Nazario Pardini
a
Rosanna Di Iorio:
LA STANZA SEGRETA. Vitale Edizioni. Sanremo. 2017
Parafrasando Jules Renard, possiamo dire
che “nella casa della poesia la stanza più grande è la sala d’attesa”
Ma la vita ripete inutilmente
storie che non si imparano, perché
ognuno vuole sempre misurare
tutta la sua vicenda, fino in fondo.
Conoscerla, capirla, starci dentro.
Scrivere in proprio le sue verità.
Dentro un libro che non finisce mai.
ognuno vuole sempre misurare
tutta la sua vicenda, fino in fondo.
Conoscerla, capirla, starci dentro.
Scrivere in proprio le sue verità.
Dentro un libro che non finisce mai.
È qui, in questa citazione
testuale, il calore epigrammatico della vicenda poetica della Di Iorio; la
forza incisiva del suo verso; l’inquietudine per un esserci che ci conosce e ci
misura nella ricerca di una verità dentro un libro che non finisce mai.
Una
poesia calda, duttile, energica, anche, ma soprattutto ben salda in un
endecasillabo di pregevole fattura. Sembra che la Di Iorio non abbia risentito
per niente della rivoluzione prosastica del verso che ha
egemonizzato la poesia italiana del tardo Novecento e dei nostri giorni; sperimentazioni di cui la Nostra non
ha assolutamente tenuto di conto, dacché il suo poema poggia,
con figure retoriche di ontologica connessione, su una versificazione dalla classica positura, lontana da ogni tipo
di correlativo oggettivo di stampo eliotiano. Tutto è gentile e armonico; tutto
esce con delicatezza da un animo vòlto a dire di sé, delle sue vicissitudini
esistenziali, dei suo incontri; e delle sue amorose vicende, nel senso
prettamente polivalente: verso il mondo, verso gli altri, verso la poesia, verso
l’amore, verso tutto ciò che nel suo viaggio, fatto di bonacce e di scogli
appuntiti, ha avuto occasione di sfiorare. Un andare di odeporico senso
odissaico, di ampia ricerca, di umanistico intuito formale e contenutistico,
dove i giochi focali del poièin si fondono in un insieme di estrema
compattezza. L’endecasillabo scorre fluente e chiaro come l’acqua alla
sorgente; gorgoglia a volte, si riposa, frena il suo corso con emistichi a
maiore o a minore, per interrompere l’empito di un flusso che sorge e si impone
con virulenza e pathos. Sta qui il suo canto, in una armonia demandata a dare
corpo a brandelli di anima in fuoriuscita: libertà, memoriale, misura del
tempo, gioia di esistere, vita, malinconia: <<La gioia di essere
tristi>> per dirla con V. Hugo. Insomma musica, tanta musica di parole
che si rincorrono; che si danno a note di sinfonica stesura. Ed è proprio
questa l’anima fondante del canto; lo stesso Federico Garcia Lorca, pur fedele al suo elegante e musicale
“castillano”, poco tempo prima di essere ucciso pubblicò “Seis poemas gallegos”
in dialetto galiziano per dare maggiore sonorità eufonica al suo poema: “Imos
silandeiros orela do vado / pra ver ô adolescente afogado. / Imos silandeiros
veiriña do ar, / antes que ise río o leve pro mar”. E la stessa cosa affermava Sidney
Lanier: “La musica è amore in cerca di una parola”. La stanza segreta, il titolo della silloge. Un titolo chiaro e
lampante, che tanto ha a che vedere con la poetica della Di Iorio. Con il suo
modo di intendere e di far poesia; è da là che nasce; da quella stanza segreta:
tante sono le passioni, le tristezze, le
illusioni, le delusioni, le sconfitte e le rinascite, che, accumulatesi negli
anni in quella stanza, hanno trovato posto adatto per crescere e mutarsi in
immagine: un ambiente giusto, fertile, adatto a far sbocciare i fiori del
canto. Parafrasando Jules Renard, possiamo dire che “nella casa della poesia la
stanza più grande è la sala d’attesa”. Basta attendere, sì, perché prima o poi
quelle immagini, accumulatesi nel tempo, sgomiteranno, chiederanno un varco per
uscire all’aria aperta, per vivere sulle pagine sapide di stampa. E tutto, in questa
silloge ampia e polisemica, plurale per i tanti tasti toccati sul fatto di
esistere, si distende con semplicità e accattivante misura; senza epigonismi,
né pleonastiche intrusioni; sempre con scioltezza ispirativa anche nei momenti
di parenetico apporto:
Da
“La voce dell’amore tra le mani”:
(…)
Perché io amo i
balsami segreti
delle tue mani che sanno attenuare
le mie pene del vivere. Le tue
celesti dita che sanno cantare
sulle mie gote canti di innocenza.
delle tue mani che sanno attenuare
le mie pene del vivere. Le tue
celesti dita che sanno cantare
sulle mie gote canti di innocenza.
A
“Una stanza affollata di rose”
(dove
la visione di un tempo che fugge e tutto rende precario dà forza e lirismo alla
pièce):
E queste braccia allegre
che si danno
e ripiegano lente su se
stesse
mentre la vita sento che mi
sfugge
e non so fare un gesto per
fermarla.
(…)
Da
“Ritorno a te nella pienezza piana”
(come
direbbe Joachim du
Bellay
“È dopo un viaggio in cerca di falsi miti che si apprezza quella verità che
avevamo davanti agli occhi ogni istante”:
Ritorno a te nella bellezza
piana
di questo bel mattino. E
mentre scrivo,
io canto. Canto te,
come l’artista
intorno al suo gioiello che
finisce
nella serica luce di
febbraio.
E un profumo di rose che
riempie
gaio la stanza. E con
la stanza il cuore.
(…)
A
“Di tutto quello che ho vissuto”
(confessione
sul tempo ingannevole e fugace; sulla vita e i suoi resti…):
(…)
Ti dico solo a questo punto ormai
la vita ci è sfuggita dalle mani.
E i resti abbandonati, spogli, sparsi,
cercano invano nuova umanità.
Da
“Inesauribile ricerca dell’avventura”
(motivo
del viaggio, nostos metaforico dell’esistere):
(…)
Ma nel viaggio, impigliati
tra odissee
di scogli gonfi di insidiosi e ambigui
geli, nascosti da una disumana
ostilità d’oriente, come fiori
di silenzio man mano diradate:
Acqua nebulizzata in altra acqua
che non capisce più dove può andare.
di scogli gonfi di insidiosi e ambigui
geli, nascosti da una disumana
ostilità d’oriente, come fiori
di silenzio man mano diradate:
Acqua nebulizzata in altra acqua
che non capisce più dove può andare.
Ai
tanti temi affrontati sulle questioni umane, o su una natura abbandonata
all’inquinamento, all’incuria, all’ingordigia, alla speculazione:
Il ragazzo che volò dal ponte (in ricordo di G. Centinaro),… In questo maggio inquinato, Dalla terra inquinata,… Noi, sospesi tra eterno ed
infinito,… fino a Come
le foglie, dove la poetessa, pur aggrappandosi spesso ai ricordi come
alcova rigenerante (“È nel ricordo e nel tempo che gusto quelle lacrime” afferma
Pirandello), chiude il suo “poema” con una riflessione
filosofica sulla felicità e il mistero del percorso esistenziale; sui tanti
perché irrisolti e irrisolvibili:
Chiedi cos’è la vita. Sempre in cerca
di certezze illusorie. Di speranze.
Chiedi se esista la felicità.
Ma io non ho risposte da donarti.
Ma sa e
ne è cosciente che tante sono le bellezze che questa sacra esperienza ci dona:
risveglio,
sole, sogno, carezza, profumo di pane, luce, mare, arcobaleno, nuove stagioni.
So che per ogni passo che facciamo
ce n’era un altro pronto in alternanza.
Ogni giorno il prodigio del risveglio
riesce a fugare il buio della notte.
E se alziamo lo sguardo oltre le ciglia
ci abbraccia il sole dentro un nuovo sogno.
E mille e mille storie di violenza
si placano a una mano di carezza
ed il canto innocente di un bambino
copre echi di spari all’orizzonte.
Noi siamo qui, come le foglie, i fiori.
Venuti dalla luce nel profumo
del pane. E sempre qui noi resteremo
fin quando il vento caldo della vita
ci condurrà con il suo soffio al mare.
L’arcobaleno avrà il colore, allora,
nitido del silenzio e chiuderà
la vestizione del nostro destino.
Ma la Vita darà nuove stagioni.
E si riprenderà sempre a lottare.
Proseguendo la legge del
creato
E
concludere questa lettura riportando una chiusa della mia prefazione alla sua silloge
antecedente: Sono cicala. Mi consumo e
canto significa dire della sua vita e del suo peregrinare su questo lembo
di terra; sottolineare lo spirito esistenziale che fa da leitmotiv alle sue
creazioni: “Mi piace cogliere
nella sua poesia un raggio di sole che incida le nubi: credere ancora nel canto
e nella vita. E Rosanna Di Iorio crede nel potere della poesia fino
ad assegnarle il compito non solo di cantare l’amore, ma anche quello di amare
il canto. (Fammi entrare nel tuo sogno infinito). Anche se:
Ed il
silenzio in fondo al mio giardino
che
custodisce trepide memorie
di ciò che
non ho più. Ma grida forte
nelle mie
vene (da Sono cicala. Mi consumo e
canto).
Nazario
Pardini
Mi ha fatto veramente piacere "trovare", su Lèucade, Rosanna Di Iorio.La sua "stanza segreta" diventa il centro di tutto il suo mondo, cercato in mille risvolti, con versi ed emozioni coinvolgenti,di classico stampo. Ho trovato la Rosanna conosciuta anni fa e che da alcuni non ho più avuto occasione di incontrare. Questa sua silloge è "segretamente" trasmessa con la sua consueta sensibilità e bravura, magistralmente letta da Nazario Pardini. Ma già da tutte le citazioni che egli ci propone trovo che le poesie proposte sono di una singolarità espressiva tale da esaltare la forza estetico-compositiva e i contenuti di una "poesia calda, duttile, energica, anche, ma soprattutto ben salda in un endecasillabo di pregevole fattura" (come scrive Nazario).
RispondiEliminaComplimenti a entrambi.
Umberto Cerio
Caro Umberto. grazie per il bellissimo commento che ho visto solo ora. Le tue parole sembrano captare il mio sentire, anche se ci siamo incontrati poche volte e mi fanno bene al cuore. Spero di rivederti presto e ti ringrazio anche a nome del Grande Nazario Pardini. Un abbraccio, Rosanna.
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