Singolare davvero
questa “Alma poesia. Verso la luce” in cui quattro poeti
vogliono “antologizzare” la loro amicizia basata su di un comune sentire nei
confronti della versificazione e della metrica in particolare. Lo fanno
proponendo ciascuno dieci poesie ognuna delle quali ha ottenuto un qualche
“riconoscimento” da una delle molte giurie di concorsi letterari sparse nel
nostro bel paese. Ed è proprio questo che mette in difficoltà il critico o
colui il quale si trovi ad analizzare un poeta in base a testi che volenterosi
giurati hanno già valutato con i criteri più disparati, nelle condizioni più
diverse, spesso suggestionati dall'emotività del momento. Sono allora la
ragazzina stuprata, il bimbetto trovato morto sulla spiaggia, i migranti, i
barboni e quanti sono dentro e fuori la società contemporanea: temi che spesso
si portano appresso la lacrima facile e colpiscono “di pancia” il lettore.
Insomma, il genere di poesia che viene proposto nei concorsi letterari fino a
che punto disvela il poeta premiato? Spesso ci si domanda quale sia la sua vera
anima poetica e se ciò che lo farebbe riconoscere in modo più duraturo stia qui
o altrove.
Fra
gli scrittori esaminati è certamente Umberto Vicaretti quello che indulge
maggiormente alle tematiche dell'ora presente (“Fiori di Bodrùm”, “Stabat
Mater”) attingendo ampiamente ai fatti di cronaca. Lo fa però con una tecnica
perfetta e con immagini molto delicate che connotano subito le sue liriche,
riscattandole da quel dettato apparentemente legato a stilemi di fine ottocento
che sembrano pervaderle. Anche i sentimenti familiari hanno spesso questa “aura
contrastiva” che lo pone a icona di poeta fuori del suo tempo senza che
ciò limiti in alcun modo la sua
produzione.
Più
attuale invece è il modo di esprimersi di Pasquale Balestriere. Sono poesie
intimiste di notevole spessore e dove il dettato prosodico ha talvolta qualche
brusca impennata che ne interrompe il fluire “rotondo” per mettere maggiormente
in evidenza le lacerazioni interiori. È quello che siamo rispetto a quello che
avremmo voluto essere il motivo conduttore di molte sue liriche: ricordi che si
affastellano, speranze e illusioni divenute cenere nel mare burrascoso della
vita, dotte citazioni che si aprono a strati come matrioske svelando altri
mondi di segni e di sensi.
Parlare
di Carla Baroni, invece, mi è più facile perché conosco meglio le sue opere e
ho scritto la prefazione di alcuni suoi testi. È una poetessa che ama porre in
versi narrazioni sempre al discrimine tra realtà e finzione che trovano la loro
naturale struttura nella forma del poemetto. Viene in ciò aiutata da una bella
facilità a comporre soprattutto endecasillabi. Per il lettore che non la
conosce credo sia difficile capire in quali liriche questa autrice si sveli
completamente e in quali prevalga al contrario il suo mondo immaginale. Una
caratteristica che la distingue dagli altri compagni di cordata è l'ironia, il
prendere in giro se stessa e gli altri con leggerezza e finezza. Si veda “La
pozione”, piccolo calembour fra tante poesie serie. Per Carla lo scrivere è
giocare, esorcizzare la solitudine, vincere il male oscuro della vita.
Per
ultimo ma non da ultimo Nazario Pardini, poeta assai prolifico come testimonia
la sua scheda bio/bibliografica, è il più descrittivo dei quattro. In ogni suo
testo c'è un ampio margine dedicato alla
narrazione dei luoghi che non è mai fine a se stesso ma tramite di un
nostalgico riappropriarsi del passato. Forse a una prima lettura possono
risultare slontananti tutti quei nomi non comuni di erbe e di uccelli che
popolano ogni suo scritto. Eppure quel lessico definisce un mondo e rivela alla
fine quel grande amore per la natura di cui l'autore si sente elemento
interagente. Anche la Delia qui ricordata niente ha a che fare con la donna
amata dai poeti neoterici, è piuttosto l'eterno femminino, il complemento
dell'uomo, anche lei elemento inalienabile di una stagione della vita, la
giovinezza o addirittura giovinezza essa stessa.
Restano
ora da individuare le ragioni sottese a questo libello dall'aulico titolo con
il suo “viaggio verso la luce” . A mio avviso la chiave migliore di questa
“serratura” sta nell'immagine stilnovistica del “vascello” usata dagli autori
nella nota introduttiva. Si tratta di un vero sodalizio poetico composto da
quattro voci fra loro molto diverse con
linguaggi e scelte assai disparati ma tutti quanti accomunati dalla fede
nel valore civile e formativo dell' Alma poesia appunto.
Gianni
Cerioli
Caro Gianni, grazie per le tue acute riflessioni. Con me hai giocato in casa perché conosci tutta la mia produzione e sai quanto mi piaccia inventarmi personaggi e situazioni. Alla faccia di tutti coloro che prendono per oro colato tutto quello che scrive un poeta e lo attribuiscono alla sua personale esperienza. Certo ognuno attinge inconsciamente al proprio vissuto ma una come me che ha avuto una vita così poco avventurosa e gratificante deve pescare necessariamente nel mare dell'immaginazione per scrivere ogni tanto qualcosa di diverso. A tale proposito mi viene sempre in mente la Spaziani che circa ottantenne scrisse "La traversata dell'oasi", silloge amorosa di grande successo. Ma ancora di più mi colpi una sua lirica in cui esprimeva i suoi timori a far l'amore in auto a causa del "Mostro di Firenze". Ora la Merini ci ha insegnato che anche una donna molto in età come lei godeva ai tardivi amplessi ma neppure se me l'avesse giurato avrei mai creduto che la Spaziani, già avanti con gli anni, si appartasse come una fanciulletta nell'abitacolo di una macchina. E mi viene anche da sorridere alle dotte disquisizioni sulla poesia e di come dovrebbe essere. La poesia è divertimento, è giocare con le parole: e quindi ognuno scriva come crede, come gli riesce, come gli piace senza alcun condizionamento.
RispondiEliminaGrazie, Gianni, di avermi anche dato l'occasione per esprimere tutto questo.
Carla
Il Prof. N. Pardini, in riscontro ad un mio pensiero sulla poesia di oggi ebbe a scrivere qui che: FARE POESIA (anche oggi) -E' UNA COSA SERIA- per il lavorio mentale, interiore ed anche fisico con le sue notti insonne in attesa dell'estro creativo che il fare -vera- poesia impone. Se così è, implicitamente, conseguentemente, il poeta non può dare, "ALLA FACCIA DI TUTTI COLORO CHE PRENDONO PER ORO COLATO TUTTO QUELLO CHE SCRIVE UN POETA e lo attribuiscono alla loro personale esperienza", in pasto poesia cosa che poesia non è in quanto privo di pathos per cui l'autore diviene (senza voler offendere nessuno) -bugiardo- prima con se stesso e poi col suo potenziale lettore. Che l'autore possa divertirsi nel scrivere poesie può anche starci, ma giocare con le parole per prendere in giro chi legge non è certo da (vero) poeta. Pasqualino Cinnirella
RispondiEliminaRICEVO E PUBBLICO CON CORREZIONE APPORTATA: CREDE IN CREDONO
EliminaBene, caro Pasqualino, Lei è uno di quelli che credono che Dante sia andato davvero all'Inferno, in Purgatorio e in Paradiso. Oppure il bugiardissimo Alighieri non era un vero poeta? A lei la scelta. E mi raccomando non trascorra le notti insonni: ritengo che non ne varrebbe la pena. Sempre con molta stima
Carla Baroni
Così, cara Carla, sarei tra quelle persone DABBENE che credono tutto e a tutti nel senso dispreggiativo del termine equivalente a babbeo. Può anche darsi che l'essere onesto, anche in poesia, vuol dire questo allora dici bene che passare delle notti insonne per la poesia - non ne varrebbe la pena- è quindi anche scriverne. Certamente non ho creduto mai che Dante sia andato con i propri piedi nei luoghi da Lui descritti ma ho creduto e credo nel valore etico e pedagogico della poesia e al valore intriseco dell'arte poetica quale espressione primaria dell'essenza Uomo. Pertanto, il sottoscritto -babbeo- non si sarebbe mai permesso di scrivere quella frase (per me offensiva) che, a mio avviso, ha mortificato e mortifica l'immagine etica e di poetessa acclarata dell'autrice; di tutti coloro che scrivono con il cuore (buona o meno buona) poesia; ai propri ignari lettori e non certo per ultimo al blog che l'ha ospitata. Visto che s'ha giocare con le parole poteva esprimersi diversamente da come l'ho ha fatto. Certamente, ne avrebbe guadagnato la Sua statura di donna di cultura. Pasqualino Cinnirella
RispondiEliminaRICEVO E PUBBLICO
EliminaCaro Pasqualino, a parte che non ho ben capito quale sia la frase che l'ha indignata così tanto, con il mio commento non volevo assolutamente offendere né chi mi legge né tanto meno lei che non credo, peraltro, abbia mai neppure visto qualcosa di mio se non le scherzose poesie che appaiono su questo blog. Io volevo solo ribadire che il poeta è uno scrittore come un altro che si avvale, però, per i suoi testi di un particolare genere letterario. Io racconto storie: nell'“Osteria del Cavallo” descrivo la vita in uno di questi caratteristici luoghi di incontro che vanno irrimediabilmente estinguendosi, nello “Zufolo del Dio silvano” gli amori di una donna per una “divinità” conosciuta per caso, e così via. E quindi, secondo la sua logica, io avrei avuto l'obbligo – per fregiarmi del titolo di vera poetessa – di frequentare bettole e rotolarmi sui prati con chicchessia. Qualora ciò non fosse avvenuto mi sarei dovuta limitare a quelle stucchevoli poesie in cui si descrive il frantumarsi, nel tempo, dei sogni dell'infanzia. Avevo citato, a sostegno della mia tesi, la Spaziani, scrittrice che rimarrà nel ricordo se non altro per la sua bellissima “Giovanna d'Arco” per non tirare in ballo autori più carismatici come l'Ariosto, il Tasso, Shakespeare che inventato hanno e parecchio. Ma per restare agli autori minori crede, per esempio, che la “Miranda” di Gozzano sia storia vera? Legga, Pasqualino, legga e capirà tante cose. Comunque lei è padronissimo di esprimere le sue opinioni: quello che non mi va è l'acrimonia e la villania con cui le ha espresse. Io non sarò una vera poetessa ma non per le ragioni da lei addotte e che non stanno né in cielo né in terra. Se poi lei è uno di quelli che credono di potere, con la poesia, cambiare il mondo resti nella sua convinzione ed io rispetto in pieno la sua vocazione di missionario. Quanto babbeo, dabbenaggine e company si è fregiato da solo di tali titoli. Questo le dovevo anche se ritengo che non comprenderà appieno ciò che le ho detto perché noi due, per fortuna, viaggiamo su lunghezze d'onda lontanissime e diversissime tra loro.
Carla Baroni
E restavo di non aver fatto errori come mi capita di sovente: la "Miranda" è di Fogazzaro. Mi affretto a fare la correzione prima che mi leggano i miei amici Soloni. Allora sì, le critiche e anche ben meritate. Chiedo venia per il refuso
RispondiEliminaCarla Baroni
Ringrazio di cuore il prof. Gianni Cerioli per questo intervento così sapido e ricco di spunti significativi.
RispondiEliminaPasquale Balestriere