La
scuola cattolica di Edoardo Albinati.
Non
conoscevo Edoardo Albinati, se non per alcune poesie, come Elegie e proverbi,
pubblicate nel lontano 1989 e mi interessava soprattutto il rapporto che
tale scrittura andava ponendo tra poesia e prosa, tema che emerge
consapevolmente già dalla scelta del titolo. I componimenti lunghi pongono
infatti il rapporto con la prosa che ridiventa, privilegiando la forma
poematica, una decisa scelta verso la narrazione. L’adozione di un verso lungo
e di un andamento sintattico discorsivo, argomentante, tenta di raccontare
delle 'storie', magari minime, espressioni di una realtà decadente, deturpata,
a tratti trucida, granguignolesca, macabra, che irride il mondo contemporaneo.
L’
interrogativo che attraversa queste elegie è:quanto, del quotidiano monotono,
informe, orrendo vivere può farsi
poesia? Oppure: quanto, fino a che punto la poesia può testimoniare?
Che
Albinati ami la prosa, la descrizione minuziosa
non c’è alcun dubbio, basta leggere alcuni versi del suo poemetto
Cinismo e poesia:
…Entrò.
Era il momento in cui la gente
Stava
ancora arrivando, in cui faceva il pieno
Bevendo,
in attesa, tra le quinte, delle parti
Che la
propria individualità inebriata
Avrebbe
interpretato nella festa:
Il
lunatico, il languido, la ragazza sprezzante.
Tutti
a scolarsi letali Martini e Negroni, e c’era un tremendo
Via
vai nei bagni, mentre le sigarette
Fumavano
da sole nei posacenere rubati…
E i
personaggi presentati sono quelli della Roma borghese, la Buona Borghesia e la
sua pseudo-Cultura che ci descriverà nei
romanzi successivi: banali, aridi, cinici, ipocriti, deboli, insensibili… il
sentimento presentandosi accettabile solo a bassissime temperature e anche
squilibrato: una sobria e prosaica e demoniaca epopea dell'infelicità borghese:
…C’erano
musicisti, un giocatore di scacchi solitario che armeggiava Una scacchiera
elettrica; c’era un poeta che da un palco, nelle serate Di un’estate lontana,
aveva declamato poesie assordanti
Come
barattoli di latta (allora
Chissà
perché, parvero a tutti pura musica)
C’erano,
si capisce, intellettuali vari, scialbi e vistosi
Timidi
o sfacciati.
Il
poeta imperversava come una tempesta di neve.
Nessuno
sapeva chi fosse…
È già
l’ambiente borghese, il tema privilegiato, che diventerà protagonista de La scuola cattolica.
Estate
2016: l’ho dedicato alla lettura di La
scuola cattolica, premio Strega, di Edoardo Albinati. Ho detto
bene-dedicato-: un tempo lunghissimo. Si
tratta infatti di un romanzo sconfinato, straripante, talvolta ridondante di 1300 pagine (distribuite in 10 parti) che
l’autore impiega almeno dieci anni a scrivere, dopo essersi documentato con un
numero imprecisabile di fonti di ogni genere, e che richiede tempi quasi infiniti
di lettura.
Un
romanzo? no, un insieme di romanzi: infatti c’è posto per il romanzo di
formazione, quello psicologico, quello sociologico-politico, il thriller, il libro di memorie, i racconti
di scuola, il mondo religioso cattolico, l’educazione giovanile degli anni
Settanta, la critica della borghesia,
l’autocritica spietata, la condizione maschile, un mondo setacciato
attraverso un’acribia scrupolosa, esatta, minuziosamente accurata- sociologica,
filosofica, storica, letteraria-, e soprattutto attraverso la strumentazione
che gli viene dallo studio del femminismo…; una serie di riflessioni che
procedono per ramificazioni, divagazione e riprese, avvitamenti sulle letture e le esperienze
biografiche di Albinati: la scuola romana del quartiere Trieste, il San Leone
Magno, invenzione e fedeltà in cui i ricordi si fondono senza specificare
precisamente le dosi dell’amalgama: adolescenza, sesso, religione e violenza;
il denaro, l’amicizia, la vendetta; professori mitici, preti, teppisti, piccoli
geni e psicopatici, fanciulle enigmatiche e terroristi… raccontati con il
coraggio di affrontare a viso aperto i grandi quesiti della vita e del tempo, e
di mostrare il rovescio delle cose.
“Per
certi versi, nel Quartiere Trieste era come se fossimo nel Medioevo. Una
cittadella turrita, protetta dentro le sue mura, una crema di professionisti
mercanti e funzionari dalla mentalità ristretta, che temono sopra ogni cosa il
disordine e qualsiasi intemperanza venga a turbare lo svolgimento dei loro
affari. Segreti ben custoditi, quieto vivere…”(p.800)
Erano
gli anni in cui la borghesia italiana preferiva mandare i propri rampolli alla
scuola privata dei preti, pensando che potesse essere un segno di distinzione,
oltreché una garanzia di educazione.
“Non
so, ancora non so, ancora non ho capito cosa penso dei preti. Cosa provo verso
di loro... per parecchi anni nascosi il fatto di essere andato al SLM, a scuola
dai preti, come si nasconde un difetto fisico…” Ma in questa fucina di ceto
borghese che aspira a diventare la classe politica e intellettuale di domani, si
rivela l’aggressività, la cupidigia, le paure degli anni ’70 italiani.
“ È
sempre difficile rapportarsi alla scuola, in senso critico o con intenzioni
narrative, pressoché impossibile mentre vi si soggiorna come studenti, quasi
sempre in modo rassegnato o risentito se vi si insegna, inevitabilmente melenso se ci si limita a
ricordarlo dopo anni, come parte integrante della propria gioventù… il
paradosso vuole che di un’istituzione così fondamentale e universale e durevole
si possa dire con quasi matematica certezza
che l’unico memento vero di gioia che provoca è quando ci si chiude la
sua porta alle spalle sempre. E se non è gioia, è sollievo”
“..cosa
facevamo, nel frattempo, a scuola? Aspettavamo. Aspettavamo ruminando formule,
poesie, teoremi, elenchi, trascrivendo, cancellando con la gomma bianca e
quella blu, ingessando lavagne, lanciando palloni della salute, infilando il
temperino nei solchi del banco, guardando gli alberi fuori dalla finestra…”
L’eccezionalità
di questo libro deriva dai dieci anni di lavoro necessari alla stesura, ma
soprattutto dal non voler lasciare nulla di nascosto, nella volontà di dire,
come in una confessione, alla Agostino, alla Rousseau… di recuperare il passato
come in Proust, e la propria dubbiosa
identità.
“L’ideale
astratto di virilità, be’, è quasi impossibile centrarlo, la stragrande
maggioranza degli uomini per tutta la vita non lo consegue neanche di striscio,
rimane ai margini del modello… Be’, io non ho mai conosciuto nessuno che
corrispondesse a questa figura ideale.”
La
prosa di Albinati esibisce una continua serie di limiti e barriere,
ripensamenti, rivisitazioni, di fronte alle quali la letteratura si interroga
seriamente su se stessa, e la felicità letteraria si confronta con l'infelicità
esistenziale, senza mediazioni. Il tema è nondimeno sicuro, onnipresente ed
invasivo, saggistico: cinquant’anni di storia personale e comune italiana.
La
fonte storica-cronachistica da cui scaturisce l’intera narrazione è duplice.
La prima è la coincidenza per cui Albinati è
stato compagno di scuola dei tre protagonisti del delitto del Circeo – Angelo
Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira (Angelo, Subdued e il Legionario, nel libro)
– che violentarono e massacrarono Rosaria Lopez e Donatella Colasanti; e
quest’ultima si salvò miracolosamente, fingendosi morta. Era il 1975: l’autore
aveva vent’anni, gli assassini avevano pure vent’anni.
La
seconda è l’altro delitto di cui si è reso colpevole Angelo Izzo, nel 2004:
l’omicidio feroce di una donna e di sua figlia di 13 anni a Ferrazzano, un
paesino vicino Campobasso nel quale Izzo scontava la pena in una cooperativa,
affidato di giorno ai servizi sociali.
Nel
2004 Albinati, che non aveva mai scritto del delitto del Circeo nonostante la
conoscenza diretta, sente una sorta di vocazione a raccontare questa storia, a
doverla dire completamente senza parentesi o velami. Una ricostruzione anche
letteraria.
“Il
DdC è strutturato come una fiaba e della fiaba possiede l’ingannevole
semplicità .
Due
ragazze vengono attirate in una casa nel bosco…Una catena di causalità guida il
passaggio da uno stadio a quello seguente, quasi uno slittamento. Le sedute di
sevizie sessuali sono basate sul principio, tipico, della ripetizione
intensificata, come nell’Acciarino magico
di Andersen, dove i cani da incubo che custodiscono il tesoro hanno gli occhi
progressivamente più grandi, sempre più grandi-
prima come piatti, poi come ruote, poi come la torre di Copenhagen; la
violenza è graduata in crescendo, per mettere alla prova la capacità di
resistenza della vittima, il suo corpo
testato come un motore sul banco di prova, scosso e percosso, schiacciato,
slogato. la pulsione astratta del torturatore che vuole penetrare attraverso la
sua vittima fino al punto dove questo cessa di resistere…” Il racconto del delitto
esigeva però tempi lunghi, soprattutto a
lui, che è stato immerso nell’ambiente in cui è maturato….
“L’ho
presa un bel po’ alla larga? Avete ragione: ma era la natura stessa del delitto
a richiedere che se ne raccontassero i preliminari; o piuttosto, i cerchi
concentrici che lo avvolgono, gli anelli che da un lato vi conducono,
dall’altro se ne allontanano, come in certe insegne luminose…Potrebbe darsi che
al centro del bersaglio non vi sia alla fine quel delitto, ma qualcos’altro…
(che se avete la pazienza di seguirmi scopriremo insieme)”…
Forse
il pensiero conclusivo del maestro riconosciuto in tutto il romanzo, il
professor Cosmo, può ben illustrare le emozioni di Albinati: “ Quando la nostalgia scompare, non lascia
posto alla serenità, ma al vuoto. Aver dimenticato molte cose del mio passato
non mi reca particolare sollievo, anche perché nulla giustifica la bizzarra
selezione per cui continuo a ricordare vividamente alcune, soltanto quelle
..L’arbitrio della memoria è un fenomeno ironico e sconcertante…”
Non
conoscevo la prosa di Albinati, né le sue capacità di indagine così dure e
spietate da essere rese col termine coniato dai nazisti vergeltungawaffe, (arma
di rappresaglia in italiano).
Oggi
so che Edoardo Albinati, scrittore e insegnante nel carcere romano di Rebibbia
dal ‘94, da giovane ha suonato in gruppi pop e jazz e che la musica gli ha insegnato, come dice in
un’intervista, a improvvisare, a variare su un tema e che tutti i suoi libri
hanno una struttura musicale.
E'
nato a Roma, nel 1956. Ha esordito nel 1988 con una raccolta di racconti, Arabeschi della vita morale. È autore
del romanzo Il polacco lavatore di vetri
(1989), Maggio selvaggio, 1999 a cui
hanno fatto seguito Sintassi italiana
(2001), Il ritorno (2002). Con il
romanzo Svenimenti, ha vinto il
Premio Viareggio nel 2004. Del 2009 è la raccolta di racconti Guerra alla tristezza. Ha pubblicato
volumi di versi: Elegie e proverbi
(poesie, Mondadori, 1989); La comunione
dei beni (poema, Giunti, 1995); Mare
o monti (poemetto, ed. L’Obliquo, 1997, con Paolo Del Colle).
So che
descrive con lucidità, durezza e
consapevolezza personaggi nevrotici, malati, morsi dai propri appetiti sessuali
in monologhi spietati di severa denuncia:
E non
sopporto questa falsità… così romana
Tutto
il cinismo, la malafede, gli inganni.
Guarda
ad esempio quel critico teatrale: a quasi
Cinquant’anni,
sta lastricando di libri letti e non letti
La
strada per condurre una fanciulla bionda
A casa
sua. La stringe in un angolo come un ragno
E con
la bava le fila intorno un bòzzolo di cazzate.
Intende
abbattere il dualismo tra prosa e poesia, “così implicito in formule stereotipe
che richiamano un abbassamento della poesia verso la prosa. Negare la
contrapposizione tra le due forme espressive serve a ridare centralità alla
poesia all’interno della letteratura”.
«La
poesia deve figurare accanto all’articolo di guerra, ma attenzione, non per
forza una poesia di guerra, altrimenti siamo di nuovo all’adaequatio, a ridurre
il problema a uno scambio di contenuti […]. La poesia vince la prosa solo su un
terreno condiviso da entrambe» . (E. Albinati, Appunti su poesia e prosa, in La
parola ritrovata,Venezia, Marsilio).
Interessi
vari, vasti. L’idea di una letteratura mai evasiva o puramente estetica.
Uno
scrittore da seguire con attenzione.
Maria Grazia Ferraris
Non sono mai riuscito ad apprezzare la poesia di Albinati. Un conto è la poesia un altro è la prosa. Troppo lungo sarebbe il discorso. Quello che invece apprezzo e che seguo continuamente su questo blog è la scrittura di M. Grazia Ferraris (poesia, prosa, saggistica); la sua cultura, i suoi messaggi, la sua incisività.
RispondiEliminaComplimenti per questo approfondito saggio
Prof. Angelo Bozzi
La vivacità culturale di Maria Grazia Ferraris sorprende in continuazione. Trovo molto suggestivo questo saggio su Edoardo Albinati, per gli interrogativi che suscita e per le tematiche trattate. Albinati è poeta discutibile, ma condivido l'idea che sia "uno scrittore da seguire con attenzione" per "l'idea di una letteratura mai evasiva o puramente estetica". Da tempo mi interrogo sulle differenze tra prosa e poesia, ma ritengo che non possiamo capire le differenze se non teniamo conto del terreno su cui si muovono entrambe: l'arte, ovvero l'incontro fra spirito e ragione. Va da sé che, nel rispetto di questo incontro (incontro dell'universale con il particolare), le miscele possibili siano infinite, e tutte degne di pari attenzione.
RispondiEliminaFranco Campegiani