Relazioni
di Federica Sciandivasci e Roberto De Luca del libro SARABANDA di Salvatore
Casolaro. Una delle serate della Rassegna Iplac particolarmente riuscita
SARABANDA
La
struttura
Ignoro se Salvatore abbia voluto dare un ordine
ai suoi racconti, un ordine cronologico ad esempio. Ad ogni modo se anche ci
fosse, non è questo che ha colpito la mia lettura e attirato la mia attenzione.
C’è, sicuramente, una forte componente di ironia scanzonata, di quelle che ti
parlano con leggerezza ma che ti depositano nell’animo piccole grandi verità. I
racconti sono brevi e in questo trovo la loro più grande forza. Sono degli
spaccati di vita vissuta, episodi caratterizzati da colori, suoni, odori e
tattilità che non hanno un vero e proprio inizio né una netta conclusione,
restano come sospesi. Sono delle “zummate” fatte con la macchina fotografica
che hanno senso e bellezza nel loro esistere “adesso”, nel momento in cui il
lettore le vede con l’immaginazione, senza un prima o un dopo.
Il prologo ci offre da subito l’idea dello
stile dell’autore e, soprattutto, del suo modo di essere e di osservare le
“cose” con acume, sarcasmo e precisione, talvolta con nostalgia. Ma sempre si
percepisce nella scrittura di Salvatore una forte componente di “indipendenza”,
quasi una sorta di ribellione alla consuetudine, a ciò che è considerata dalla
maggioranza delle persone la “normalità”. E in questa componente scopriamo
l’originalità della scrittura di Salvatore, e l’eccezionalità dei suoi
racconti.
Dicevamo del Prologo. Da subito siamo conquistati dalla narrazione di episodi
che hanno del comico, grazie ad una penna che si fa leggera e al ricorso ad un
lessico molto colorato.
Il protagonista è Lorenzo un bimbo che, sin
dalla nascita, e per tutta la vita è circondato, accudito, amato e talvolta
sopraffatto dalla presenza femminile. Dapprima è la madre, “di animo molto
forte” e dalla “personalità (…) travolgente” che da subito gli fa capire che il
mondo è dominio del matriarcato; poi sono le tre sorelle che l’autore chiama
“valchirie-sorelle” sempre “pronte a sparare mitragliate di parole”; poi sono
le donne che frequentano la casa, le “procaci megere”; infine è la volta di una
bimba sua coetanea, che definisce una “scaltra e perfida mocciosetta”. “È così che stai crescendo Lorenzo? – gli
dice la madre –Ti fai prendere in giro da una bimba? Tu sei maschietto, sei tu
che devi prendere in giro loro!”. L’unica figura maschile del racconto è il
padre del quale dice che “completamente
sopraffatto non solo dal numero, ma anche dalla tracotanza di tante femmine,
aveva rivolto la sua vita al procacciamento del necessario da vivere per quelle
bocche affamate”, dunque una figura che da punto di riferimento, quale
dovrebbe essere, viene totalmente oscurato nel suo ruolo di capofamiglia e di
“uomo” dalle femmine di casa. La morale della storia? Che Lorenzo capisce di
essere molto vulnerabile al fascino femminile, che a differenza delle donne
della sua famiglia, e non solo, non ha nessun senso degli affari e che dovrà
vita natural durante diffidare da chi porta la gonna!
Altro episodio davvero spassoso, intitolato Il massaggio, è un racconto dentro il
racconto. Il protagonista decide di dedicarsi una giornata in totale libertà e
dopo aver visitato musei e siti archeologici entra in un centro benessere e
prenota un massaggio thailandese che, alla fine, va ben oltre il semplice
massaggio diventando una prestazione erotica ad un prezzo esagerato! Ma la
presenza di candele e incensi profumati nel centro olistico riporta alla mente
il ricordo di un altro episodio, esilarante e terribile al tempo stesso,
accaduto molti anni addietro, quando nel corso di un amplesso con una
bellissima donna che l’autore descrive come “maliarda”, “splendida concubina” e
“avviluppatrice”, all’improvviso le candele accese sul comodino danno fuoco
alle suppellettili e alle lenzuola. La parte esilarante è che il protagonista,
nonostante il fuoco incalzi, pur di portare a termine il rapporto con la
ragazza e realizzare la piena soddisfazione di entrambi, compie acrobazie mai
viste degne di un vero circense, ricavandone però solo una ustione di 3° grado
alle mani, la distruzione di mezza casa e la perdita della ragazza che alla
fine urla “più terrorizzata che
soddisfatta”.
Di tono diverso è il racconto intitolato ‘O scannetiello. Qui la penna di
Salvatore si tinge di tenerezza, di un soffio di nostalgia quando parla di
Napoli, la sua Napoli. L’autore non torna nella sua città natale da troppo
tempo e l’occasione non è delle più allegre: la cessione della licenza per la
sua tabaccheria, un locale di 15 metri quadrati che lo aveva visto, appena
ventenne, lavorare 10 ore al giorno dietro al bancone principale appollaiato su
uno “scannetiello”, appunto, uno sgabello di legno che è anche simbolo di tante
storie di gente passata per la tabaccheria e che ora non c’è più. C’è però
ancora la casa di famiglia e ciò che vede e sente l’autore, quando la mattina
seguente esce da quella casa, è “un senso di familiarità e di pace che non
assaporav(a) più da secoli”; entra nella piazza, dove tutto sembra essere
rimasto immutato, per gustare un buon caffè e questo lo riporta indietro nel
tempo, agli ultimi anni della vita trascorsa nella tabaccheria con il padre.
Ricorda quando con il padre passava davanti ai tavoli del bar più importante
della piazza e di quando vari rappresentanti della “magnanima nobiltà
napoletana” salutavano il padre con affetto e rispetto – proprio lui, che
indossava abiti logori e macchiati. Girando per i luoghi conosciuti l’autore si
rende conto che molte cose sono cambiate, la crisi economica ha fatto alzare il
prezzo degli affitti degli immobili costringendo i commercianti ad abbandonare
le proprie attività. Una profonda tristezza lo invade specie quando prende atto
che, paradossalmente, a tutte queste attività artigianali che chiudono,
corrisponde un triste proliferare di ristoranti di tutti i tipi – vegani,
cinesi, hamburgerie. Un profondo silenzio scende su ogni luogo e l’autore si
domanda: in che direzione sta andando questa moderna Napoli e soprattutto “c’è
ancora posto per uno scannetiello?”. È un pensiero di rara poesia quello che
chiude il racconto. E proprio di poesia
desidero parlare, perché Salvatore è anche poeta e alterna ogni suo racconto a
liriche dal verso libero, che traggono variamente ispirazione.
In “Città
di mare” , ad es., c’è un bel parallelismo tra il corpo nudo della donna e
il mare della sua città (Vestita,
spogliata, truccata e immutata/ti dicono t’amo e ti impongono il morso/ma
ritorni ogni volta selvaggia e ribelle. Perché puttana e strega tu sei/ma anche
libera e vera/come ogni città di mare).
Altre volte la poesia trae ispirazione da un
acquerello che ritrae un notturno di paese (che dà anche il titolo alla poesia
“Acquerello notturno di paese”);
altrove le poesie nascono dalla riflessione sull’inarrestabile scorrere veloce
della vita come nella lirica “Angoscia”,
o dall’urgenza di fuggire da tutto, forse anche da se stesso, come nella poesia
intitolata “L’urlo” (E ho visto anche me tra loro/senza anima e
senza pensieri che mi appartengono/cammino senza conoscere il cielo sulla mia
testa/amo senza amore).
Ora invece è la donna – sconosciuta o amata che
sia – al centro dei versi di Salvatore, come nella poesia “Il piacere del sesso” (Un
materasso sul pavimento e una candela./ Quattro mura vuote chiudono uno spazio
di nessuno./ Solo i nostri corpi nudi possono entrare/ le parole restano fuori
con i vestiti).
Sento, nella poesia di Salvatore, una corrente
di forte sensualità, una forza passionale che talvolta viene gridata, altrove
viene sussurrata, come se la vita esplodesse dentro l’anima e il corpo non
riuscisse più a contenerla nei propri limiti fragili e caduchi e cercasse nuovi
luoghi da conquistare. Illuminanti sono i versi della poesia “Soffio di vita” dove il poeta scrive “C’è il mondo al di là della mia anima/E
nella mia anima c’è una finestra sui tetti delle case/E nessuno mai potrà
chiudere quella finestra” o altrove, quando il poeta afferma “Voglio essere padrone della mia vita,
afferrarla, succhiarne tutta la sua essenza/e diventare immortale”. È una
poesia fatta di carne e sangue, di vita vissuta, di sentimenti profondamente
radicati nella carnalità e nella dimensione più “terrena” dell’uomo, anche
quando le parole – narrate o verseggiate che siano – diventano preghiera e
recitano “E allora ti prego non per la
mia anima ma per il mio corpo/non per l’eternità ma per la caduca vita/e per
lei accanto a me”.
Aggiungo che nell’opera di questo artista
poliedrico, narrativa e poesia si
contaminano vicendevolmente; nella poesia i versi si fanno quasi racconto, sia
nella lunghezza del verso sia nella punteggiatura che nello stile
“descrittivo”. Nei racconti, invece, scopriamo delle finestre di grande
liricità che ci dicono qualcosa di più sull’universo interiore dell’autore,
come nel racconto intitolato Dono a chi
non c’è, una lettera dedicata al figlio mai nato che è anche una pura
affermazione di vita: “bisogna prendere
la vita a piene mani, considerare ogni giorno come fosse l’ultimo e alla fine
della sera chiedersi cosa abbiamo imparato di nuovo rispetto al giorno
precedente”.
Ma le sorprese, con il libro di Salvatore, non
sono finite. Perché a illustrare i testi vi sono le suggestive fotografie in
bianco e nero del fotografo di fama internazionale Andrea Alfano, specialista della fotografia documentaria. Si crea
un sottile silenzioso dialogo tra la parola scritta e le fotografie, le quali
per lo più suggeriscono momenti di vita di tutti i giorni, senza clamori o
virtuosismi, ma con tutta la forza e l’impatto emotivo della realtà.
Una curiosità per chiudere questi miei pensieri
sull’opera di Salvatore Casolaro: Sarabanda è una parola che deriva dallo
spagnolo zarabanda, ma ancora più
indietro nel tempo dall’arabo- persiano serbend
che significa “danza con canto”. Mai titolo fu più azzeccato perché nella
mia immaginazione di lettrice, la parola “Sarabanda” mi fa pensare alle danze
popolari, alle tradizioni che si vanno perdendo, ai lavori di artigianato che
oramai nessuno fa più, alle tante storie che in passato si tramandavano
oralmente, anche con canti e danze. E Salvatore è un cantastorie puro, di
quelli che non ti stanchi mai di leggere perché le sue storie sono “veraci”,
come la terra che lo ha visto nascere.
Federica
Sciandivasci 09/10/2016
Sarabanda di Salvatore
Casolaro
Sarabanda
è un acquerello fatto di racconti (principalmente), di poesie, che fanno da
intermezzo e di fotografie che, a nostro avviso, sono un manifesto al contenuto
delle storie. Queste tre arti sono cucite l’una all’altra , tre a tre, nei vari
temi trattati nel libro. Esse , in
questo testo, pur esprimendo insieme un senso generale come voluto dagli
autori, risultano abbastanza autonome e lo sono in virtù del fatto che ognuna
esprime chiaramente i significati, senza bisogno di appoggi . Come dire che sia
la poesia che i racconti non hanno
bisogno della fotografia per essere rappresentati, né quest’ultima, che è opera
di un altro autore( Andrea Alfano per la cronaca) ha bisogno degli scritti per
essere spiegata. Le varie argomentazioni
sono pane quotidiano e già a un primo approccio risultano ben pescate nel mondo
di oggi , nel suo incontro-scontro con l’individuo e, come accade spesso nei
testi che conservano un’anima, sia gli argomenti che le immagini diventano
spesso un semplice mezzo, usato per parlare di ben altro. Nel racconto O scannetiello per esempio ,
non è tanto importante la storia in se’( a non dargli importanza è l’autore
stesso, anche se il lettore lo percepisce in maniera autonoma), ma importante,
per quel che concerne il valore di quest’opera, sono lo sguardo dell’autore che
si intravede tra le righe mentre visita la sua città natale, il suo chiedersi
il perché di alcuni cambiamenti e il suo constatare come altre cose non siano
mai cambiate, intanto che il suo occhio indagatore vola su qualcosa che gli è appartenuto e a
cui è ancora legato affettivamente. C’è
tenerezza e una nostalgica
malinconia nel rilevare questi mutamenti
e un po’ di rabbia nel vedere come alcune cose siano andate peggiorando
rispetto a un passato in cui il nostro paese intero, diciamocelo pure, si
trovava in un clima di minore incertezza, sia politica che socio- economica. E
in effetti, in questi racconti, sono rilevabili anche delle denunce sociali che
navigano in una sorta di discrezione che a sua volta è molto eloquente, celata
sempre tra le righe di una prosa che parla di artisti di strada , di cuochi
alla ribalta e di escort , del sesso a pagamento, la cui presenza in alcune
situazioni, ma anche nella quotidianità, rappresenta ormai la quasi totale
normalità.
In
Sarabanda lo scrittore , molto diligentemente, si esime dal dare, o dal far
trapelare, giudizi diretti sulla società o sui singoli individui e altrettanto
diligentemente, poiché ciò è richiesto dalla buona letteratura, egli si limita
a raccontare situazioni, o a esporre atteggiamenti che, cosa di non poco conto,
ci fanno anche sorridere . Ciò accade semplicemente perché spesso anche noi ci
siamo ritrovati a vivere le stesse esperienze e leggendo questo libro ci si
meraviglia per il modo leggero e garbato
con cui ci si ritrova introdotti in quelle trame.
Aldilà
dei regimi autobiografici che dominano i primi
racconti, diremo che in questo libro, man mano che si va avanti nella
lettura, ci si rende conto che l’ autore
sale i gradini della sua scala narrativa
verso altri lidi e approda a racconti come quelli intitolati Cuore di chef e Il
treno, dai quali esce in maniera incontrovertibile tutto ciò che abbiamo
già detto . Il fatto che nel primo di
questi due racconti venga esposto chiaramente l’atteggiamento egocentrico e
arrogante dello chef, fa emergere nel lettore la stessa distaccata ironia con
cui si presume l’autore stesso guardi il suo cuoco, personaggio cui, attraverso
i programmi di cucina dai quali siamo bombardati, è stato dato un potere mediatico
che forse non gli spetta. Ne Il treno la trama è più intima e lui
stesso, il protagonista, nonostante capisca e voglia a tutti i costi adattarsi
alla realtà, egli resta, nei retroscena del pensiero, come sbigottito
dall’atteggiamento così sveglio e naturale,
preponderante oseremo dire, assunto dalla donna con cui ha a che fare, fermo
restando che questo atteggiamento di stupore, o di sguardo stupito che a volte
appare dietro le quinte, pervade un po’ tutti i racconti e anche buona parte
delle poesie. Ma non si ferma a questo la scala narrativa di Salvatore Casolaro
.Essa è composta anche da altri gradini da scendere o da salire e, da una prosa
dove egli stesso, col proprio bagaglio di ricordi, o il suo essere uomo sono direttamente coinvolti, egli passa
facilmente al ruolo che secondo noi
meglio gli compete, ossia a quello di osservatore puro. E’ il caso del racconto intitolato L’amicizia . Ora, che si tratti di pura
invenzione o di realtà non si sa . Facile è pensare che si tratti di entrambe
le cose, coadiuvate dalla creatività dell’autore. Diremo che, aldilà della trama stessa, dove
appaiono un suonatore ambulante e un cane, poi un altro suonatore e un altro
cane, ciò che attrae veramente in questo racconto e che lo rende uno dei più
interessanti della raccolta, è che, come osservando dal tavolino di un bar,
l’autore riesce a un certo punto a trasformare la piazza in cui si svolge la
vicenda in una specie di palcoscenico teatrale o, più precisamente, in un
palcoscenico dalle caratteristiche circensi.
Bene:
abbiamo appena usato l’espressione – a un certo punto- e diremo altresì che nel contesto di questo
racconto l’espressione è giusta, perché
è proprio – a un certo punto- e
soltanto – a un certo punto- che ci si accorge del valore di questa
storia. Da par mio, appena iniziata a leggere, mi sono chiesto dove potesse
portare una storia che alterna la semplice descrizione dei comportamenti di un
cane a quella degli atteggiamenti di un
essere umano, ma ecco che subito arrivano gli altri due simili e a quel
punto le vicende si intrecciano. In quel
momento si apre il sipario del palcoscenico di cui parlavamo e
vanno in scena le difficoltà che inevitabilmente si incontrano prima di
giungere a un’amicizia vera. Nulla è gratis, sia per gli esseri umani che per
gli animali e su questo scenario si instaura la commedia della vita , con una
fuoriuscita di senso lenta e multiforme, come fosse una musica dolce che arriva
pian piano al dunque, un po’ come accade nei racconti di Cechov, se vogliamo
fare un paragone.
Questo
libro, nel complesso, sia nei racconti
che nelle poesie, esprime in pieno ciò che viene evocato dal titolo. Sarabanda
è una danza che a sua volta evoca intrecci lenti e amorosi, ma anche confusione
e stordimento, nel senso che il soggetto del libro si trova spesso a vivere
situazioni non proprio volute. Nel caso del racconto intitolato Il massaggio , in cui una proposta è più che esplicita,il protagonista,
che parla in prima persona, si ritrova a ripensare a un’esperienza erotica già
vissuta. Ora, non si sa con quali scopi o con quali speranze egli sia entrato
nel centro benessere, fatto sta che si ritrova col sesso in subbuglio e accetta
la proposta, vittima di un mondo che offre sesso a pagamento senza lasciarti
una vera e propria libertà di scelta.
Comunque, i racconti sono scritti in modo scorrevole e si divorano in un
attimo. Quelli, come dicevamo, che volgono più verso l’autobiografia, essendo
legati al ricordo, hanno ritmi lenti, con contenuti dolci o amari a seconda dei
casi. Le vicende escono dalla penna dell’autore ricche di sentimento, in un
coinvolgente tuffo in ciò che più è rimasto piantato nel cuore o nella mente,
mentre gli altri, quelli che parlano del presente per intenderci, sono intrisi
di azione e di un ritmo accelerato che porta verso finali in cui l’autore
lascia uno spazio abbastanza ampio all’interpretazione del lettore.
In un mondo indifferente ho
scrutato i volti della gente, dice l’autore nella poesia
intitolata Richiamo. Ebbene, la
poesia ha il potere di chiudere il mondo , l’immenso, in uno scrigno fatto di
versi, che è anche quello del sentire dell’anima da cui parte l’impulso. Tutto
si trasferisce in una regione sospesa tra fantasia e realtà , in un qualche
emisfero parallelo che conserva sempre una qualche verità.
Queste
poesie di Salvatore Casolaro, vengono buttate fuori dall’anima di getto e
soprattutto in alcune, il loro effetto sul lettore appare più crudo, ossia di maggiore impatto psicologico rispetto all’effetto prodotto dai racconti.
In esse c’è un miscuglio di sentimenti, c’è un po’ di rabbia e un po’ di
stupore, accettazione, ma anche godimento di tutto quello che la vita ha da
offrire. Questa sete di vivere viene
esternata chiaramente nella poesia dal titolo Angoscia dove viene portata in luce una bramosia che si
contrappone a un lento scorrere che
rischia di far passare tutto senza essere vissuto in pieno. Nella poesia dal titolo Città di mare egli paragona la sua amante a una città di questo
tipo, ed è anticonformista, libera e vera come la città in questione. E come in
tutte le poesie anche in questa confluiscono le regole della prosa, che la
rendono alquanto esplicativa, con dei giochi metaforici portati in totale
evidenza persino nel titolo, che non lascia dubbi a ciò di cui stiamo parlando;
fermo restando che anche qui, nella forma, non mancano, disseminati qua e
la, punti di lirismo assoluto e versi
rimati che contengono una musicalità del tutto estranea al genere prosastico: Vestita,
spogliata, truccata o immutata, ti dicono t’amo e ti impongono il morso, ma
ritorni ogni volta selvaggia e ribelle.
Anche
nelle poesie si riscontra una scala espressiva che possiede gradi diversi e se
nelle due ultime citate e in altre ancora è messa in risalto la parte più
sanguigna e in presa diretta con la realtà , in altre , come Il Tempo, molto bella tra l’altro, Acquarello notturno di paese e Soffio
di vita ; pur conservando un timbro potente , prevalgono invece la capacità di analisi, la
riflessione e lo sguardo da osservatore, che creano ritmi più lenti e
suggestivi, ricchi di profonda umanità.
Mi
chiedo a chi appartieni. Cerco di percepire la mia immagine fuori da me,
sentire la mia voce e capire il senso delle mie parole. Un semplice gesto
rivolto a te un attimo dopo non è più
mio né tuo . Da Il Tempo. E ancora, da Soffio di vita : C’è una finestra nella mia
mente che si apre sui tetti delle case e sui tetti delle case c’è il rosa della
controra... C’è il mondo nella mia
anima, e nella mia anima c’è una finestra sui tetti delle case, e nessuno mai
potrà chiudere quella finestra.
+
Per
quel che riguarda invece l’ottima fotografia di Andrea Alfano, non essendo
critici di tale materia, ci limiteremo a dire che esse hanno forte carattere
simbolico. I soggetti in primo piano
infatti, ci sembra parlino chiaramente di tutto il mondo che c’è dietro, quasi
essi fossero delle icone di quell’universo.
Dietro al cuoco che porge il piatto di pietanze c’è la gastronomia e
tutte le sue appendici; dietro la ragazza fotografata in una via cittadina tra
altre immagini sfocate , c’è il suo mondo e quello di tutti gli altri giovani,
così come dietro al signore anziano che passa davanti al negozio O’ scannetiello appaiono la vita
vissuta, il pieno di ricordi e un’epoca passata che forse può insegnare ancora
qualcosa. Per concludere aggiungerei
soltanto che le fotografie sono inserite ad hoc per completare questa Sarabanda
di colori, questo viaggio intrapreso e che si intraprende leggendo il libro di
Salvatore Casolaro
Roberto
De Luca 09/ 10/ 2016
Ringrazio caldamente il caro, adorato Nazario per aver concesso spazio a due dei tanti recensori romani che, in occasione degli eventi, numerosissimi, si prestano per pura passione, con autentico fervore umanistico. Averli accanto significa credere nella Cultura.
RispondiEliminaAbbraccio loro e il carissimo condottiero di questo blog magnifico!
Maria Rizzi