Lorenzo Spurio: Tra gli aranci e la menta. PoetiKanten
Edizioni. Rende (CS). 2016. Pg. 88. € 12,00
“Non so perché ancora parli.
C’è un vento freddo che in
questi giorni fa cadere impietosamente le foglie del fico nel mio piccolo
giardino. Alcune cadono scomposte ma lievi, altre quasi sbattute con caparbietà
in qualche angolo del muretto che lo cinge. C’è in me un fremito di dispiacere
in questo lento spogliarsi dell’albero che fino a poco fa era rigoglioso e
grondava di frutti così ricchi.
Le foglie che cadono non sono
neppure gialle o arricciate.
Non sono come quelle
dell’ippocastano, ammorbate dall’ittero…”
Non
è sicuramente difficile, trattandosi di un’opera monotematica, cadere nel rischio della ripetitività verbale o contenutistica,
dacché la poesia chiede e pretende libertà e fa di questo valore il cardine
primo della sua entità etica ed estetica. Ogni argomento è sicuramente buono
per il canto, ammesso, però, che venga filtrato dall’anima; venga macerato da
un sentire complesso e articolato,
semplice e generoso. Ma qui nessuna costrizione,
nessun adattamento, considerando che l’autore ha fatto suo il tema, se ne è
impossessato anima e corpo, riuscendo,
così, a trasferirlo dal soggettivo all’oggettivo; dal singolare al plurale; lasciandolo
a decantare nella sua interiorità, per tramutarlo in immagine poeticamente
matura per un verso completo, per una forma che dica di equilibrio fra
sentimento e costrutto. E iniziare da questa pagina, inserita dall’autore come
momento incipitario dell’opera, significa andare da subito a fondo alle
questioni che motivano le composizioni del poema. Un incontro tra Lorenzo
Spurio e Garcia Lorca. O meglio tra la vèrve creativa dell’Autore e la via
crucis dello spagnolo (il mistero della sepoltura, la morte violenta per mano
di nazionalisti, la ricerca della libertà in un frangente storico tragico come
quello della guerra civile). Già in questa lettera e nel prosieguo del poema
non è difficile rimarcare le caratteristiche fondamentali che accomunano i due
scrittori: il panismo esistenziale, lo scialo di descrizioni che concretizzano
stati d’animo e pensieri, la coscienza del tempo e della fugacità del vivere;
la valenza umana per una missione civile; e la ricerca attenta e puntuale del
verbo in vista di una cifra letteraria asso-consonantica, figurata,
comunicativa e multicorde; e soprattutto un amore viscerale per la vita, per il
suo percorso tanto problematico quanto fortemente amato. Undici composizioni che con un climax
ascensionale si concludono con la ingiusta quanto tragica uccisione di uno dei
maggiori poeti della seconda metà dell’altro secolo che ha avuto un ruolo
determinante nella scena socioculturale e artistica dell’epoca: Il Romancero gitano, il Canciones, l’elemento folcloristico e la
suggestiva e tipica decorazione di gitani, tori, chitarre e inferriate, dove il
valore impersonale del romance, la vecchia forma di ballata narrativa
medioevale, usata ancora oggi dal popolo spagnolo, hanno offerto a Lorca la
base sonora e formale per il suo Romancero e non solo. Ed è proprio nelle Canciones più che nel Romancero gitano la
vena di maggiore allegria e di maggiore umore: ne fanno testo la Giostra
o la canzone dedicata A Irene, donna di servizio, dove incontriamo il
magico e misterioso arbolé, vecchio tema ronsardiano dell’invito a godere della
giovinezza e della primavera: “Nel boschetto/ i pioppi ballano – l’uno con
l’altro./ e l’arbolé – con le sue quattro fogliette/ balla anche lui – Irene!”. Ballate, reminiscenze di feste e musiche
popolari, armonie, giochi di scarti semantici e callidae iuncturae,
testimonianze consonantiche di vita e poesia, amore per la propria terra, e per
tutto ciò che la distingue. Troppo lungo sarebbe il discorso sulle genialità
stilistica, filologica, e poetica di Francisco Garcia Lorca. Ma quello che a
noi interessa è, soprattutto, il distendersi dello spartito poematico di
Lorenzo Spurio; il suo Elegia per Lorca;
il verseggiare ampio e denso, polivalente e ontologicamente vicino a un impegno
civile e letterario, ricco di sinestetici allunghi e di cospirazioni iconiche.
Undici ampie composizioni che seguono con plurale partecipazione una vicenda
triste e dolorosa, alimentata da primavere e rocce, da Sierre e nuvole, da
quadri sapidi di panismo empatico dell’andaluso; dei paesaggi che tanto amò e
di cui tanto ci ha detto nelle opere:
(…)
Osservavi la Sierra che buca le nuvole
o componevi melodie con foglie
e formiche?
Suona pure coll’aria che noi
respiriamo!
La storia si fermò senza
dilungamenti
quella dei libri è stantia e
deforme.
La roccia scheggiata è
primavera di lutto,
tu che mostri la faccia della
Spagna. (La luna si
nasconde).
Una
vera compenetrazione fra tragedia, sole e stelle; fra il vociare di maldestri
assassini e il disseccarsi dell’acqua putrida dei pozzi:
(…)
Quando cadesti, il sole non
mutò piglio:
solo il vociare sommesso di
maldestri assassini,
la polvere densa delle buche
scavate
che il plotone-fantaccio
sentenziò.
Nel fragore secco e assordante
del piombo
ti sollevasti non visto fra un
pianto di stelle.
L’acqua putrida dei pozzi si
disseccò.
Sul volto un sorriso di gigli
freschi. (Il bivio di campagna).
Tutto
l’intorno partecipa al dolore: le piante ammutoliscono; i rami impongono il
silenzio; le rane vagano stordite:
(…)
Le piante quel giorno hanno
smesso di parlare:
gli acuminati rami superbi
imposero il silenzio
e da allora le rane vagano
stordite e deluse
carche di disprezzo per la
vita che urge. (Nella
roccia vescovile).
Un
parenetico invito al ricordo, a non dimenticare; al rimando perenne di valori e
virtù; a messaggi di libertà in memorie
di sapienti; in calli e città di bianco verniciate:
Morto è solo chi si dimentica
e scompare
come una cicogna nera nella
notte petrolio
ma tu ancor vaghi in memorie
di sapienti e
in calli strette delle città
di bianco verniciate,
tu che perfori il tempo immortale,
giovane e bello.
Alza per noi le rocce a scovar
gli scorpioni e
fa che la luna rinnovi il
solletico della mente! (L’odore dei tuoi colori).
Il
poema procede, passo passo, con gli scarti emotivi dell’Autore che in uno
spartito di simbiotica fusione fra subbugli epigrammatici e vita spezzata di
uno spirito ribelle e libero, sanno mondi di soprusi di cui bene ci disse
Picasso nel suo Guernica. E il tutto si
snoda con intrusione coinvolgente e verticalmente graffiante:
da
“La luna si nasconde”
a
“Nella roccia vescovile”
momento in cui Lorca
viene portato nel vecchio palazzo del vescovo Moscoso y Peralta;
da
“Tagliami l’ombra”
dalla poesia “Canción
del naranjo seco”;
a
“C’era Amnon”,
ispirata alla poesia
“Tamay Amnon” inserita in Romancero Gitano che tratta della vicenda amara di
Amnon;
da
“Non lontano dal limoneto”
che fa riferimento al mistero
della sepoltura,
per chiudersi con una
arrampicata finale a vette di partecipato lirismo:
cercatemi là, non
lontano dal limoneto nauseante
dove sosto ad
abbeverarmi del nettare acido
per tornare a vagare
nei dintorni confusi
e abitare smanioso ogni
luogo del campo
È qui che
il Nostro, con soluzioni linguistiche di rara potenza iconica, offre la netta visione
di uno dei sentimenti più nobili e umani di Federico: l’attaccamento alla vita
e alla propria terra, a “ogni luogo del campo”. Una affezione che Spurio ha
sentita talmente sua da farne il punto luce di tutta la raccolta: il vagare e
un visionario abitare; il compimento di un iter vissuto, incamerato e tradotto in
struggente valenza realistico-emotiva.
Nazario
Pardini
Mi permetto di richiamare l'attenzione su questo giovane autore, poeta e scrittore, che a mio avviso ha le carte in regola per imporsi nel panorama letterario nazionale. Di Lorenzo Spurio ho letto, tra le altre opere, Neoplasie Civili, raccolta di poesie con la sua “commossa capacità di ragionamento” come scrive nella Prefazione Ninnj Di Stefano Busà , e le opere di narrativa: La cucina arancione e L'opossum nell'armadio. Ad un certo punto nel prendere atto che Lorenzo Spurio è un operatore culturale che svolge un'intensa attività: Direttore di Riviste, Critico letterario, Presidente di vari Premi Letterari, promotore ideatore selezionatore della possente Antologia Convivio in Versi, Mappatura Democratica della Poesia Marchigiana, ho cercato di entrare in contatto con lui. Questo solo per invitarlo a concentrare maggiormente il suo impegno, visto che ne vale la pena, sulla propria attività creativa.
RispondiEliminaOra Nazario Pardini ci presenta l'ultimo lavoro di Lorenzo Spurio:Tra gli aranci e la menta, volume che mi ripropongo di leggere. “Un incontro tra Lorenzo Spurio e Garcia Lorca.” come lo definisce il Pardini nella preziosa Prefazione, dove si legge: “Ma quello che a noi interessa è, soprattutto, il distendersi dello spartito poematico di Lorenzo Spurio; il suo Elegia per Lorca; il verseggiare ampio e denso, polivalente e ontologicamente vicino a un impegno civile e letterario, ricco di sinestetici allunghi e di cospirazioni iconiche.
Complimenti all'autore e al prefatore.
Ubaldo de Robertis