Wisława Szymborska (
Bnin (Kórnik),1923, Cracovia, 2012, premio Nobel 1966).
Il festival della letteratura di Mantova propone quest’anno più
incontri per parlare di Wisława Szymborska.
È stata una poetessa sconosciuta in Italia…fino
all’assegnazione del Nobel e trascurata poi anche nel proseguo. Finalmente…ed
ironicamente, come a lei piaceva, la
morte ha fatto giustizia.
Apparteneva -dice di sé-
a “ un ambiente intellettuale, o per meglio dire colto, con molti libri
e nessun poeta". Nel 1931 si
trasferì con la famiglia a Cracovia, città alla quale è stata sempre legata: vi
ha studiato, vi ha lavorato e vi ha sempre soggiornato, fino alla morte.
Durante la Seconda
guerra mondiale nel 1939, frequentò gli
studi liceali sotto l'occupazione tedesca, seguendo corsi clandestini e
conseguendo il diploma nel 1941. A
partire dal 1943, lavorò come dipendente delle ferrovie e riuscì a evitare la
deportazione in Germania come lavoratrice forzata. In questo periodo cominciò
timidamente la sua carriera di artista.
Nel 1945, finita la guerra,
agli artisti polacchi fu imposto il Realismo
socialista e lo scritto della
Szymborska fu attaccato come poco leggibile, “inaccessibile alle masse”. Ma con la sua terza raccolta, Richiamo allo Yeti, del 1957, ha
iniziato una strada autonoma, volta ad ascoltare se stessa, rivelando un
sentimento di disillusione verso la politica ufficiale. Ben presto venne coinvolta nel locale
ambiente letterario, dove incontrò Czesław Miłosz, altro premio Nobel, che la
influenzò profondamente. Dal 1953 al 1966 fu redattrice del settimanale letterario di
Cracovia «Życie Literackie» («Vita letteraria»). Dice di sé, parlando
umoristicamente in terza persona: “E' una donna comune che scrive poesie fuori
dal comune accessibili a tutti”, ed altrettanto umoristicamente scrive in
anticipo il suo epitaffio:
Qui giace come virgola
antiquata
l’autrice di qualche poesia.
La terra l’ha degnata
dell’eterno riposo, sebbene
la defunta
dai gruppi letterari stesse
ben distante.
E anche sulla tomba di meglio
non c’è niente
di queste poche rime, d’un
gufo e la bardana.
Estrai dalla borsa il tuo
personal, passante,
e sulla sorte di Szymborska
medita un istante.( Epitaffio. Da Sale.1962)
Una poesia la sua che ha reagito alla doppia esperienza del nazismo e del comunismo, stabilendo un
diverso rapporto con la storia, con il problema della verità, con l'
espressione dell' io.
Scrive della sua formazione: “ Ho fatto parte di una
generazione che ha creduto. Io credevo.
Svolgevo i miei compiti in versi con il convincimento di far
bene. E' stata la peggiore esperienza della mia vita": si percepisce una
dolente autoironia.
“Nel mio caso si tratta di versi. Ho fatto parte di una
generazione che ha creduto che il sistema comunista fosse un sistema che
assicurava la felicità del genere umano Sì, lo abbiamo creduto Bisogna però
dire che eravamo giovani, stupidi e ingenui.
C' era stata la guerra e volevamo con tutte le nostre forze amare il
genere umano mentre bisognerebbe amare gli individui…Ero allora convinta della
fondatezza di quello che scrivevo… se non
fosse per questa tristezza, per questo senso di colpa, forse non rimpiangerei
le esperienze di quegli anni. Senza di essi non avrei mai saputo che cos’è la
fede in una ragione unica.”
Che cos’è la poesia?, si chiede .. . “Ci siamo ricordati
dell’aforisma di Carl Sandburg: - La poesia è un diario scritto da un animale
marino che vive sulla terra e vorrebbe volare.-
La poesia come del resto tutta la letteratura, trae le sue
forze vitali dal mondo in cui viviamo, da vicissitudini davvero vissute, da
esperienze davvero sofferte e pensieri autonomamente pensati.
Il mondo deve di
continuo essere descritto daccapo, perché dopotutto non è mai lo stesso di una
volta non foss’altro perché un tempo noi non c’eravamo.”
Nel discorso fatto in occasione del Nobel, dice che le piacerebbe incontrare
l’Ecclesiaste, il più grande poeta di tutti i tempi, colui che ha scritto «Nulla di nuovo sotto il sole». Gli prenderebbe la mano e gli direbbe: «però
tu stesso sei nato nuovo sotto il sole. E il poema di cui sei autore è
anch’esso nuovo sotto il sole»...
“ L'ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante
“non so”. Apprezzo tanto due piccole paroline: “non so”. Piccole, ma alate. Parole che estendono la nostra vita in
territori che si trovano in noi stessi e in territori in cui è sospesa la
nostra minuta Terra.
Se Isaak Newton non si fosse detto “non so”, le mele nel
giardino sarebbero potute cadere davanti ai suoi occhi come grandine e lui, nel
migliore dei casi, si sarebbe chinato a raccoglierle, mangiandole con gusto. Se
la mia connazionale Maria Sklodowska Curie non si fosse detta “non so” sarebbe
sicuramente diventata insegnante di chimica per un convitto di signorine di
buona famiglia, e avrebbe trascorso la vita svolgendo questa attività, peraltro
onesta. Ma si ripeteva “non so” e
proprio queste parole la condussero, e per due volte, a Stoccolma, dove vengono
insignite del premio Nobel le persone di animo inquieto ed eternamente alla
ricerca. Anche il poeta, se è vero poeta, deve ripetere di continuo a se stesso
“non so”.
Dopo il grande successo dello Yeti pubblicò Sale,
1962, e Uno spasso, 1967,in cui emerge
la sua distanza dai modelli poetici tradizionali, l’uso insolito della
metafora, la quotidianità, un mondo dietro il quale si nascondono altri mondi
possibili, quelli<immaginati e non mondi>, la scelta della poesia
feriale, senza concessioni al letterario o al sublime, aliena da ogni retorica,
accompagnata da arguzia e ironia, come dimostra in Hania, dedicata alla domestica di casa.
Eccola, questa è Hania, la
buona domestica./ E queste sono aureole, e sono padelle.
E il cavaliere col drago è un
dipinto sacro./ E il drago è la vanità in questa nostra valle.
E questo è il rosario di
Hania, non i coralli./ E queste le scarpe che ha consunto in ginocchio.
E questo il fazzoletto nero
come la veglia,/ quando dal campanile suona il primo rintocco.
Lei ha visto il diavolo
spolverando lo specchio:/ era livido- padre- a righe gialle, eccome,
e mi ha fissato laido e ha
storto la bocca/ e cosa succederà se ha scritto il mio nome?
Perciò fa offerte in chiesa e
per la santa messa/ e comprerà un cuore con la fiamma argentata.
Da quando costruiscono la
nuova canonica,/ il prezzo dei diavoli ha avuto un’impennata.
È assai costoso trar l’anima
di tentazione,/ e intanto la vecchiaia con sbatter d’ossa avanza.
Hania è così magra, talmente
senza niente,/ che si smarrirà nella Cruna dell’Ago immensa.
…Ammaestrata all’umiltà,
nulla chiede in compenso./ L’accompagna per via un’ombra- il lutto del corpo,/
e il suo fazzoletto sdrucito latra al vento.
Nel dicembre 1970, dopo uno scontro
sanguinoso con gli operai dei cantieri navali, nel quale dozzine di lavoratori
vennero uccisi dalle forze dell'ordine, Edward
Gierek, prese la guida del partito e apportò modifiche importanti per
l'economia polacca. Tuttavia le proteste popolari continuavano ad infuriare e,
nonostante Gierek avesse rappresentato un'innovazione per l'economia, che dalla
sua riforma divenne più liberale, fu costretto a presentare le sue dimissioni
da segretario nel 1980. La Polonia di Gierek,attraversata da una crisi profonda ma ancora ingessata, sfocerà in Solidarnosc.
W. Scrive Utopia, dove
lucidamente coglie le contraddizioni del momento.
Isola dove tutto si
chiarisce./ Qui ci si può fondare su prove.
L’unica strada è quella
dell’accesso./ Gli arbusti fin si piegano sotto le risposte.
Qui cresce l’albero della
Giusta Ipotesi/ Con rami districati da sempre.
Di abbagliante linearità è
l’albero del Senno/ Presso la fonte detta Ah Dunque è Così.
Più ti addentri nel bosco,
più si allarga/ La Valle dell’Evidenza.
Se sorge un dubbio, il vento
lo disperde….
A destra una grotta in cui
giace il senso./ A sinistra il lago della Profonda Convinzione.
Dal fondo si stacca la verità
e lieve viene a galla./ Domina sulla valle la Certezza Incrollabile.
Dalla cima si spazia
sull’Essenza delle Cose.
Malgrado le sue attrattive
l’isola è deserta,/ e le tenui orme visibili sulle rive
sono tutte dirette verso il
mare./ Come se da qui si andasse soltanto via,
immergendosi irrevocabilmente
nell’abisso./ Nella vita inconcepibile.
Si impegnò per il sindacato clandestino
Solidarność. Pensando alla situazione
delle donne nella tragica storia polacca scrive La moglie di Lot:
Guardai indietro, dicono, per
curiosità,/ ma, curiosità a parte, potevo avere altri motivi.
Guardai indietro rimpiangendo
la mia coppa d’argento.
Per distrazione-mentre
allacciavo il sandalo./ Per non dover più guardare la nuca proba
Di mio marito, Lot./ Per
l’improvvisa certezza che se fossi morta/
Non si sarebbe neppure
fermato.
…Colpita dal silenzio,
sperando che Dio ci avesse ripensato.
Le nostre due figlie stavano
già sparendo oltre la cima del colle.
Sentii in me la vecchiaia. Il
distacco./ La futilità del vagare. Il torpore.
Guardai indietro posando per
terra il fagotto.
Guardai indietro non sapendo
dove mettere il piede….
Guardai indietro per
solitudine./ Per la vergogna di fuggire di nascosto.
Per la voglia di gridare, di
tornare./ O forse solo quando si alzò il vento
Che mi sciolse i capelli e
sollevò la veste…./Guardai indietro per l’ira….
Guardai indietro non per mia
volontà./….No, no. Io continuavo a correre,/
mi trascinavo e sollevavo,/
finchè il buio non piombò dal cielo,
e con esso ghiaia ardente e
uccelli morti.
Mancandomi l’aria, mi rigirai
più volte./ Chi mi avesse visto poteva pensare che danzassi.
Non escludo che i miei occhi
fossero aperti.
È possibile che sia caduta
con il viso rivolto verso la città.
La sua poesia è unica nel suo genere ed è più facile
descriverla dicendo ciò che essa non è: non è romantica, non è
antiromantica, non è avanguardista, non è retorica, non è nichilista, non è
sperimentale. La parola più ricorrente nelle sue opere è in effetti la parola
"non".
Ciò che rende la sua poesia così speciale è la continua
ricerca dell' altra faccia della medaglia, di una prospettiva diversa. In un
dramma teatrale preferisce l' ultimo atto, quando cala il sipario, e i morti si rialzano e gli attori tornano a
essere se stessi.
Le interessa il mondo della natura e degli animali. Scettica
per natura, vuole sempre vedere le cose almeno sotto “sei diversi punti di
vista.”
Nella poesia La
cipolla conduce la descrizione della
perfezione vegetale attraverso la contrapposizione con la struttura imperfetta
dell’uomo, ma al termine del
componimento compare una conclusione, nella giocosità espressiva, pur
irrimediabile:
La cipolla è un’altra cosa./
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla/ Fino
alla cipollità.
Cipolluta di fuori,/
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro/
senza provare timore.
In noi ignoto e selve/ di
pelle appena coperti,
interni d’inferno,/ violenta
anatomia,
ma nella cipolla – cipolla,/
non visceri ritorti.
Lei più e più volte nuda,/
fin nel fondo e così via.
Coerente è la cipolla,/
riuscita è la cipolla….
La cipolla, d’accordo:/ il
più bel ventre del mondo.
A propria lode di aureole/ da
sé si avvolge in tondo.
In noi – grasso, nervi,
vene,/ muchi e secrezione.
E a noi resta negata/
l’idiozia della perfezione.
Ne Il gatto in un
appartamento vuoto ricorda la morte del poeta Kornel Filipowicz che fu suo marito, analizzando,
senza coinvolgimenti sentimentali, il dolore animale, talvolta più espressivo e
comunicativo di quello lacrimoso, patetico
degli esseri umani:
Morire- questo a un gatto non
si fa./ Perché cosa può fare un gatto/ in un appartamento vuoto?
Arrampicarsi sulle pareti./
Strofinarsi tra i mobili.
Qui niente sembra cambiato,/
eppure tutto è mutato.
Niente sembra spostato,/
eppure tutto è fuori posto.
E la sera la lampada non
brilla più.
Si sentono passi sulle
scale,/ ma non son quelli.
Anche la mano che mette il
pesce nel piattino/ non è quella di prima.
… Qui c’era qualcuno, c’era,/
poi d’un tratto è scomparso/ e si ostina a non esserci.
In ogni armadio si è
guardato./ Sui ripiani si è corso./ Sotto il tappeto si è controllato.
…Che altro si può fare./
Aspettare e dormire.
Che lui provi solo a
tornare,/ che si faccia vedere.
Imparerà allora/ che con un
gatto non si fa così.
Gli si andrà incontro/ come
se proprio non se ne avesse voglia,pian pianino,
su zampe molto offese.
E all’inizio niente salti né
squittii.
La chiave per comprendere il suo stile lucido,
incisivo, sono le sue variazioni
sovversive sulla retorica familiare: riesce a
far apparire il fenomeno più banale come un miracolo.
Ci fa vedere ogni cosa, sia le cose grandi sia quelle piccole,
sia gli esseri umani che la storia, con occhi nuovi e acuti. Con una precisione
ostinata rende chiare le sue immagini conducendo il lettore a un riconoscimento
misterioso: apriamo gli occhi in un buio che sparisce gradualmente.
Tuttavia la Szymborska non cerca segreti. Li porta in
superficie usando le sue immagini come una vanga. Un esempio:
In lode
di mia sorella:
Mia sorella non
scrive poesie,/ né penso che si metterà a scrivere poesie.
Ha preso dalla
madre, che non scriveva poesie,/ e dal padre, che anche lui non scriveva
poesie.
Sotto il tetto di
mia sorella mi sento sicura:/ suo marito mai e poi mai scriverebbe poesie.
E anche se ciò
suona ripetitivo come una litania,/ nessuno dei miei parenti scrive poesie.
Nei suoi cassetti
non ci sono vecchie poesie,/ né ce n’è di recenti nella sua borsetta.
E quando mia
sorella mi invita a pranzo,/ so che non ha intenzione di leggermi poesie.
Fa minestre
squisite senza secondi fini,/ e il suo caffè non si rovescia sui manoscritti.
….
Mia sorella
pratica una discreta prosa orale,/ e tutta la sua opera scritta consiste in
cartoline
il cui testo
promette la stessa cosa ogni anno:/ che
al ritorno dalle vacanze/ tutto quanto
tutto/ tutto
racconterà.
Un linguaggio
femminile che manifesta una tensione non
verso i fatti come tali, le tesi, i sistemi, ma verso lo spazio della
contingenza..
Sa utilizzare espedienti retorici quali l'ironia, il
paradosso, la contraddizione e la litote, per illustrare i temi filosofici e le
ossessioni sottostanti. È una miniaturista,
le cui poesie compatte spesso evocano ampi enigmi esistenziali. Si caratterizza per l'introspezione
intellettuale, l'arguzia e la succinta ed elegante scelta delle parole,
la semplicità. Così per il tema
dell’amore. Si domanda che cosa è un
amore felice.
Un amore felice. È normale?/
È serio? È utile?
Che se ne fa il mondo di due
esseri/ Che non vedono il mondo?
Innalzati l’uno verso l’altro
senza alcun merito,/ i primi qualunque tra un milione, ma convinti
che doveva andare così- in
premio di che? di nulla;/ la luce giunge da nessun luogo-
perché proprio su questi, e
non su altri?/ Ciò offende giustizia? Sì.
Ciò infrange i principi
accumulati con cura?/ Butta giù la morale dal piedestallo?
Sì, infrange e butta giù.
Guardate i due felici:/ se
almeno dissimulassero un po’,
si fingessero depressi, confortando così gli
amici!
Sentite come ridono- è un
insulto./ In che lingua parlano- comprensibile all’apparenza.
E tutte quelle loro
cerimonie, smancerie,/ quei bizzarri doveri reciproci che s’inventano-
sembra un complotto contro
l’umanità!
È difficile immaginare dove
si finirebbe/ se il loro esempio fosse imitabile…..
Un amore felice. Ma è
necessario?/ Il tatto e la ragione impongono di tacerne
Come d’uno scandalo nelle
alte sfere della Vita./ Magnifici pargoli nascono senza il suo aiuto.
…Chi non conosce l' amore
felice / dica pure che in nessun luogo esiste l' amore felice.
Con tale fede gli sara' piu' lieve vivere e
morire.
La lotta intrapresa dalla Szymborska contro qualsiasi forma
di totalitarismo è una lotta discreta, le parole sono le sue armi, quasi
avesse paura delle grandi idee, delle
dichiarazioni e dei discorsi solenni. Sa come colpire con pungente ironia i
sentimentalismi e l' inadeguatezza politica .
Difende i suoi compatrioti, la scolorita routine
giornaliera, la vita che deve sempre andare avanti.
La sua posizione
fondamentale è profondamente scettica, diffida del pathos, soprattutto se
rivolto all' umanità o alla collettività. Ed è priva di ideali e di sacralità:
"Dopo
ogni guerra/ c' è chi deve ripulire.
In fondo un po'
d' ordine/ da solo non si fa... Chi sapeva
di che si
trattava,/ deve fare posto a quelli/
che ne sanno poco. E meno di poco... E infine
assolutamente nulla.
Sull' erba che
ha ricoperto le cause e gli effetti,
c' è chi deve
starsene disteso/ con una spiga tra i denti,
perso a fissare
le nuvole". (La fine e l' inizio (1993):
Sono versi che fanno chiarezza, disinnescano l’inganno e
mettono in risalto i veri contorni della cose, sono un antidoto all’illusione,
all’apparenza, alla mancanza di intelligenza.
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