi, ora asciutti ed ora aspri, tipici di uno stile tagliente e
surreale: “La notte elettrica s’allunga sul balcone / Nel Frigo elettricità di
lumache… / Occhio di seppia vitreo stupore naufraga.” (Notte liquido-elettrica). Quando poi il sentimento è acuto e
sofferente, il poeta Scribano, senza timore sconfina abilmente, in una prosa, agile
e sintetica, appena contenuta nel verso. Leggiamo infatti in Babele: “Nella livida eccentricità della
sera/s’ergono strumenti di sistematica tensione/ e di trasformazione.” Questi, sono
i momenti in cui il suo guardare la collettività nel suo continuo mutare, si
avvicina a tematiche sociologiche e a quei fenomeni di trasformazione sociale che
toccano insieme l’essenza del progresso umano e il suo rapporto con la spiritualità.
Il maestro Marcello Antonelli con
l’olio e collage “Il cammino
dell’uomo” 1970, esprime pari sensibilità e ispirazione di Scribano, ritraendo
Cristo, uomo e Dio, che porta la sua croce e l’uomo astronauta che porta come
croce i suoi orpelli tecnologici. Entrambi camminano, però in opposte direzioni,
l’uomo verso una gigantesca, irraggiungibile luna e Cristo in primo piano, schiacciato
dalla croce verso l’umanità che lo osserva. Amarezza e constatazione oggettiva delle
brutture e delle ingiustizie sociali ecco cosa ci resta. Tuttavia a guardar
bene Scribano non smette mai di perseguire la sua ricerca del bello e del vero
e in questo suo cercare sta la sua denuncia e il suo umano impegno. Egli riesce
a cogliere perciò nel suo antitetico sentire, anche aspetti più ideali e
luminosi della realtà che rimandano alla sfera personale dei ricordi: “Il tuo
capo si posa / e il tuo sorriso è una nuvola scarlatta / che si nasconde dietro
le cime. /…/ E ti penso mentre racconti fiabe alle stelle.” (Il tuo Sorriso).
Sembra
placarsi l’interiore combattimento di Giovanni Scribano solo nello Spirito che
la natura gli alita: “Palpitano e si rallegran le ciglia / si sommuove la terra
/…/ e t’ammira la rosa e l’edera / dal cuore rugginoso.” (Risveglio). Così, in
una sorta di razionale accettazione constata che “L’universo semina docili
sorsi / d’azzurro cupo e di lillà. / Le gocce dell’umida erba / rilucono come
diamanti / e le montagne congedano il sole. /…/ Domani di me resterà solo / un
bacio nella sabbia impresso.” (Vespero).
Un’idilliaca presa d’atto del proprio essere, semplicemente uomo. Solo lo
scatto fotografico, lucido e intenso del maestro Michelangelo Miano, può
confermare la constatazione del poeta aggiungendo ulteriore intensità e ulteriore
passione. Michelangelo Miano lo fa con due scatti purissimi in cui la realtà
della natura appare umile e grande e in essa si incontrano nello stesso tempo
la bellezza e il divino. La rugiadosa e umile rosa dimentica della sua stessa bellezza,
guarda quella del cielo sovrastante ne “La rosa che ammira la bellezza del
cielo” Foto Catanzaro 2018. Mentre “Nel buio, l’infinito del mare che diventa
rumore”, Foto Località Maierato (VV) 2018, il paesaggio vespertino trabocca di
silenzio che anche gli occhi possono sentire. Giovanni Scribano gli si accosta
con i versi: “Il verde si spegne in un volo d’uccelli, / non di sgomento è
tempo / ma d’incanto.” (Vespero).
Nessun commento:
Posta un commento